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Puttanopoli

di Francesco Lamendola - 20/01/2011


Le cronache del Basso Impero che, malinconicamente, stiamo vivendo, si sono arricchite, si fa per dire, di una nuova, avvilente pagina: dopo Tangentopoli, Parentopoli e Vallettopoli, eccoci arrivati all’ultimo gradino - più in basso è quasi impossibile scendere: Puttanopoli.
E lo diciamo senza alcun compiacimento scandalistico, senza alcun intento polemico: ma solo fotografando esattamente, impietosamente, la cruda realtà dei fatti.
Quello che in qualunque altro Paese serio avrebbe comportato le dimissioni immediate del premier e il suo ritiro a vita privata (privata per modo di dire, visto l’immenso impero mediatico e finanziario di cui dispone e di cui continuerà a disporre, tale da consentirgli le più ampie pressioni sull’economia, sulla politica e sulla società italiana), da noi è già stato metabolizzato, peggio, è stato rimosso e cancellato da quella metà del Paese che non pensa più con la propria testa, ma si lascia suggestionare dalla pancia e, qualunque cosa accada, non si basa più sui fatti oggettivi della politica, ma unicamente sul richiamo viscerale del più demagogico populismo.
Il resto del mondo non sa più se ridere o piangere di noi; solo noi, imperterriti, continuiamo come se nulla fosse, non ci scandalizziamo più, non siamo più capaci di provare indignazione: a dispetto del fatto che destra e sinistra non esistano nel resto del Pianeta, eccezion fatta per Cuba e la Corea del Nord, da noi ci si continua a schierare visceralmente, irrazionalmente, in nome della dialettica destra-sinistra, pro o contro un avventuriero che, in qualunque Paese serio, non sarebbe arrivato nemmeno a fare il sindaco di una cittadina di provincia.
E lo scandalo vero del premier - quest’ultimo scandalo, si badi, tralasciando tutto il resto: il conflitto d’interessi, le leggi «ad personam», la sistematica delegittimazione di quei poteri dello Stato che gli danno fastidio - non è tanto quello di natura sessuale, anche se esso dovrebbe offendere profondamente tutti gli Italiani per almeno due ragioni: primo, perché lo stile di vita del premier è un autentico insulto alle difficoltà economiche sempre più gravi in cui si dibattono milioni di famiglie italiane; secondo, perché esso, venendo da parte di chi si è sempre presentato come il paladino dei valori tradizionali, e particolarmente cattolici, a cominciare dalla famiglia, denota un cinismo e una mancanza di coerenza pressoché totali.
Tuttavia lo scandalo vero, dicevamo, non è quello sessuale; non è in nome del moralismo che il comportamento del nostro presidente del Consiglio dovrebbe suscitare la condanna senza appello di tutti gli Italiani- di sinistra, di centro e di destra, indipendentemente dalle loro convinzioni politiche, purché gelosi del buon nome e della rispettabilità del proprio Paese; anche se sarebbe perfettamente legittima una reazione sul piano della morale sessuale, visto che, se è vero che la vita privata delle persone riguarda loro soltanto, è altrettanto vero che quel signore ha costruito le proprie fortune politiche sbattendoci in faccia, anche attraverso album fotografici spediti in tutte le nostre case, precisamente la dimensione del suo privato: della sua famigliola unita e felice, dei figli sorridenti, della moglie bella ed elegante, della villa sfarzosa, con tanto di parco e di piscina.
Lo scandalo vero è la menzogna: reiterata, testarda, recidiva e assolutamente impenitente, sfrontata al di là di ogni limite tollerabile.
Già solo l’aver telefonato alla Questura di Milano per far rilasciare una minorenne, in stato di fermo con l’accusa di furto, inventandosi che era la nipote di un capo di Stato, dovrebbe bastare e avanzare per incrinare irreparabilmente il rapporto di fiducia che deve esistere, necessariamente, tra i cittadini ed i loro massimi rappresentanti istituzionali.
Fra parentesi, l’affermazione del Ministro dell’Interno che nulla di irregolare è avvenuto, quella sera, a Milano, è un capitolo a parte della tristissima vicenda: e mostra «ad abundantiam», qualora ve ne fosse bisogno, fino a che punto la Lega, che si era presentata, fin dalla “rivoluzione” del 1992, come il partito della moralizzazione più intransigente, si sia ridotta a fare da ancella alle peggiori irregolarità del governo, assecondando il più assoluto disprezzo delle norme di cui si pretende il rigoroso rispetto, invece, da parte del comune cittadino.
