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La Cina assorbe il nostro debito: si sta comprando l’Europa

di Giorgio Cattaneo - 10/01/2011


Il sorpasso è vicino. Nel grande portafoglio cinese, gonfio di contratti tedeschi e spagnoli appena firmati dal vicepremier Li Keqiang, presto saranno custoditi più bond europei che titoli di Stato americani. Lo stock del debitopubblico europeo in mani cinesi oggi sarebbe pari a circa 630 miliardi di euro. «L’euro e i mercati finanziari europei – afferma il presidente della Banca Popolare cinese, Gang Yi –  sono e saranno uno dei settori di investimento più importanti per le riserve cinesi in valuta estera». Affari e politica, una contabilità doppia: la Cina assorbe il debitoe in cambio acquista aziende e tecnologia. Ultimo caso, la Spagna: da una parte intese commerciali per un controvalore di 7,3 miliardi di euro, dall’altra l’impegno di Pechino a sottoscrivere titoli di Stato iberici per circa 6 miliardi di euro.

E l’accordo con Zapatero è solo l’inizio, scrivono Marco Del Corona e Giuseppe Sarcina sul “Corriere della Sera”. Da settimane, a Lisbona non si fa 081024016tache parlare di un soccorso cinese a sostegno della traballante finanza pubblica portoghese. E nei mesi scorsi l’intervento di Pechino ha sicuramente dato una mano a tenere in piedi la Grecia. E subito dopo, l’Irlanda. «Certo, le mosse degli investitori cinesi diventano visibili solo quando c’è burrasca sui mercati, ma sarebbe fuorviante pensare che a Pechino interessino solo i titoli europei più scalcagnati (o se si preferisce i “junk bond” della finanza mondiale)». “Financial Times” e “La Tribune” confermano: il debitoeuropeo sorretto dalla Cina ammonta a 819 miliardi di dollari, contro i 910 dei titoli statunitensi controllati da Pechino, tra riserve dirette e fondi sovrani.

Ora, scrivono Del Corona e Sarcina, i segnali che ormai da mesi arrivano dal grande Paese orientale sono inequivocabili: vendere bond americani e comprare altro, anche titoli di Stato europei. I numeri dicono che nel portafoglio del Dragone cominciano a essere rappresentate tutte le emissioni disponibili, compresi quindi i buoni del Tesoro della Repubblica federale tedesca o della Repubblica francese. Visto da Pechino, questo lavoro di “conversione” riguarda solo una parte della liquidità cinese, che rimane in parte prevalente parcheggiata in dollari. Come spiega al “Corriere” Cinal’economista Wang Yuanlong, «non saranno mai cifre enormi: quello di Pechino è un gesto che darà comunque fiducia all’economia europea».

Un’ipotetica scomparsa della moneta comune, aggiunge Wang, sarebbe contro gli interessi cinesi: «Significherebbe tornare al dollaro come unica moneta di riferimento, mentre il presidente Hu Jintao ripete che Pechino punta a una riforma del sistema monetario globale». Dunque, sostenere l’euro e l’Europa «è nel triplice interesse della Cina, dell’Unione Europea e della comunità internazionale». Una rappresentazione plastica di questo “triplice interesse” si è vista venerdì scorso a Berlino, dove Li Keqiang è stato vezzeggiato dai leader delle più importanti multinazionali tedesche, e quindi europee: Volkswagen, Daimler Benz, Siemens, Basf, Bayer, Deutsche Bank, con cui sono stati firmati protocolli commerciali per 8,7 miliardi di euro.

«La Germania ha più bisogno dei mercati, che dei soldi cinesi», scrivono Del Corona e Sarcina, ma per la cancelliera Angela Merkel la “spugna orientale” può diventare decisiva per prosciugare il debito di vari Paesi dell’Unione Europea che sta mettendo a rischio la stabilità dell’euro. Il dividendo economico incassato dal governo cinese sarà molto alto e probabilmente porterà ad avvicinare i flussi di capitali industriali in entrata e in uscita. Secondo le cifre fornite dal viceministro Xu Xianping, gli investimenti diretti dell’Europa in Cina, alla fine del 2009, erano pari a 6,8 miliardi di euro. Il flusso inverso (dalla Cina verso l’Europa) si fermava invece a quota 6,8 Volvo Chinamiliardi di dollari: un decimo. E con 1.400 imprese cinesi, precisa Xu Xianping, «che danno lavoro a circa 15.000 dipendenti locali».

Uno studio dell’istituto britannico Chatham House, prosegue il “Corriere”, segnala che il 50% delle risorse cinesi prende la strada di Gran Bretagna e Germania (l’Italia assorbe una quota pari al 4%). Ma da tempo Pechino sta allargando il compasso e ora è molto difficile tenere il conto delle ultime iniziative. La più clamorosa forse è l’affare Volvo. La casa automobilistica svedese è stata ceduta dalla Ford al prezzo di 1,8 miliardi di dollari alla cinese Geely. In Svizzera già nel 2009 c’è stata l’acquisizione della Addax Petroleum Corporation da parte del gruppo petrolifero Sinopec per 7,2 miliardi di dollari. In Grecia la Cosco, il più grande gruppo di trasporto marittimo cinese e fra i più grandi al mondo, sta costruendo un terminal per navi transoceaniche al Pireo, il porto di Atene. In Irlanda dovrebbe essere approvato il piano per insediare un distretto manifatturiero cinese nel centro del Paese, ad Athlone: un investimento di 50 milioni di euro.
 
Simile il progetto di un parco industriale formato da piccole e medie imprese orientali a Chateauroux, cento chilometri a sud di Parigi. Mezza Bulgaria, dalla strade alle telecomunicazioni, dovrebbe essere sistemata dalle multinazionali di Pechino, come la Huawei. In Italia, infine, Cina non significa solo il tessile “low cost” di Prato, i centri massaggi di Milano o le bancarelle dei mercati rionali. Società cinesi sono già leader nel solare, aumentano il loro peso specifico nella farmaceutica, nella cantieristica in altri settori con discreto contenuto tecnologico. La Quianjiang ha comprato Li Keqiang con Zapaterole moto Benelli, la Haier i frigoriferi Meneghetti (Padova) e poi si è insediata nel distretto di Varese, la Zoomlion ha rilevato la Cifa (macchine utensili per l’edilizia).

Si potrebbe continuare per ore, basterebbe riferire del pellegrinaggio all’Expo di Shanghai intrapreso da tutti i governi europei, in cerca di investimenti cinesi da riportare a casa. Con la sua economia avanzata e fortemente integrata sull’intero continente, l’Europa è certo un teatro privilegiato dell’espansione cinese, ma in un contesto allargato a tutto il mondo, Mare Artico compreso. Non è un caso se tra le dieci operazioni cinesi all’estero nel 2010 (acquisizioni o fusioni) solo due siano europee: la Volvo appunto (quarta in classifica per importanza), preceduta dalla conquista dell’australiana Arrow Energy a opera dell’alleanza tra PetroChina e l’olandese Shell, per 3,1 miliardi di dollari. Al primo posto della lista, compilata dall’agenzia ufficiale “Xinhua”, figura l’acquisizione di un’unità brasiliana della madrilena Repsol da parte del colosso petrolifero pubblico Sinopec (7 miliardi di dollari), al secondo posto l’acquisto di quote dell’azienda energetica argentina Bridas (info: www.corriere.it).