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“B” come birra

di Mario Grossi - 24/01/2011


When the world is too dark
And I need the light inside of me
I’ll go into a bar and drink
Fifteen pints of beer

Shane MacGowan

 

Fu molti anni fa. Mio figlio era uno scolare della quinta elementare, bravissimo e indisciplinato. Era un giorno come un altro, quando mi fu recapitata una lettera della scuola in cui s’intimava, a me e a mia moglie, di presentarci il giorno dopo per delle “comunicazioni urgenti”. È questo un modo oscuro e burocratico, direi kafkiano, per dire ai genitori che il loro caro figlioletto ne aveva combinata un’altra delle sue. Non ne fui particolarmente sconvolto. Nel passato ne avevo già ricevute altre e sapevo di cosa si trattava.

La mattina dopo però mi trovai di fronte la sua maestra, una pia donna (così si dice o diceva di tutte quelle insegnanti sulla cinquantina, democristiane e devote a Santa Madre Chiesa) con un foglio protocollo in mano. Era una scena già nota. Ero già stato convocato per i temi d mio figlio che, ineccepibili nella forma, solitamente contenevano delle bizzarre prese di posizione che venivano stigmatizzate ogni volta dalla maestra, poco usa alle sue eccentricità.

Questa volta però la situazione sembrava più seria del solito e del previsto. La maestra appariva imbarazzata e tratteneva a forza la rabbia.

Il tema era la classica descrizione di uno spaccato familiare con un abbozzo della madre e del padre. La frase però che aveva scatenato l’inferno diceva, dopo una serie di ovvietà sul caro paparino, testualmente: «Mio padre si ubriaca tutte le sere».

La maestra voleva vederci chiaro. Certo mi conosceva, conosceva mia moglie, conosceva la deforme immaginazione di mio figlio, ma si sentiva in dovere di indagare per evitare che il giovane fosse traviato da un padre depravato.

Tutto si risolse in un nulla di fatto quando mia moglie (io indignato mi ero rifiutato di collaborare a quello che sembrava proprio un interrogatorio) sconfessò mio figlio, dichiarando che era mia abitudine stappare un’innocente birretta prima di cena e che la mia notoria sobrietà non poteva certo essere minata da 33 cl di una bevanda a bassa gradazione alcoolica.

È da allora, ma ci sono stati altri casi che hanno avvalorato il mio pensiero, che giudico pericolosissimi i bambini nella loro falsa ingenuità e nel loro ipocrita candore, molto più della birra.

È per questo motivo che mi sono letto con gran godimento, nonostante qualche riserva per alcuni scivoloni moralistici, B come birra, una favoletta di Tom Robbins edita da B.C. Dalai editore.

La storia, banale nel suo impianto, racconta una normale famiglia americana, i Perkel, con una madre annoiata che presta scarsa attenzione alla figlia, un padre assente per i troppi viaggi di lavoro, una figlia, Gracie, curiosa e ingenua e uno zio, Moe filosofo e ubriacone, vero riferimento ideale della bimbetta.

In tutte le famiglie che si rispettino c’è uno zio eccentrico, nullafacente e chiacchierone, amante del bere e della filosofia piana, tipica di tutti i saggi bevitori, che non la leggono o la insegnano ma la vivono e la raccontano.

È attraverso lo zio Moe che Gracie impara molte cose sulla birra ed è a causa sua che fa infuriare il catechista domenicale, scandalizzato dalle dichiarazioni bizzarre della bimba sulla bionda bevanda.

D’altra parte, come non essere attirati da quel mondo dopo aver sentito lo zio Moe raccontare?

“Quando i birrai mischiano il luppolo con lieviti e grano e lasciano fermentare – che è un altro modo di dire marcire – la mistura, questa si trasforma magicamente in un elisir così effervescente con il suo cappello di schiuma, così regale con i suoi riflessi d’oro, così invitante per i suoi potenziali effetti, così trionfalmente rinfrescante, da conquistare l’anima e proiettarla verso le eteree altezze in cui, per parafrasare Baudelaire, tutte le bizzarrie umane fluttuano e si confondono”.