Sia detto per inciso: se anche quella certa signorina fosse stata davvero la nipote di Mubarak, le sarebbe spettato un simile trattamento di favore? Avrebbe avuto il diritto di lasciare tranquillamente la Questura; di essere riaccompagnata, nel giro di un’ora, non presso qualche adulto responsabile e che si facesse garante per lei, ma in casa di una prostituta?
Questo, invero, è uno degli aspetti intollerabili dell’intera, squallida vicenda: perché noi tutti ci siamo ormai quasi abituati, chi più e chi meno, ad accettare come “naturali” dei comportamenti, da parte dei nostri uomini politici, che normali non sono affatto; a riconoscere loro il diritto di calpestare quelle leggi che noi comuni mortali, invece, dobbiamo sempre osservare, se non vogliamo vederci trascinare in un’aula di giustizia.
Ma chiudiamo l’inciso e torniamo al punto: la menzogna.
Ricordiamo che per aver mentito ai propri concittadini, l’allora presidente statunitense Bill Clinton giunse ad un passo dell’«impeachement»: non per la sua relazione sessuale con una giovane stagista del suo entourage, ma per aver giurato solennemente, in televisione: «Io non conosco quella donna», ed essere poi stato smentito dai fatti.
Ricordiamo anche che in Gran Bretagna un parlamentare è stato obbligato alle dimissioni per aver segnato sul conto del rimborso spese una cifra semplicemente ridicola, qualche decina di euro in tutto, quella che era stata una spesa di carattere privato.
Eccesso di rigorismo, di becero moralismo puritano?
Nossignori: piuttosto, sentimento di offesa, da parte dei cittadini, nei confronti del patto di fiducia esistente con i propri rappresentanti. 
Chi mente sulle piccole cose, sarà pronto a mentre anche sulle grandi; chi imbroglia sulle piccole o anche piccolissime cifre, è capacissimo di falsificare i conti anche sulle grandi; di perseguire il suo interesse personale a discapito del bene pubblico. Soprattutto, chi non mostra di possedere il senso dell’onore nelle cose di poco conto, certamente non lo possiede nemmeno per quelle di grande significato.
Questo è il senso della vicenda Clinton; questo è il senso delle dimissioni forzate di svariati politici e amministratori inglesi, francesi, tedeschi. In tutti i Paesi seri, esiste una sacrosanta intransigenza da parte dell’opinione pubblica: non si tollera e non si perdona che quanti hanno ricevuto la pubblica investitura agiscano, poi, nel disprezzo delle regole della più elementare correttezza, cui è tenuto fin l’ultimo dei cittadini.
Nei Paesi seri, non solo non si ammette che Cesare sia sospettato o anche solo sospettabile di aver infranto il rapporto fiduciario con i propri cittadini - sia quelli che l’hanno votato, sia gli altri: perché, una volta al potere, egli deve fare gli interessi della nazione e non di una parte sola; non si ammette neppure che la moglie di Cesare sia sospettata o sospettabile.
Da noi, neppure le parole della giovane prostituta - perché di questo si tratta, altro che escort, chiamiamo le cose con il loro vero nome - che si vanta al telefono di aver chiesto al premier una grossa cifra in cambio del proprio silenzio, riescono a fare scanalo; un cifra, sia detto fra parentesi, che suona come una insopportabile offesa nei confronti di tutti quegli onesti cittadini - lavoratori, pensionati, disoccupati per forza e non per amore del dolce far niente - i quali non ce la fanno più, letteralmente, ad arrivare alla fine del mese.
Il dramma autentico del berlusconismo, tutto il male che esso è riuscito a fare in questi ultimi diciassette anni, sta proprio in questo: che esso ha contribuito potentemente a pervertire la morale comune dell’Italiano medio; che lo ha familiarizzato e reso tollerante, arrendevole, se non addirittura distratto e noncurante, di fronte alla sistematica volgarità, alla prepotenza e al disprezzo della legge da parte dei propri rappresentanti istituzionali.
È una malattia che è penetrata ormai in profondità e che ci vorranno generazioni per contrastare e per vincere, con un’opera - se mai verrà intrapresa - di vera e propria bonifica morale, intellettuale, culturale. 
