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Bisogna sapersi mettere a nudo, invece d’aspettare che sia la vita a farlo brutalmente

di Francesco Lamendola - 09/02/2011





Nel film «The Swimmer» di Frank Perry (titolo italiano: «Un uomo a nudo»), girato nel 1966 ma distribuito solo due anni dopo, tratto da un racconto di John Cheever, il protagonista Ned Merrill, magistralmente impersonato da Burt Lancaster, decide di tornare a casa, dopo una lunga assenza, passando a nuoto attraverso tutte le piscine degli amici - le cui ville sorgono in una verde zona residenziale -, come in un unico fiume del ricordo.
Dapprima accolto festosamente, come un uomo arrivato e di successo, simpatico e affascinante, finisce poi per trovarsi via via in situazioni sempre più ambigue, ostili, umilianti, con gli amici e una ex amante che gli rinfacciano il suo fallimento sociale ed umano, il suo egoismo, la sua meschinità.
Alla fine, intirizzito e dolorante a un piede, dopo aver nuotato in una piscina pubblica, giunge davanti alla sua casa, proprio mentre sta scoppiando un temporale autunnale: ma il portone è sprangato, la moglie e le due figlie non vi abitano più da chissà quanto tempo, nel campo da tennis crescono le erbacce; e Ned, disperato e piangente, si rattrappisce presso il cancello d’ingresso, sotto la pioggia che lo sferza implacabile.
Un gran film, magnificamente diretto e interpretato; una grande storia, che parte da una situazione realistica e solare e si dipana in un clima sempre più cupo e surreale, per concludersi in una atmosfera desolata e allucinante: un film che ci ricorda l’importanza di sapersi mettere a nudo da se stessi, prima che sia la vita a farlo, brutalmente.
La società in cui viviamo, fondata sulla dissimulazione e sul nascondimento, fa di tutto per incoraggiare le persone a celarsi dietro maschere rassicuranti: mostrarsi per ciò che si è realmente, specie sul piano delle idee e su quello affettivo, è considerato alla stregua di una gravissima imprudenza, quasi una follia; se non, addirittura, una forma di esibizionismo o, comunque, un comportamento decisamente eccentrico.
Nel film di Frank Perry il protagonista viene messo a nudo dalle circostanze, anche se tutta la vicenda finisce per assumere più l’aspetto di un incubo o, forse, di una metafora sul crollo del sogno americano della “middle class” affaristica; certo è che l’impresario teatrale Ned Merrill sembra porsi con disarmante candore di fronte ai suoi interlocutori, i quali, da parte loro, lo feriscono senza esclusione di colpi, mostrando di considerarlo ormai un reietto.
La sua ingenuità, d’altra parte, non scaturisce da un animo limpido e da una coscienza lineare; lo spettatore si rende conto, gradualmente, che egli è ben altro da ciò che dice di essere e che crede di essere: uno sbruffone, un chiacchierone, un fallito ancora dominato da impossibili ambizioni e da irragionevoli aspettative.  
In simili condizioni, mettersi a nudo davanti agli altri - davanti ad altri che, invece, continuano a indossare l’armatura dell’ipocrisia e del perbenismo - è realmente una follia e non un atto di coraggio e di trasparenza. Per agire in modo così autolesionista, bisogna essere masochisti; e ciò non corrisponde a una virtù, ma solo a una forma di leggerezza.
Però esiste anche un altro modo di mettersi a nudo: ed è quando un’anima si apre ad un’altra anima, nell’intimità di un rapporto di amicizia o di amore; quando lascia cadere i veli e si mostra nella sua piena verità interiore, senza fronzoli e senza pietose bugie. Certo, anche questo è un rischio, perché vi è sempre la possibilità che un tale atto di fiducia incondizionata venga mal ripagato; ma è il rischio cui vanno incontro, consapevolmente, le anime forti.
Sia l’amicizia che l’amore sono sentimenti che si addicono alle anime forti, non alle anime deboli e vili, desiderose di nascondersi, di camuffarsi, di spacciarsi per qualcosa di diverso da quel che sono realmente.
Colui o colei che sceglie di mettersi a nudo, in un certo senso si consegna disarmato nelle mani dell’altro; il quale potrebbe magari lodarne a parole il coraggio, ma poi approfittarsene alla prima occasione, per tenerlo (o tenerla) in pugno.
Si tratta comunque di una decisione delicata, per la quale non esistono regole e che viene presa in piena coscienza del potenziale rischio che essa comporta.