È sempre lo zio Moe che le fa assaggiare, schifandola, un sorso.

Ed è sempre lo zio Moe che causa tutti gli accadimenti che danno vita alla favola.

Avendole promesso come regalo di compleanno una visita alla fabbrica della Redhook, la birra da lui preferita, ed essendosi rotto un piede il giorno prima non riuscendo a mantenere la sua promessa, causerà un moto di rabbia e lacrime in Gracie che stizzita ruba due lattine dal frigorifero e si ubriaca.

È nella sua stanza, che comincia a roteare vertiginosamente, che a Gracie apparirà la Fata della Birra che la condurrà in un alato viaggio alla scoperta di come la bevenda viene fabbricata, tra campi di orzo e magazzini di luppolo (replicando la visita che lo zio non è stato in grado d garantire) e attraverso ciò che la birra può indurre in chi ne fa esperienza.

La bambina scoprirà che ci sono tre modi di assumere birra che producono effetti diversi e contrapposti.

Allegria e cordialità in chi non ne abusa, aggressività violenta in chi eccede e, ma questo riguarda solo pochi e in casi particolarissimi, la scoperta che la birra può schiudere una porta sul Mistero.

«La birra è intimamente legata ai Quattro Elementi. Li conosci? Sono Terra, Aria, Fuoco e Acqua. Insieme formano la base di quello che alcuni amano chiamare mondo reale. Grano e orzo vengono dalla terra, naturalmente. I cereali vengono riscaldati per produrre il malto, che viene a sua volta cotto: qui entra in gioco il fuoco. Per quanto riguarda l’acqua, non si tratta certo di un rompicapo, in quanto la birra è essenzialmente dell’acqua migliorata…. L’elemento Aria si trova nelle bolle… Sono le bolle di biossido di carbonio che rendono frizzante la birra, che solleticano le guance con un formicolio e sì, certo, che fanno ruttare».

Ma c’è qualcos’altro che la Fata della Birra le svela.

«Qualcosa che non imparerai mai né a scuola né in un birrificio, è che esiste anche un Quinto Elemento. È vero, c’è un altro componente basilare della realtà, un elemento nutritivo come la Terra, sfuggente come l’Acqua, invisibile come l’Aria e pericoloso come il Fuoco».

«Alcuni la chiamano trascendenza, altri la chiamano magia… prima che la parola divenisse abusata. È una miscela di amore puro, libertà illimitata e totale, spontanea e istantanea conoscenza di tutto il passato, il presente e il futuro….. ci sono alcuni che lo considerano come un’esplosione di energia divina….. ci sono anche persone che si accontentano di chiamarlo semplicemente il Mistero …. Anche se personalmente preferisco la definizione di un musicista jazz che una volta, in un differente contesto, lo chiamò hi de ho».

Dopo il viaggio che la Fata della Birra le ha concesso, Gracie sarà costretta a subire la separazione dei genitori, una vita povera e deprimente, una madre tentata per disperazione dall’alcoolismo. Sarà ancora una volta lo zio Moe, filosofo e ubriacone, a risolvere la situazione e a condurre Gracie verso un happy end che chiude la favola.

Gracie siamo sicuri che avrà imparato, dallo zio Moe e dalla Fata, molto di più di quanto nessun sobrio moralista le avrebbe mai potuto insegnare e siamo sicuri anche che, una volta adulta, incontrerà nuovamente, in piena consapevolezza, la Fata della Birra, che prima di congedarsi da lei le promette: «Ci incontreremo ancora, un giorno. Il mondo comune non è che la schiuma che fluttua sul mondo reale, quello più profondo, e un giorno o l’altro tu e io ci incontreremo ancora».

E non ci può essere miglior congedo, di questa promessa a testimoniare quello che costantemente vado raccomandando a mio figlio: “Si può felicemente navigare su un mare di birra. L’importante è non affondarci desolatamente dentro”.