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Caro Bondi, il medioevo non si mangia

di Franco Cardini - 07/02/2011

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In più occasioni pubbliche, di fronte a docenti o a quelli che con bislacca espressione siamo abituati a definire "operatori culturali", il ministro Sandro Bondi ha solennemente assicurato di avere a cuore il problema della ricerca scientifica in Italia e promesso che si sarebbe impegnato con tutto se stesso per impedire tagli finanziari di entità tale da comprometterne lo sviluppo in Italia.

Erano balle, ciance, aria fritta. Bondi, non meno che "madame" Gelmini e il resto della componente ministeriale, altro non hanno fatto se non cedere alla brutale lucidità di Tremonti, secondo il quale «la cultura non si mangia». Sembra che governo e maggioranza si preoccupino molto del ridicolo nel quale il nostro paese sta affondando all'estero dopo gli sviluppi degli scandali che hanno visto ancora una volta Berlusconi al centro di una poco invidiabile attenzione mediatica: e ne attribuiscano la responsabilità a magistratura e opposizioni, che avrebbero "portato in piazza" gli affari privati del premier. Come se non fosse lui per primo che, da più di un quindicennio, ci va deliziando con le notizie riguardanti le sue avventure e le sue performances di straricco dongiovanni brianzolo: convinto com'è - e, purtroppo, non a torto - che queste storie da postribolo portino in Italia voti e popolarità. Sarebbe forse allora il caso che chi ha il discutibile onore di essere ammesso alle corti di Arcore o di Palazzo Grazioli, e al tempo stesso ricopre funzioni ministeriali che rischiano di naufragare a causa dei "tagli" imposti dalla Finanziaria, chiedesse al suo generoso presidente una qualche regalìa del tipo concesso alle varie Ruby o Colette.

In fondo, per dire, l'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo - che non è un semplice istituto di cultura che svolga più o meno meritoria attività esornativa, bensì un'istituzione che vanta 130 anni di vita e che può vantare un grosso fatturato editoriale e una delle più belle biblioteche di Roma - si è visto ridimensionare a causa della Finanziaria il contributo pubblico che lo stato gli deve da 190 a 157mila euro. Cioè un quarto della cifra minima che gli è indispensabile per sopravvivere non già - attenzione! - facendo attività di ricerca, come sarebbe sua doverosa funzione, bensì semplicemente pagando affitti e bollette oltre allo stipendio annuo a cinque dipendenti pubblici che prestano servizio nella sua sede storica di Palazzo Borromini. Insomma, signor Ministro, per far quadrare il nostro bilancio di quest'anno, consentire a molti studiosi di proseguire le loro ricerche e pagare cinque stipendi, ci basterebbero 47mila euro in più. Molti, certo. Con tale cifra, nel Bel Paese, una famiglia di quattro persone ci campa quattro anni. Ma meno di un decimo di quanto miss Ruby Rubacuori chiede per far tacere la sua preziosa boccuccia. E un settimo di quanto il premier si compiace di donare "di tasca sua" in una volta sola come graziosa elargizione per consentire a una fortunata fanciulla che sia nelle sue grazie di proseguire gli studi (ci piacerebbe sapere con precisione in quale disciplina).

Il governo attuale, in un momento difficile come pochi nella storia del nostro paese, si sta d'altronde preparando - lo ha dichiarato più volte, eroicamente paludato nelle sue predilette uniformi paramilitari, il prode ministro La Russa - a impegnare fior di milioni in spese militari da buttare nei pozzi senza fondo iracheno e afghano, dai quali lo stesso Obama non sa come far a uscire. Intanto, uccide la scuola e l'università, umilia la ricerca e il pubblico impiego. E, se in qualche modo gli operai, quando vedono calpestati i loro diritti e vilipesa la loro immagine professionale, hanno possibilità almeno di farsi sentire, i poveri "colletti bianchi" sono in cambio corvéables à merci. Chissenefrega se una bibliotecaria magari con marito disoccupato e figli a carico perde il suo lavoro, in un'Italia i cui giovani affinano quotidianamente l'eleganza della loro loquela ispirandosi al Grande Fratello, mentre le famigliole amano trascorrere istruttivi pomeriggi festivi infilandosi nei Centri Commerciali? Certo, «la cultura non si mangia». Peccato soltanto che, ad esempio, i bilanci del Louvre, della National Gallery, del Prado di Madrid e dei Musei Vaticani - opportunamente sostenuti dalla politica dei rispettivi governi - parlino un linguaggio del tutto diverso, quello della cultura come risorsa che fa fare soldi e arreca prestigio.

Prestigio, signor Ministro, significa anche essere rispettati all'estero: e in questo momento abbiamo bisogno più di quello che dei soldi. Si degni di scorrere il Dossier che l'Istituto Storico le ha fatto avere, e nel quale figurano le proteste dei più prestigiosi istituti culturali europei dinanzi alla prospettiva che Palazzo Borromini chiuda i battenti. O sono, anche quelle, tutte calunnie architettate dalla solita sinistra?