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Antica India la culla della civiltà

di Giuseppe Gorlani - 07/02/2011


Il libro si incentra sulla vexata quaestio delle origini dell’Hinduismo. In esso
viene finalmente dimostrato, con argomenti di tipo archeologico, astronomico,
storico e di accurata esegesi dei Veda e di altri testi tradizionali, che il Vedismo,
il Brahmanesimo e l’Hinduismo antico e recente (termini di comodo, inventati
dagli studiosi occidentali, per indicare un unicum indefinibile) sono espressioni
di un’antichissima civiltà emersa dal buio del neolitico e sviluppatasi intorno ai
fiumi Indo e allo scomparso Sarasvati. Sintetizzando una mole considerevole di
dati, gli Autori dimostrano che l’invasione degli Ariani provenienti dal nord,
non è mai avvenuta e costituisce un mito scientifico in procinto di crollare.
Secondo la versione accademica, sin’ora accettata dai più, tali popoli avrebbero
invaso l’India in ondate successive da circa il 2000 al 700 a.C.; gli Ariani - di
razza bianca, nomadi, dediti alla pastorizia, dotati di veloci carri da guerra, di
armi di ferro, di una lingua estremamente elaborata (il sanscrito) e di
un’organizzazione sociale e di una mitologia patriarcali - avrebbero invaso il
nord dell’India e combattutto e sottomesso i dravidici, barbari di pelle scura,
trasformandoli in dasyu, schiavi e servitori. Dall’incontro-scontro tra Ariani e
Dravidici avrebbe preso forma, a poco a poco, quello che noi oggi
arbitrariamente chiamiamo Hinduismo.
Le scoperte di Harappa e di Moenjio Daro nella prima metà del secolo e, assai
più di recente, di Mehrgarh (6500 a.C) hanno dato una prima incrinatura alla
teoria dell'invasione, portatrice di una cultura e di una religione "superiori",
dimostrando l’esistenza di una civiltà indica preesistente assai raffinata e remota
(i siti scoperti, appartenenti a vari periodi, oggi assommano a 2500). Ma
numerose altre sono le ragioni, le scoperte e le prove che rendono tale teoria
inaccettabile; esse vengono riassunte nel cap. 9, intitolato Perché l’invasione
ariana non si è mai verificata: un’argomentazione in diciassette punti. Al
settimo punto si esplicita: «Non ci sono segni che una nuova razza si
introducesse nel nord dell’India in epoca harappana e che gli abitanti dravidici
della regione fossero spinti a sud. Tutti i dati anzi indicano una continuità delle
stesse popolazioni che sono state generalmente ritenute ariane»; e al sedicesimo
punto: «gli ariani vivevano in India già da molto tempo prima della presunta
invasione, presumibilmente da diversi millenni». Riguardo ai termini arya e
dasyu è importante tener presente che essi non indicano razze ma
comportamenti.
Oltre a quanto sopra, gli Autori sostengono l’importanza di una rilettura dei
Veda, in particolare della più antica innodia, il Rig-veda, che, lungi dall’essere
semplici raccolte di inni e formule prive di significato - come numerosi studiosi
hanno spesso creduto - sono «piramidi dello spirito» nelle quali occorre
penetrare con grande rispetto, utilizzando le appropriate chiavi esegetiche.
