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Un Paese in estinzione

di Nicola Cacace - 01/02/2011


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Due notizie sulla natalità in quest’inizio d’anno, una buona dalla Francia e una cattiva dall’Italia. Nel 2010 in Francia c’è stato un boom di nascite, 830mila, il più alto da 30 anni mentre in Italia c’è stato l’ennesimo record negativo, 557mila nascite, ancora meno del 2009. In Francia, con 2,1 figli per donna è stato superato il livello di costanza della popolazione, mentre in Italia, con 1,29 figli per donna ci avviciniamo al livello di “sparizione della razza”. Se per adesso la popolazione non cala è solo per l’apporto degli immigrati, i quali contribuiscono anche al tasso di natalità, che sarebbe ancora più basso se non fosse per le 104mila nascite da mamme straniere. Aumenta il divario tra Nord e Sud: il Trentino Alto Adige ha la più alta natalità e la Sardegna la più bassa, dopo secoli il trend si è invertito con un natalità a Nord più alta che a Sud. E questi risultati non avvengono per caso, in Francia le politiche per la famiglia si fanno sul serio nidi, detrazioni fiscali, politiche per l’occupazione, alloggi mentre in Italia di famiglia si parla tanto, ma si fa niente. Niente si fa contro la precarietà giovanile, prima causa della detanalità, che ci fa “conquistare” il triste primato di Paese più vecchio del mondo. Economisti e politici italiani sono abbastanza “distratti” nel quantificare gli effetti negativi, anche economici, della bassa natalità. Il primo fattore di stagnazione ultradecennale della nostra economia risiede proprio nell’invecchiamento accelerato della popolazione. Le multinazionali non investono nei paesi “vecchi” per motivi di domanda (pannoloni e poi?) e di offerta (carenza di mano d’opera giovanile). Le quote, crescente di ultrasessantenni e decrescente di cittadini in età da lavoro, non fanno solo aumentare le spese per pensioni e sanità, non rendono solo necessario il massiccio apporto di immigrati che stiamo sperimentando, ma ha effetti perversi sull’economia poco e male considerati nel dibattito sullo sviluppo. È impressionante il paradosso italiano: abbiamo pochi giovani col più alto tasso di disoccupazione giovanile. Come è possibile? Per ogni dieci sessantenni che vanno in pensione ci sono cinque giovani ventenni a causa del dimezzamento delle nascite dal 1975 ad oggi. Di questi cinque quasi nessuno vuol fare o sa fare i lavori più umili disponibili, falegname, meccanico, contadino, badante, cameriere, etc. col doppio risultato che molti italiani restano senza lavoro e che gli immigrati aumentano. Le politiche per i giovani e le famiglie servono non solo per obiettivi di equità sociale ma per la crescita economica. Difficile fermare il declino economico se non si inverte il declino demografico che dura da più di 30 anni.