Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Uova alla diossina. Allarme dalla Germania

Uova alla diossina. Allarme dalla Germania

di Angelo Spaziano - 18/01/2011




Il 2011, oltre ai tradizionali “botti”, s’è accompagnato con un altro genere di scoppi. Esplosioni che stavolta non hanno avuto nulla a che vedere con la polvere pirica dei rauti ma col delicato argomento della sicurezza sulle nostre tavole. L’allarme è arrivato dalla vicina e insospettabile Germania, membro fondamentale dell’Unione europea, orgoglioso della sua economia forte, della sua efficienza, della sua puntualità e dei suoi conti in ordine. Pregi che tuttavia non hanno risparmiato alla locomotiva teutonica clamorose defaillance proprio dove meno se l’aspettava. Ossia il vitale settore dell’agroalimentare. La patria di Goethe, infatti, oltre che alta tecnologia, carbone e cultura, produce ed esporta derrate alimentari in grande quantità. Specialmente carne, formaggi, latte e uova. E tutto questo malgrado Berlino non goda di una tradizione gastronomica paragonabile a quella della vicina Francia o della mediterranea Italia.

Eppure, proprio ad Amburgo è stato battezzato il celebre Hamburger, proprio nella valle del Reno vengono coltivati i pregiati vitigni del famoso “bianco” di Germania, proprio Monaco è la sede dell’Oktoberfest, proprio da queste parti ha visto la luce il gustosissimo “wurstel”. Quindi andrebbe sfatato il luogo comune dei tedeschi “mangiapatate” (o “mangiacrauti”). Basti pensare che la Germania fornisce un quinto del latte consumato in Italia, e con 41 milioni di quintali all’anno fra latte, latticini e formaggi è il nostro primo fornitore di proteine. Sempre da Berlino ogni anno giungono sul mercato italiano 300.000 tonnellate di animali vivi e carni varie su un totale d’importazione che sfiora il milione di tonnellate. Eppure… Eppure è precisamente dal meticoloso Paese della Merkel e della Bce che s’è diffusa la strabiliante mazzata dei polli e delle uova alla diossina, sì, proprio la famigerata sostanza che, fuoriuscita dallo stabilimento Icmesa di Meda (Milano) nell’ormai lontano 1976, intossicò seriamente circa 250 persone.

I sintomi erano quelli della cloracne, una dermatosi provocata dall’esposizione al cloro e ai suoi derivati. Composti chimici che, a contatto con la pelle, causano gravi lesioni e orrende cisti sebacee. Le coltivazioni investite dalla nube si disseccarono e morirono, mentre migliaia di animali contaminati dovettero essere abbattuti. Insomma, pare proprio che il fiume di prelibatezze proveniente da Oltralpe si sia trasformato all’improvviso un una cloaca a cielo aperto.

L’inquietante scoperta è arrivata buon ultima dopo una lunga sequela di allarmi che con periodicità hanno mandato in fibrillazione i mercati – e le massaie – del vecchio continente, Italia compresa. Ricordiamo, tra i casi più recenti, il morbo dalla mucca pazza britannico, l’olio adulterato spagnolo, l’influenza aviaria e il latte alla melammina cinese, il sushi all’anisakis giapponese, i prodotti made in Italy scaduti e riciclati, l’influenza suina messicana. E ancora, proseguendo nella galleria degli orrori gastronomici, i prioni assassini, il vino al metanolo, le mozzarelle azzurrognole provenienti dalla Campania, l’acqua all’atrazina, i pomodori contraffatti e i prosciutti adulterati. Si suppone che la presenza di diossina nel pollame e nelle uova made in Deutschland sia dovuta in prevalenza ai mangimi usati per l’alimentazione del bestiame. Mangimi fortemente contaminati da oli industriali e altri tipi di sostanze nocive.

Già nel 2005 infatti, in Bassa Sassonia e nello Schleswig-Holstein, regioni di provenienza delle derrate incriminate, era stata rilevata una contaminazione di ben il 28% dei polli prodotti in loco. Si trattava soprattutto di animali allevati all’aperto. Ruspanti, quindi i più pregiati, in quanto ritenuti al di sopra di ogni sospetto. Il portavoce del Commissario europeo per la Salute, John Dalli, ha immediatamente cercato di rassicurare gli allarmatissimi consumatori continentali sottolineando che il livello di contaminazione delle uova tedesche, malgrado tutto, rimane “relativamente basso”, mentre nello scandalo dei mangimi avvelenati che esplose in Belgio nel maggio 1999 tali livelli erano “100 volte superiori”.

Berlino però non se lo è fatto dire due volte ed è corsa subito ai ripari, chiudendo ope legis oltre 4.700 allevamenti di polli e maiali, dando il colpo di grazia al settore, già di per sé in difficoltà. Tuttavia, malgrado la tempestività delle misure adottate, il danno ormai è fatto, anche se pare siano stati esportati solo due carichi di uova contaminate. Il primo, il 3 dicembre scorso, diretto in Olanda, sarebbe stato trasformato e spedito a sua volta nel Regno Unito. Il secondo, il 15 dicembre scorso, invece, mescolato con altre uova e suddiviso in tre lotti, ancora non si sa dove sia finito.