Anche nel campo delle idee e delle preferenze e convinzioni personali- politiche, religiose, estetiche, filosofiche, perfino sportive - mettersi a nudo, esplicitando il proprio pensiero ed i propri sentimenti, e dunque anche i propri punti deboli, può essere, in certe circostanze, un atto di coraggio e perfino di temerità; come stile abituale, in ogni caso, si tratta di un comportamento che colpisce, perché decisamente raro, essendo contrario alle regole non scritte della prudenza e anche a quelle, diciamolo pure, del quieto vivere.
Nella lingua italiana, l’espressione «un uomo a nudo» contiene una sfumatura di compatimento, se non addirittura di disprezzo: perché assume il punto di vista degli altri, di quelli che non si mettono a nudo, né mai lo farebbero. E non è un elemento trascurabile il fatto che una situazione tipica e addirittura proverbiale dei sogni angosciosi sia quella di trovarsi nudi in mezzo a tante persone rigorosamente vestite.
Viceversa, l’espressione «mettersi a nudo» non possiede tale valenza negativa, ma - semmai - sottintende una certa qual sfumatura di ammirazione; perché la capacità di mostrarsi per quel che si è realmente implica, incontestabilmente, una buona dose di coraggio e rivela un forte spirito d’indipendenza.
Crediamo che la diversità di tono implicita nelle due espressioni dipenda essenzialmente dal fatto che, mentre «un uomo a nudo» appare tale davanti agli altri, perché le circostanze lo hanno spogliato miseramente dei suoi orpelli e delle sue false sicurezze, quella di «mettersi a nudo» è un’azione perfettamente volontaria e deliberata: per cui nel primo caso ci troviamo davanti a un individuo al quale la vita ha strappato ogni maschera, mentre nel secondo siamo in presenza di uno che ha avuto il non piccolo ardimento di strapparsela con le proprie mani, per mostrarsi agli altri quale è veramente, nella sua più intima essenza.
Un uomo a nudo fa soltanto pena; un uomo che sappia mettersi a nudo merita rispetto, se non anche ammirazione.
Il primo è un poveraccio, che non ha saputo calcolare bene le proprie forze; il secondo è un coraggioso, che se ne infischia delle prudenze, delle ipocrisie, delle falsità.
La società è costituita in prevalenza da individui prudenti, calcolatori, abili nell’arte del nascondimento e della dissimulazione: si mostrano e non si mostrano; si mostrano per altro da quello che sono; si mostrano, ma solo se, come e quando lo ritengono opportuno, vale a dire quando lo ritengono confacente ai loro interessi.
Eppure non sono costoro a mandare avanti la società stessa; dal punto di vista spirituale, essi sono solamente zavorra, numero, quantità bruta. Appartengono alla razza di quanti dirigono sempre il timone secondo la direzione vento; di quanti non si espongono mai, non rischiano mai, non osano mai nemmeno un capello, mentre gli altri mettono in gioco la propria testa.
Se c’è una forza che manda avanti la società, una forza morale, che indica la direzione e dà l’esempio, essa è formata dagli uomini e dalle donne capaci di mettersi a nudo: non certo per puerile esibizionismo, si capisce, né per mancanza di autocontrollo; ma per intima scelta di verità e di coerenza e per nobile volontà di far cadere, fin dove possibile, le tenaci barriere della diffidenza, del sospetto, della inautenticità.
Sono uomini grandi e donne grandi (non grandi uomini o grandi donne, che è ben altro concetto), coloro i quali possiedono questa meravigliosa capacità di arrischiare, non i beni o il denaro, ma se stessi, mostrandosi per ciò che sono, senza ostentazione, ma anche senza ipocrisia: dovremmo tutti prenderli a modello di vita.
Ma per non parlare in maniera troppo astratta e generica, facciamo un esempio concreto: poniamo il caso di un incontro sentimentale.
Che cosa non farebbe un uomo, pur di piacere ad una donna che lo attrae; e che cosa non farebbe una donna, pur di piacere all’uomo da cui si sente presa?
Diciamo la verità: la stragrande maggioranza degli uomini e delle donne farebbero qualsiasi cosa, reciterebbero qualsiasi commedia, indosserebbero qualsiasi maschera, pur di piacere all’altro, pur di strappargli un “sì”, magari solo per una notte o per un’ora.
