Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Wikileaks. La percezione statunitense di India e Pakistan

Wikileaks. La percezione statunitense di India e Pakistan

di Francesco Brunello Zanitti - 20/01/2011



Wikileaks. La percezione statunitense di India e Pakistan

 

 

Il fenomeno rappresentato dalle rivelazioni del sito Wikileaks.info ha recentemente avuto un considerevole risalto nei media e nella politica internazionale.

Nonostante i documenti divulgati mettano in luce degli aspetti delle relazioni internazionali per la maggior parte dei casi già noti agli analisti, la loro pubblicazione offre un ulteriore spunto d’analisi per differenti questioni geopolitiche. E’ possibile considerare, ad esempio, alcuni particolari temi, come le relazioni tra India e Pakistan e il loro attivo coinvolgimento in Afghanistan secondo il punto di vista della diplomazia americana.

Per quanto riguarda il subcontinente indiano sono stati diffusi numerosi dispacci provenienti dalle ambasciate americane di Delhi e Islamabad. I cablogrammi pubblicati su alcune testate locali offrono una visuale della percezione statunitense dell’India e del Pakistan e le relazioni tra i due paesi unite alla questione della stabilizzazione dell’Afghanistan.

 

 

 

La considerazione statunitense dell’India

 

 

 

La percezione statunitense dell’India appare in gran parte positiva, nonostante nel giudizio dei diplomatici americani permangano degli aspetti negativi, tali da definire la democrazia indiana come “cupa”.

Da quanto emerge dai documenti pubblicati da Wikileaks, Delhi verrebbe considerato un affidabile alleato in diversi campi. L’India offrirebbe un importante supporto agli obiettivi americani in Pakistan e Afghanistan. Gli Stati Uniti nel corso del 2009 avrebbero apprezzato l’offerta indiana volta alla riapertura dei colloqui di pace con il Pakistan, dopo la rottura diplomatica tra i due paesi in seguito agli attentati di Mumbai del 26 novembre 2008. Il tema delle relazioni indo-pakistane è strettamente legato, oltre alla decennale questione del Kashmir, alla competizione strategica che è in corso in Afghanistan. Entrambi i paesi, alleati degli Stati Uniti nella lotta globale al terrorismo internazionale, sono ferocemente nemici in merito alla ricostruzione dello Stato dell’Asia centrale. L’Afghanistan è considerato, soprattutto a partire dall’invasione sovietica e durante il governo talebano, un fondamentale nodo strategico per il Pakistan in funzione anti-indiana; la presenza attiva dello storico nemico in Afghanistan costituirebbe un segnale preoccupante per la classe dirigente pakistana. Una significativa influenza indiana in Afghanistan genererebbe da parte pakistana una pericolosa sindrome di accerchiamento, mentre, nella prospettiva dell’India, garantirebbe un più diretto accesso alle cospicue risorse di idrocarburi delle repubbliche ex-sovietiche dell’Asia centrale, fondamentali nel supportare l’attuale fase di ascesa economica di Delhi. Islamabad teme, inoltre, che l’aiuto indiano allo sviluppo delle infrastrutture afghane aumenti la popolarità dell’India in loco. Ciò renderebbe molto più difficile l’instaurazione di un governo filo-pakistano, riprendendo il controllo diretto del paese al ritiro dei soldati Nato e delle truppe statunitensi.

Secondo gli americani, posta l’importanza del contributo indiano in Afghanistan, l’auspicata riapertura del dialogo tra i due paesi verrebbe vista positivamente da Washington, così come sono accolte favorevolmente le rassicurazioni indiane al Pakistan sui reali interessi afghani dell’India. I diplomatici americani sosterrebbero, comunque, come l’attenzione dell’India nei confronti dell’Afghanistan risalirebbe fin dall’epoca della Partizione del 1947. L’India avrebbe esercitato una considerevole influenza su Kabul, la quale sarebbe venuta meno solamente durante il governo talebano. Gli Stati Uniti considererebbero a questo proposito irrealistica l’aspettativa pakistana che l’attuale governo afghano diventi anti-indiano e filo-pakistano, considerati gli stretti legami tra Karzai e l’India, i benefici apportati dall’assistenza indiana alla ricostruzione del paese, nonché le conseguenze derivate dalle politiche di soft power lì esercitate da Delhi. Gli Stati Uniti apprezzerebbero a questo proposito la focalizzazione indiana sulla ricostruzione delle infrastrutture e la stabilizzazione del paese, dal momento che l’aiuto militare dell’India sarebbe molto limitato.

