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Afghanistan, guerra ai civili

di Mazzetta - 03/01/2011



Le utime dall'Afghanistan ci hanno raccontato che la presidenza Obama ha affidato il proseguimento della guerra al generale Petraeus, il quale aveva spiegato al mondo che gli americani avrebbero cercato di vincere “hearts and minds”, i cuori e le menti degli afgani. I conti però non tornano, perché dall'Afghanistan - e in particolare dalla regione di Kandahar - giungono notizie che vedono l'esercito americano impegnato in veri e propri crimini di guerra, in particolare nell'esercizio di quelle punizioni collettive della popolazione severamente vietate dai codici di guerra internazionali, Convenzione di Ginevra su tutti.

In due casi, nella provincia di Zhari, gli americani hanno arrestato e detenuto tutti gli abitanti, compresi i bambini e le donne, di due villaggi dai quali qualcuno aveva sparato fucilate agli americani. Circondati i villaggi hanno prelevato la popolazione e l'hanno portata via. Ma è un'altra tattica, che si sta affermando sempre più a sollevare rabbia tra gli afgani e commenti severi presso quei pochi occidentali ancora inclini a discutere di quel che fanno “i nostri ragazzi” in Afghanistan: quella della demolizione di interi villaggi.

Sono infatti ormai migliaia gli abitanti delle province di Arghandab, Zhari e Panjwaii rimasti senza casa perché gli americani hanno raso al suolo i loro villaggi. Gli americani dicono che lo fanno perché gli abitanti non rispondono alle loro richieste di consegnare le trappole esplosive delle quali questi villaggi sarebbero imbottite. Circostanza da chiarire perché è abbastanza strano che gli afgani vivano in villaggi imbottiti di trappole esplosive sperando che prima o poi gli americani siano così tonti da entrarci senza cautele.

Sia come sia, la presenza di eventuali mine o trappole esplosive non autorizza di certo un esercito a distruggere interi villaggi radendoli al suolo, ma di villaggi gli americani ne hanno raso al suolo parecchi. Fortunatamente dopo aver spiegato agli abitanti che era il caso di abbandonarli se non si voleva fare la stessa fine. Per gli americani la rabbia della gente non sembra rilevante e la scusa degli esplosivi sembra sufficiente come lo fu quella delle armi di distruzione di massa per invadere e distruggere quel che rimaneva dell'Iraq già bombardato in precedenza.

Al colmo dell'ironia o del disprezzo - a seconda dell'osservatore - ci ha pensato il brigadiere generale Nick Carter (si chiama proprio così) a spiegare alla stampa che la tattica ha anche il benefico effetto di avvicinare la popolazione ai rappresentanti afgani, che dopo ogni demolizione devono fronteggiare la rabbia dei profughi privati della casa e dei loro averi. Argomentazione allucinante e degna di un ufficiale nazista per lo spregio verso le vittime le leggi di guerra.

Governatori-fantoccio di un governo-fantoccio al potere in virtù di elezioni che gli stessi americani hanno definito per nulla regolari; ma sarebbe già qualcosa se la popolazione trovasse un sollievo nella loro opera. Invece niente, non ci sono risarcimenti, non ci sono altre case, nemmeno tendopoli, bisogna che gli afgani ai quali gli americani demoliscono le case si arrangino.

Perché il vasto ricorso a crimini di guerra se l'obiettivo è quello di vincere la simpatia degli afgani? Probabilmente perché nessuno è interessato veramente allo scopo dichiarato ufficialmente, perché gli americani hanno capito che è una guerra che non potranno mai vincere e allora non fa differenza se gli americani si fanno amare od odiare dagli afgani.

Il ricorso alle maniere forti non farà che spingere sempre più gli uomini verso la resistenza anti-occidentale ed è chiaro che se si ricorre a tattiche tanto disperate e brutali è perché ormai allo scopo ufficiale della guerra (“portare la democrazia in Afghanistan”) non crede più nessuno e non è nemmeno il caso di sforzarsi per conservare la decenza.

Infatti gli americani procedono e, nonostante alcuni dei principali media americani (ad esempio il Washington Post) ne diano notizia, negli States non ci sono state reazioni politiche, a nessun livello, nemmeno tra gli alleati. Figurarsi da parte di Karzai, che negli ultimi tempi si è fatto notare per aver detto che rimpiange i tempi di Bush, perché allora l'amministrazione lo sosteneva a spada tratta e non osava accusarlo qualunque cosa accadesse.

Facile mettersi nei panni degli afgani e concludere che niente di buono verrà dal governo o dalle forze d'occupazione occidentale, ma è abbastanza facile anche mettersi nei panni dei militari americani e concludere che pensano solo al giorno in cui lasceranno il paese. Non servivano certo i cablo pubblicati da Wikileaks per capire che la Nato non ha alcuna speranza di controllare il confine con il Pakistan e quindi di togliere ossigeno alla resistenza afgana: non è da ieri che gli stessi esperti americani dicono che la guerra non si può vincere.

Ma se la guerra non può essere vinta, che senso ha rimanere in Afghanistan ad alzare il livello dello scontro fino a commettere numerosi e odiosi crimini di guerra? Non si capisce bene, forse è solo rabbia, gli americani sono in Afghanistan da nove anni e non hanno concluso niente, da nove anni si aggirano per il paese pagando gli stessi talebani perché facciano da scorta ai convogli e armando reclute che poi disertano e sparano sugli alleati con le armi che gli abbiamo dato noi.

Sarebbe stato davvero strano se ne fosse venuto un successo, ma trasformare un fallimento militare in una vergogna, operando rappresaglie sulla popolazione civile, è ancora peggio. Peccato che il governo italiano sia in altre faccende affaccendato, che gli “umanitari” guardino al Darfur, che i paladini dei diritti civili guardino agli impiccati in Iran e che il nostro ministro della difesa sia impegnato a minacciare il Brasile che non concede l'estradizione per Battisti.

Davvero un peccato, agli afgani non pensa nessuno, se non per qualche tirata dei soliti razzisti contro il burka. Robaccia ad uso interno, di liberare le donne afgane non importa a nessuno, men che meno a quelli che hanno usato le loro sofferenze per giustificare la guerra.