Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Che Centauro è stato Solzenicyn

Che Centauro è stato Solzenicyn

di Nadia Caprioglio - 27/01/2011

   

La biografia di Ljudmila Saraskina dedicata allo scrittore russo Aleksandr Solzenicyn getta nuova luce su uno degli intellettuali più noti del XX secolo, uno scrittore che si oppose con la sua opera al regime sovietico.
Solzenicyn si fece conoscere in Occidente soprattutto grazie a
 Arcipelago Gulag, tratto dalla sua esperienza personale, che denunciava le aberrazioni dello stalinismo e della dura repressione degli oppositori politici. L’opera di denuncia di Solzenicyn lo costrinse ad abbandonare l’Unione Sovietica, dove si era creato molti nemici. Ancora oggi egli rimane una figura discussa, ma anche un personaggio dal grande valore intellettuale e civile.

In Padiglione cancro Aleksandr Solzenicyn evoca Kitovras, versione russa del Centauro, l’uomo-cavallo che può camminare solo in linea retta. La leggenda racconta che Kitovras nell’attraversare Gerusalemme abbattesse tutte le case che incontrava sulla propria strada. Un’anziana vedova uscì dalla sua capanna e supplicò Kitovras di risparmiarla. La creatura, commossa, deviò il suo cammino, rompendosi una costola, ma lasciò la casa intatta. Solzenicyn ammirava Kitovras: non cedere mai davanti al male, ma sapersi piegare davanti agli umili.
C’è un po’ di Kitovras nel Solzenicyn raccontato da Ljudmila Saraskina, autrice dell’appassionante biografia che le edizioni San Paolo pubblicano a cura di Adriano Dell’Asta. È un Solzenicyn lottatore che si è opposto al regime sovietico, è sopravvissuto al campo di lavoro forzato con la tenace volontà di «far parlare i morti» attraverso la letteratura e poi, molti anni più tardi, ha rimproverato gli Stati Uniti e il mondo occidentale, colpevoli, a suo parere, di aver adottato la felicità come criterio supremo.
Saraskina, che ha dialogato con l’autore e ha avuto accesso ai suoi archivi personali, ripercorre come in un romanzo il lungo cammino di questo figlio della Russia del Sud, cresciuto a Rostov sul Don, proveniente da una famiglia agiata, ma che, orfano del padre dalla nascita, non ha conosciuto altro che l’austerità sovietica. Studia matematica, si iscrive alla facoltà di lettere per corrispondenza allo scopo di realizzare il sogno che coltivava dall’età di sedici anni: scrivere un romanzo sulla Rivoluzione del 1917, mostrandone il suo vero significato per la Russia. Nel frattempo si sposa, parte per la guerra, viene anche decorato; improvvisamente tutto crolla: la polizia militare gli trova una lettera indirizzata all’amico Koka Vitkevic in cui sembra contestare l’operato di Stalin. Una delle foto di cui è arricchito il volume li ritrae insieme, due ragazzi giovani, con i loro galloni di capitano. Il Gulag comincia a inghiottirlo: il carcere della Lubjanka, quindi una prigione-laboratorio del KGB, il campo di Ekibastuz, infine l’esilio in Uzbekistan.
Solzenicyn ama il carattere discreto degli uzbeki, scrive freneticamente, sotterrando in giardino i versi sediziosi. Riabilitato nel 1956, rientra in Russia, dove il suo sogno di tranquillità sembra avverarsi: insegnante nei pressi di Rjazan’, la dolce Russia Centrale, simbolizzata dalla protagonista del famoso racconto La casa di Matrëna.
Lavora con una forza incredibile, dorme poco, compila migliaia di schede sul Gulag, sulla lingua russa, sulla storia russa: ciò che vuole dire al mondo esige una scrittura senza sosta. Il risultato saranno i tre capisaldi della sua opera: il primo è l’esperienza del forzato, il primo cerchio di un inferno che neppure Dante aveva immaginato. È anche l’esperienza del cancro, inPadiglione cancro, il più toccante dei suoi scritti, e l’immortale Una giornata di Ivan Denisovic, il racconto che sta alla base dell’implosione dell’impero sovietico. Il secondo è Arcipelago Gulag, in cui riprende ciò che già Dostoevskij e Cechov avevano tentato: scrivere un’enciclopedia sui campi di lavoro forzato. Il terzo caposaldo è quello immaginato fin dall’adolescenza: La ruota rossa, un immenso romanzo storico sulla Russia per indagare le cause del suo «deragliamento». Solzenicyn è come Kitovras: va avanti diritto, diritto contro il potere sovietico, contro l’Occidente che non gli risparmia ammirazione e biasimo, guidato sempre dalla stessa questione di fondo: fin quando si può collaborare con il male? La sua energia è inestinguibile: trova la forza di fondare una famiglia con la seconda moglie quando il Kgb minaccia di catturarlo di nuovo, nasconde in continuazione i suoi archivi, viene allontanato dall’Unione degli scrittori, poi espulso dalla Russia, parla al Congresso americano, ottiene il Premio Nobel per la letteratura. […] Una personalità della sua levatura non può non essere complessa. Nona caso, è la stessa Saraskina a ricordarlo, all’epoca della sua permanenza nel Vermont era stato coniato un nuovo proverbio: «Dimmi che cosa pensi di Solzenicyn e ti dirò chi sei».

Ljudmila Saraskina, Solzenicyn, Edizioni San Paolo, pp. 1441, € 84.