La psicosi pertanto s’è subito diffusa in Inghilterra, dove alcuni supermercati per precauzione hanno deciso di ritirare dagli scaffali migliaia di confezioni contenenti cibi prodotti con uova tedesche. Pare che una piccola quantità di uova tossiche sia riuscita comunque a raggiungere anche i nostri punti vendita, sebbene il ministero della Sanità Ferruccio Fazio abbia dato la rassicurazione di averle rapidamente intercettate. Complessivamente, insomma, le partite di uova giunte in Italia dal mercato tedesco non proverrebbero da allevamenti sospetti. «Nessun rischio contaminazione diossina per le uova vendute nel nostro paese, e sono più che sicuri anche gli altri alimenti, ovvero carne suina, pollame e latte», ha garantito all’Adnkronos Silvio Borrello, direttore generale per la sicurezza degli alimenti del ministero della Salute. «Le autorità tedesche, ha aggiunto Borrello, non hanno segnalato alcun invio in Italia di lotti di alimenti provenienti dagli allevamenti a rischio contaminazione». «Nessun problema, siamo molto tranquilli – gli ha fatto eco Davide Calderone, veterinario e vicedirettore dell’Assica (Associazione Industriali delle Carni) -. I controlli del ministero e delle aziende sono molto accurati. E comunque eventuali contaminazioni da diossina nei mangimi, come è avvenuto in questo caso in Germania, è praticamente impossibile che si trasferiscano nelle carni. Ci sarebbero tempi di diluizione che potrebbero far rilevare tracce di quella sostanza tossica nell’ordine di qualche picogrammo».

Il portavoce del commissario Ue ha poi assicurato che le autorità olandesi sono intervenute con decisione per individuare la merce sospetta e ha affermato che in ogni caso sarebbe necessario consumare qualche dozzina di uova per raggiungere una concentrazione di diossina letale per l’uomo. La ditta produttrice – la Harles & Jentzsch – ha intanto candidamente riconosciuto di aggiungere ai mangimi residui di olio biodiesel. Inoltre i responsabili della farm già da marzo erano a conoscenza del fatto che i propri grassi alimentari contenevano elevati livelli di diossina. Due volte superiori alla norma, ad essere precisi.

Il ministero dell’Agricoltura dello Schleswig-Holstein, però, è stato informato della cosa solo il 27 dicembre scorso. Il ministero della Salute tedesco ha tentato di addolcire la pillola dichiarando che la percentuale di diossina contenuta nei prodotti incriminati è sì 3-4 volte superiore alla soglia consentita, ma comunque «non pericolosa per la vita umana». Il fatto è che l’elevata concentrazione d’industrie nelle regioni interessate dal fenomeno può avere contribuito, tramite il fall out, a spargere veleni sulle derrate. E le industrie non si possono certo spostare altrove per non inquinare il vicinato. Resta il fatto che la diossina è un elemento che, una volta penetrato nell’organismo umano è assai difficile da smaltire.

Inoltre, secondo il quotidiano tedesco “Bild”, qualche allevatore potrebbe avere inconsapevolmente somministrato agli animali da mungere del mangime inquinato. Quindi è possibile che del latte a rischio sia stato inavvertitamente commercializzato insieme con gli altri prodotti: uova, carne di pollo e di maiale. «Il mangime contaminato da diossina è stato dato anche alle mucche – ha detto alla “Bild” Manfred Santen, di Greenpeace -. E negli animali la diossina si deposita soprattutto nella parti grasse, quindi anche nel latte». A sua volta Christiane Gross, portavoce dell’associazione non governativa “Foodwatch” che si batte per i diritti dei consumatori nel comparto alimentare, ha sostenuto che «al momento non è escluso che il latte contaminato da diossina abbia raggiunto gli scaffali dei supermercati» tedeschi.

Juergen Spreen-Ledebur, un allevatore di mucche del Land dello Schleswig-Holstein, ha affermato che l’allevamento dove lavora è stato chiuso e che sarebbe stato obbligato dalle autorità a buttare via ben 1.700 litri di latte al giorno. Intanto, ai consumatori italiani che intendono cautelarsi da brutte sorprese non resta che controllare con attenzione la dicitura stampigliata sui gusci delle uova acquistate. Se il prodotto reca la sigla “IT” (Italia), non c’è da preoccuparsi. Va poi consigliato di dare un’occhiata alla sigla composta di numeri e lettere. Queste indicano il comune dell’allevamento, la provincia d’appartenenza, l’allevamento di deposizione e il Paese di produzione. Se la cosa risultasse alquanto complessa nessun problema. La tecnologia s’è già attrezzata all’uopo, offrendo un’applicazione gratuita per Smartphone in grado di decifrare velocemente il codice suindicato. L’applicazione inoltre consente di consultare un’apposita banca dati alla ricerca di produttori che abbiano somministrato al bestiame mangimi contaminati con sostanze chimiche cancerogene.

Ad ogni modo la Coldiretti ha proposto d’introdurre immediatamente l’obbligo d’indicare sull’etichetta la provenienza di tutti gli alimenti, come previsto dal disegno di legge in discussione alla Camera. La normativa vigente infatti prevede l’obbligo dell’indicazione del luogo d’origine in etichetta soltanto per il latte fresco, mentre per il latte a lunga conservazione non è prevista alcuna specificazione di provenienza. Stessa cosa accade per i derivati del latte e per i formaggi, ma anche per la carne suina, di pecora, agnello e coniglio. Insomma, il pericolo viene da Oltralpe, ma non è detto che le nostre industrie alimentari siano immuni da pecche. L’Europa infatti rimane un territorio intensamente industrializzato, e l’inquinamento non conosce frontiere. Come le piogge acide, chiunque potrebbe rimanere vittima potenziale del fall out collaterale alle numerose fabbriche che insistono sul suolo continentale. Sotto a chi tocca, dunque, e avanti il prossimo.