Vi sono forse qualche millanteria, qualche fanfaronata, qualche bassezza, davanti alle quali esiterebbero, in cui non avrebbero il coraggio di avventurarsi, pur di fare bella figura? Bella figura, per modo di dire: quanto può essere bella la figura di chi si adorna e si pavoneggia con dei panni che non gli appartengono.
E magari fossero solo i panni! Ormai, con gli espedienti della chirurgia estetica, non si sa più nemmeno se siano vere quelle labbra, quei seni, quei fondoschiena… Difficile scendere più in basso, in tutti i sensi. Le cinquantenni vogliono il viso fresco delle diciottenni, le sessantenni pretendono i capelli biondi di quando erano ragazzine o che, magari, non hanno mai avuto, proprio ora che sarebbero bianchi: come se mostrare le rughe del viso o i capelli bianchi fosse qualcosa di turpe, di vergognoso.
Non che i signori uomini siano da meno, in fatto di vanità e di patetica rincorsa della giovinezza perduta: dal parrucchino per i più indigenti, al trapianto di capelli per i più danarosi; dal lifting per il viso fino ai tacchi rinforzati per apparire più alti… l’esempio viene da figure istituzionali, non c’è bisogno di aggiungere altro, purtroppo.
Naturalmente, lo ripetiamo, quella di mettersi a nudo è un’operazione che si addice ad un rapporto fra due persone: un rapporto forte, o che si vuole impostare su basi forti. È la base dell’amicizia e dell’amore: senza di ciò, non si costruisce nulla di autentico e di durevole, ma solo un legame effimero e superficiale.
Mettersi a nudo davanti a tutti, così, indiscriminatamente, è una cosa diversa e, in genere, non utile né opportuna; a meno che vi siamo delle circostanze particolari che la giustifichino o la rendano addirittura necessaria.
Un individuo che rivesta cariche pubbliche, ad esempio, o che aspiri a rivestirle, ha il dovere di mettersi a nudo per quanto riguarda le sue idee, i suoi programmi, nonché i valori ai quali si ispira; mentre la sua vita privata è cosa che riguarda lui solo. Beninteso, riguarda lui solo se essa è coerente con quelle idee e con quei valori, in nome dei quali si è presentato ai concittadini; e, inoltre, se risponde ai requisiti minimi della correttezza, della dignità e di un certo grado di sobrietà, doveroso in chi si deve occupare della cosa pubblica.
Nel rapporto a due, invece, si gioca, per così dire, alla pari: e quella di mostrarsi come si è realmente, senza cercare di ingannare l’altro, e sia pure al solo scopo di piacergli, dovrebbe essere una esigenza interiore spontanea, oltre che un dovere verso di lui.
I problemi, tuttavia, sorgono allorché, nel rapporto fra due soggetti, uno solo si espone e si mette lealmente a nudo, mentre l’altro tiene le proprie carte ben coperte, quando non si fa scrupolo perfino di truccare il mazzo.
Che dire di una tale situazione? Evidentemente, se ne deve concludere che il primo soggetto ha valutato erroneamente colui o colei che aveva di fronte, rapportandosi ad esso con un grado di fiducia che quello non meritava affatto; e, d’altra parte, che il secondo ha sprecato una grande occasione di sincerità, preferendo conservare quelle maschere che, prima o poi, la vita finirà per levargli, rivelando l’inganno e mettendo in crisi il rapporto.
Ed è inevitabile che ciò accada, prima o poi: perché, nella vita, quando due persone che si incontrano giocano su due piani di consapevolezza spirituale differenti, chi si trova più in basso non riuscirà a tenere legato a sé chi sta più in alto, a meno di essere disposto a rinunciare alle proprie misere astuzie e alle proprie false sicurezze, per impegnarsi a compiere, a propria volta, un salto qualitativo in direzione della consapevolezza spirituale.
I simili si attraggono e i diversi si respingono, secondo una alchimia arcana regnante in tutto il mondo della natura, che Goethe ha magistralmente descritto, quasi esattamente due secoli fa, nel suo capolavoro «Le affinità elettive».
Ed esiste, in questo, una profonda “giustizia”, ovvero una profonda armonia, che rispetta e, al tempo stesso, riflette i reali rapporti tra la natura profonda degli individui: tra coloro che si sforzano di evolvere, di perfezionarsi, di migliorare la propria comprensione di se stessi e del mond, e quelli che rimangono fermi, per pigrizia, per egoismo o per ostinata immaturità.
La vita offre a ciascuno le sue occasioni.
Sta a ciascuno saperle vedere, saperle cogliere, saperle utilizzare al meglio.