Per quanto concerne gli aspetti positivi della percezione statunitense dell’India non si può dimenticare la collaborazione indo-americana riguardante il nucleare. La firma delloU.S.-India Civil Nuclear Cooperation Agreement del 2006 verrebbe considerato dai diplomatici americani come un evento storico e un elemento essenziale della definitiva trasformazione delle relazioni tra i due paesi rispetto all’epoca della Guerra Fredda. Una conseguenza strettamente collegata alla cooperazione tra Stati Uniti e India, sarebbe rappresentata dalle preoccupazioni pakistane. Dai dispacci risulterebbe evidente l’irritazione di Islamabad per la firma del trattato, tanto da far considerare all’establishment dello Stato islamico il fatto che gli americani privilegino l’India rispetto al Pakistan nella propria agenda politica in Asia Meridionale.

Un ulteriore aspetto di positività dell’India, secondo la visuale americana, sarebbe la galoppante crescita economica del paese asiatico, anche se i benefici sono per il momento ristretti a una minoranza nel paese. Gli Stati Uniti riconoscerebbero come l’India si stia trasformando in un importante protagonista nei diversi forum economici multilaterali: dal WTO al G20, dalla Banca Mondiale al FMI, così come fondamentale sarebbe il suo ruolo nei summit riguardanti l’ambiente e la prevenzione dei cambiamenti climatici. I diplomatici americani osserverebbero e giudicherebbero positivamente il fatto che l’India sia diventato uno dei principali partner esteri nel commercio di beni e servizi e che gli Stati Uniti siano il più grande investitore in India. Secondo alcuni dispacci americani, inoltre, la maggioranza dei musulmani indiani, grazie ai progressi derivanti dalla crescita economica e alle possibili conseguenze di benessere unite al tradizionale carattere laico dello Stato, sarebbe meno attirata, rispetto ad altri paesi dell’area, all’integralismo islamico e al terrorismo.

Le note dolenti ci sono e molto pesanti. Secondo gli americani riguarderebbero in particolar modo la politica interna del paese, oltre alla classe dirigente colpita da una dilagante corruzione, la quale caratterizza tutti i livelli delle istituzioni pubbliche indiane.

La coalizione al governo del paese, formata dal Partito del Congresso e da altre compagini minori, guidata dal primo ministro Manmohan Singh, ha offerto un considerevole aiuto al rafforzarsi delle relazioni indo-americane. Il governo avrebbe però perso la maggioranza dei consensi all’interno del Paese nel corso del 2009 e soprattutto dopo il fallimento nel luglio dello stesso anno del meeting di Sharm-el-Sheikh tra Singh e il premier pakistano Gilani. L’opinione pubblica indiana sarebbe ancora sconcertata dalla mancata chiusura delle indagini sugli attentati di Mumbai e dalla scarsa se non nulla collaborazione pakistana. A questo proposito l’India, e in parte anche gli Stati Uniti, avrebbero chiesto direttamente al Pakistan una ferma condanna e il definitivo cessare dell’appoggio all’organizzazione terroristica Lashkar-e-Taiba (LeT), la quale sarebbe l’artefice degli attentati terroristici.

Per quanto riguarda gli attacchi di Mumbai, gli Stati Uniti sottolineano un altro aspetto negativo riguardante l’India, ovvero l’inaffidabilità degli apparati di sicurezza e dei servizi d’intelligence. Da numerosi cablogrammi risulterebbe come la diplomazia statunitense sia rimasta fortemente colpita dal completo fallimento dei servizi segreti indiani nel prevenire gli attacchi del novembre 2008. L’opposizione risulterebbe, dunque, secondo la prospettiva dei diplomatici americani, rafforzata rispetto al periodo post-elettorale.

Sarebbero da non sottovalutare, inoltre, le rivendicazioni dei gruppi estremisti indù, rinvigorite dopo l’acuirsi della tensione tra Delhi e Islamabad e sostenute in funzione anti-governativa dal partito nazionalista induista d’opposizione Bjp. Interessante a questo proposito sarebbe la considerazione del problema dell’estremismo induista da parte del probabile futuro primo ministro indiano Rahul Gandhi, giovane Segretario Generale del Partito del Congresso. A margine di un incontro con l’ambasciatore statunitense del luglio 2009, Gandhi avrebbe sottolineato come, unito al problema del fondamentalismo islamico, esisterebbe l’ulteriore grave minaccia proveniente dall’accresciuto radicalizzarsi delle frange estremiste indù, le quali, oltre ad essere in certi frangenti più pericolose dell’estremismo islamico, porterebbero a una costante situazione di tensione religiosa e politica all’interno del paese.

 

 

 

La percezione statunitense del Pakistan

 

 

 

La considerazione americana del Pakistan è seriamente preoccupata, dal momento che il paese, secondo quanto riferito da diversi diplomatici di Washington, starebbe prendendo una cattiva direzione.