Visto come si comportano i signori della Casta, ormai tutti si sentono sciolti da ogni vincolo di correttezza, di buon gusto, di decenza. 
Gridare ed insultare come fa in televisione il “grande” critico d’arte - che è giunto ad augurare la morte in diretta al proprio interlocutore - è diventata una virtù, non qualcosa di moralmente reprensibile.
Calunniare sistematicamente qualcuno, come fanno da tempo i signori di certi giornali mercenari, non è un comportamento che susciti disgusto e ribrezzo, ma, anzi, che fa aumentare la tiratura di quei giornali stessi.
Far carriera politica (sì, politica: non nel mondo dello spettacolo), passando dal letto di qualche potente, non è più una vergogna, ma quasi una virtù: la virtù dei furbi.
Nemmeno Machiavelli, con tutto il suo cinismo e la sua indifferenza nei confronti dei valori morali, era arrivato a delineare un tale disprezzo delle regole da parte del Principe; anzi, egli aveva bene messo in chiaro che, se quest’ultimo indulge ai vizi privati, può farlo, ma a condizione di non compromettere, con ciò, la propria azione di governo: perché egli non deve essere irreprensibile, ma certo deve fare in modo di sembrarlo.
Per il segretario fiorentino, il Principe non può sbandierare i propri comportamenti trasgressivi; non può vantarsene e gloriarsene, rivendicandone la piena facoltà, senza andare incontro ad un autentico suicidio politico. E ciò per la buona ragione che Machiavelli non ha mai sostenuto che, in politica, il male sia suscettibile di diventare, all’occorrenza, bene, né che il bene sia suscettibile di diventare male; ma solo che, in casi ben definiti, il Principe può essere «necessitato» ad entrare (suo malgrado) ANCHE nel male.
Ma, se ciò accade, bisogna che avvenga per delle buone ragioni: ossia per delle ragioni politiche, quanto dire nell’interesse dello Stato: non per inseguire i suoi capricci privati; non per soddisfare le sue voglie proibite.
Chi agisce in quest’ultima maniera non è, semplicemente, un uomo politico; anche se continuamente si richiama al mandato degli elettori e si fa forte dell’investitura ricevuta “dal basso”; e anche se spinge la sua impudenza fino a sostenere che chiunque voglia mettere in discussione i suoi comportamenti, agisce in modo eversivo nei confronti di quel mandato, ossia (niente di meno) della “democrazia”. 
Strana idea della democrazia, da parte di chi si serve del potere a proprio uso e consumo e continuamente mostra di non sopportare che l’opposizione faccia il suo mestiere, ossia critichi il governo, né che la stampa faccia il suo: giungendo ad invitare i cittadini a non leggere più i giornali italiani (quei pochi che egli non controlla, direttamente o indirettamente), perché, secondo lui, «dicono soltanto fandonie».
Qualcuno riesce ad immaginarsi un Sarkozy, una Merkel, un Cameron oppure un Obama, e sia pure nel momento più acceso della lotta politica nei rispettivi Paesi, che rilasciamo simili dichiarazioni circa l’opposizione di casa propria e circa la libera stampa di casa propria, e ciò con la massima convinzione e con la massima perseveranza?
No: per riuscire ad immaginare una cosa del genere, bisogna pensare a qualche disgraziatissimo Stato africano o latinoamericano; sì e no.
Come poi riesca a non arrossire, questo ineffabile presidente del Consiglio, quando afferma che è “il Palazzo” a volerlo far cadere: proprio lui, che nel Palazzo ci sta come un imperatore del Basso Impero, facendo e disfacendo le leggi nel proprio interesse privato - questo è qualcosa che gli osservatori stranieri fanno molta fatica a capire e ad accettare.
Solo noi, per nostra vergogna, ci siamo ormai quasi abituati; solo noi tolleriamo ciò che, altrove, avrebbe avuto fine da un pezzo.
Ma è tempo di risvegliarsi, di ritrovare fierezza e dignità.
Qui non si tratta, lo ripetiamo, di opinioni politiche, ma del più elementare sentimento della legalità e del rispetto del vivere civile.
Lo diciamo specialmente agli elettori di destra: si sentono davvero soddisfatti e a proprio agio, nel vedersi rappresentati da un simile personaggio?