Chiunque abbia una certa conoscenza dell’India sa che i suoi abitanti (purché
non occidentalizzati) non hanno mai accettato le nostre teorie sulla loro origine;
per esempio, l’autorevole Jagadguru Shri Chandrasekharendra Sarasvati scrive:
«[...] se chiediamo ai nostri contadini come si chiama la nostra religione, essi
non saprebbero darle un unico nome. [...] La nostra sembra essere una religione
senza un nome e senza un segno distintivo. [...] le altre religioni prendono il
loro nome da quello dei rispettivi fondatori. Quindi tali religioni non esistevano
prima dell’avvento di queste grandi personalità e ognuna di esse appare e si
afferma in un ben determinato momento. Da ciò segue logicamente che la
religione degli Indù doveva esistere prima di tutte queste altre fedi. Essa doveva
così essere la sola religione esistente al mondo, provvedendo alle necessità
spirituali dell’intera umanità». Gli indiani, benché siano dotati di una memoria
sorprendente e di uno spiccato amore per le genealogie - abbraccianti un arco di
novemila anni -, non conservano alcun ricordo della presunta invasione. E’
strano che persino Alain Daniélou, conoscitore diretto della cultura e della
spiritualità della Terra dei Bharata, non se ne sia accorto; nella sua Storia
dell’India, anch’egli accetta la versione accademica, riassumendola nella
Cronologia delle ultime pagine.
Anche Guénon (che tuttavia non credeva nell’esistenza di una razza ariana),
Evola, lo stesso Tilak ed altri importanti esoteristi accettarono la teoria
dell’invasione di popoli provenienti dal nord. Evola (che invece credeva
nell’esistenza di una razza ariana), riferendosi alla spiritualità delle popolazioni
dravidiche, parla di «un prorompere scomposto e equatoriale di simboli animali
e vegetali». E, a tutt’oggi, alcuni cattolici sostengono che la dottrina della Maya
non discende «dalla luce solare degli Arii», la «cinquanta volte millenaria
Razza bianca polare», ma è «un rigurgito dell’India nera dravidica». Nel
presente libro tali asserzioni vengono confutate con argomenti difficili da
contenstare.
Nella seconda parte, dedicata all’eredità culturale e spirituale dell’India antica,
il testo risente dell’essere stato redatto a sei mani e contiene alcune gravi
incongruenze: da un lato si valorizza l’aspetto metafisico (inerente la Realtà
ultima), sovrareligioso e universale della tradizione Hindu, dall’altro, in nome
della scienza integrale dei Veda, si parla di omogeneità tra religione, sophia
perennis e scienza empirica, di evoluzione, di sviluppo e di olismo; il
mondialismo e il villaggio globale ci vengono presentati come inevitabili ed
auspicabili e, trattando il tema fondamentale dell’unità e della diversità, non si
evidenzia con la dovuta chiarezza la necessità di discriminare - sul piano
dialettico - tra dimensione orizzontale e verticale.
Gli Autori hanno probabilmente tentato di accontentare tutti, soprattutto gli
evoluzionisti che, sulla base di teorie “scientifiche” indimostrate, leggono la
Storia come un procedere dal meno al più, dal buio di esecrabili paganesimi a
un futuro computerizzato, l’inferno radioso della Macchina. In modo del tutto
opposto, i Purana collocano il nostro falso splendore tecnologico nell’oscuro
Kali-yuga, all’imo di un processo di decadimento. La visione tradizionale
sembra più realista ed è confermata dalle catastrofiche condizioni in cui il
mondo annaspa vessato dalla cosidetta “civiltà” occidentale: cancro in metastasi
Se una speranza di salvezza sussiste non va riposta certo in un impossibile
incontro-sintesi tra il sapere tecnologico occidentale e la Sapienza orientale
(questa, scaturente dal Purusha, è l’unica veramente indispensabile ed
esauriente giacché contiene e trascende tutte le conoscenze limitate), ma nella
realizzazione della Gnosi immutabile, per identità - dai tempi vedici ad oggi
sempre testimoniata in India -: axis mundi irradiante un cosmos.
Nonostante la grave pecca di cui sopra, il libro è estremamente importante ed
apre orizzonti che potranno influire non soltanto a livello storico, sociale e
scientifico, ma anche aiutare qualche anima smarrita nel viaggio di ritorno alla
Sorgente. «Noi tutti veniamo dall’Oriente - scrisse Max Müller sul finire della
sua vita -; e quanto più apprezziamo ci è giunto dall’Oriente, e andando a
Oriente [...] ognuno dovrebbe sentire che sta andando verso la sua “antica casa”,
piena di ricordi che bisogna solo saper leggere».