Le primarie preoccupazioni statunitensi riguarderebbero il nucleare. Dal 2007 gli Stati Uniti avrebbero avviato, invano, una serie di azioni segrete per rimuovere da un reattore nucleare pakistano un quantitativo di uranio altamente arricchito con il timore che avrebbe potuto essere utilizzato dai terroristi. Nel 2009 il governo pakistano avrebbe impedito ai tecnici americani l’accesso al sito, temendo una percezione negativa della questione da parte dell’opinione pubblica. Da parte americana, oltre all’irritazione per il mancato accesso al sito, apparirebbe incomprensibile come il Pakistan, nonostante si trovi in una condizione economica catastrofica, sia uno degli Stati al mondo con la più alta produzione di ordigni nucleari. Una spiegazione di questo aspetto, secondo Islamabad, si giustificherebbe per il contemporaneo aumentato riarmo dell’India, spiegato però dai diplomatici americani in funzione anti-cinese anziché anti-pakistana.

Uno degli elementi chiave per garantire un miglioramento dei rapporti indo-pakistani risulterebbe dal superamento dell’ossessione per il nemico presente in entrambi i paesi, in particolar modo però in Pakistan. Interessante a questo proposito è la ricostruzione da parte della diplomazia americana del diverso approccio alla questione afghana e all’India da parte dei differenti protagonisti della politica pakistana. In Pakistan esisterebbe un doppio governo, uno civile, guidato attualmente dal presidente Zardari e dal premier Gilani, e uno militare, sostenuto dall’influente esercito e dall’ISI. Secondo Zardari e Gilani la minaccia principale per il Pakistan deriverebbe dal permanente carattere insurrezionale della zona occidentale del paese, al confine tra Afghanistan e Pakistan: nella provincia della Frontiera del Nord Ovest, in Waziristan, nella Federally Administered Tribal Areas (FATA) e in Belucistan. L’ISI, l’esercito e gran parte dell’opinione pubblica individuerebbero, invece, ad oriente il nemico maggiore e considererebbero l’Afghanistan un asso strategico di un possibile futuro conflitto armato con l’India. Non solo. Il controllo del vicino afghano garantirebbe anche il prevenire qualsiasi tipo di nazionalismo afghano o pretese d’indipendenza su base etnica da parte dei nazionalisti pashtun. Avendo l’esercito pakistano e i potenti servizi segreti una simile prospettiva è chiaro come possa venire percepito dal settore militare e dall’ISI un possibile avvicinamento all’India. Gli Stati Uniti sosterrebbero come sia ancora evidente l’appoggio dell’ISI ad organizzazioni terroristiche come LeT e la Rete Haqqani, nonché il sostegno al mullah Nazir e a Gulbuddin Hekmatyar, uno degli uomini politici più influenti e controversi della storia afghana; il supporto ai fondamentalisti islamici sarebbe uno strumento di politica estera in funzione essenzialmente anti-indiana. Gli americani vedrebbero, invece, di buon occhio una maggiore attenzione da parte pakistana verso le aree occidentali, le zone tribali considerate il covo di Al-Qaeda e la provincia nord-occidentale, feudo talebano.

Le buone notizie da parte statunitense riguarderebbero il presidente Zardari, considerato filo-americano, anti-estremisti, uno dei migliori alleati all’interno del governo pakistano e, soprattutto, colui che ha dato l’avallo ai bombardamenti americani delle zone tribali tra Afghanistan e Pakistan. Le preoccupazioni americane a questo riguardo sono rivolte all’effettivo potere del presidente nel paese e alle pressioni esercitate dal potente ISI e dall’esercito.

 

Dai file pubblicati emergerebbe, dunque, una situazione complicata e intricata, dove chiaro sarebbe l’appoggio pakistano ad organizzazioni terroristiche e permanente la rivalità tra India e Pakistan, senza dimenticare la contesa del Kashmir. Una positiva risoluzione del decennale contenzioso della provincia divisa tra i due paesi nel 1947 sarebbe senza dubbio un primo passo importante verso il disgelo e la normalizzazione dei rapporti tra i due paesi. Come conseguenza, anche l’Afghanistan potrebbe trarre vantaggio da un miglioramento dei rapporti tra Delhi e Islamabad. In caso contrario, invece, il paese continuerebbe solamente ad essere percepito come terreno di scontro e di competizione per i rispettivi disegni geopolitici di India e Pakistan, al fine di aumentare la propria influenza nel contesto dell’Asia Meridionale.

Certo, anche la pubblicazione dei cablogrammi da parte di Wikileaks non ha sicuramente giovato alla normalizzazione dei rapporti tra India e Pakistan. I file pubblicati sono non solo importanti per l’analisi, ma anche possibili portatori di pericolose conseguenze, se utilizzati in modo pretestuoso. Si può a questo proposito ricordare, infatti, come poche settimane dopo la pubblicazione dei primi dispacci, siano usciti su alcuni quotidiani pakistani falsi documenti in funzione anti-indiana che ricordavano, ad esempio, azioni di pulizia etnica da parte del governo indiano in Kashmir. Pochi giorni dopo, visto il clamore suscitato dalle false notizie, i quotidiani hanno smentito la reale esistenza dei file scusandosi con i lettori.

 

 

 

*Francesco Brunello Zanitti, Dottore in Storia della società e della cultura contemporanea (Università di Trieste)