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Se hai il senso del pudore, mettiti le mutande sulla bocca...

di Luigi G. de Anna - 16/02/2011


http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/9/93/Martialis.jpg/200px-Martialis.jpg

Giuliano Ferrara è la conferma lampante della saggezza del detto "i panni sporchi si lavano in famiglia". Infatti (in questo caso si tratterà della famiglia berlusconiana, notoriamente comprendente non solo le Papi-girls ma anche alcuni intellettuali organici), i panni prima li si lava accuratamente e poi li si espone in pubblico. Così al glorioso Teatro Dal Verme, che una volta era luogo di culto della destra milanese, l'altro giorno è stata esposta la lingerie berlusconiana.
Sotto una sfilza di mutande, Ferrara e altri "anti-moralisti" tra cui il ministro della Difesa Ignazio La Russa, hanno voluto testimoniare: «Siamo in mutande, ma vivi». In questo modo il noto giornalista ha inteso ridare dignità non solo alle serate di Arcore e Palazzo Grazioli, divenuti il luogo di culto dell'anti-moralismo, ma anche all'indumento in questione, promosso al ruolo di bandiera dell'Italia che ci governa. Il 17 marzo quindi, al posto del vecchio e consunto tricolore, Ferrara consiglierà al suo pupillo di innalzare su Palazzo Chigi un bel paio di underwear, magari proprio i suoi, in modo che si vedano distintamente anche da lontano a eterno ricordo del berlusconismo imperante (ma forse per poco). Così facendo, Ferrara ritorna a dare alle mutande il loro giusto valore, permettendo che escano dal buio nel quale di solito le teniamo nascoste, per innalzarle con giustificato orgoglio. La mia generazione, cresciuta con le manifestazioni per l'italianità dell'Alto Adige e nel culto dell'ideale, continuava a ripetere «abbiamo ancora una bandiera da innalzare al vento» e così via, dimostrando, ancora una volta, quanto poco avesse capito di politica. Torniamo quindi alle mutande con il giusto orgoglio e considerazione che meritano. Le mutande infatti hanno una lunga storia, che, volendo, possiamo ripercorrere leggendo l'utile volumetto di Luciano Spadanuda, Storia delle mutande (Coniglio editore), che ci insegna come l'indumento dovette faticare a imporsi. I romani infatti le ignoravano, e usavano al loro posto una sorta di perizoma che copriva soprattutto le natiche, il che permetteva sia le lunghe sedute sui gradini di pietra del Senato che quelle al Circo. In realtà, nelle civiltà tradizionali le mutande non si affermano. Il motivo è semplice: non c'era nulla di cui vergognarsi e quindi da nascondere. I greci combattevano proteggendosi la sola parte superiore del corpo. Il resto era scoperto. A Sparta e ad Atene ragazze e ragazzi si allenavano, praticando la lotta, completamente nudi. I guerrieri scozzesi andavano orgogliosi del loro kilt, sotto il quale, ancora oggi, il vero scozzese non porta nulla, infatti è rimasta famosa la foto dell'ufficiale del reggimento di Sua Maestà, il celebre Black Watch, di stanza a Hong Kong che, a causa di un colpo di vento birichino, mostrò, comunque imperterrito e rigido sull'attenti, un roseo deretano. Dunque, da tutto questo se ne deduce che le mutande sono simbolo di viltà e di mancanza di coraggio. Si copre quanto non si ha coraggio di mostrare. Sarebbe dunque stato più logico per Ferrara e i suoi anti-moralisti esibirsi nudi sul palco del Dal Verme, concludendo il loro rito filo-berlusconiano con il gesto supremo del guerriero di altri tempi che scopre, superbo, le terga al nemico. Un atto di grande rilevanza storica, infatti si racconta che una regina del Nord Europa abbia salvato il proprio castello dall'assedio facendo mostrare il deretano ai propri soldati. Il nemico credette di trovarsi di fronte a giganti dall'orribile volto e si diede alla fuga. Nel medioevo si continua a non usare mutande, gli uomini portavano solo i calzoni e le donne solo la gonna. La mancanza di slip permette così alle monache di una famosa novella del Decameron di ammirare la virile bellezza del loro giardiniere. Nel '500 si preferisce usare solo le strette braghe che mettevano bene in risalto le doti maschili e destò scandalo Caterina de' Medici, regina di Francia, quando introdusse le mutande per andare a cavallo. Per questo vennero chiamate "briglie da culo". Furono presto però tacciate, non solo di immoralità perché evocavano insani pensieri, ma anche di mancanza di fair-play, infatti venendo rinforzate in parti strategiche si trasformavano in quelle che furono chiamate "le bugiarde", anche perché, perpetrando così il massimo dell'inganno, permettevano alle dame di sedurre i gentiluomini senza togliersi la gonna, facendo credere che ciò che toccavano fosse autentico, mentre si trattava di semplice imbottitura. Ecco dunque che la mutanda ferrariana si rende colpevole di un'altra, odiosa colpa, quella di non dire la verità e di ingannare. Ancora nel Settecento le mutande non fanno parte dell'abbigliamento dei meno abbienti, tanto è vero che la rivoluzione francese viene propagata da chi non le possiede, i sanculottes, e questo dimostra che le mutande sono simbolo dello sfruttamento del proletariato e che comunque il desiderio di possederle porta al Terrore. Quindi è molto probabile che l'esibizione del teatro Dal Verme abbia inconsciamente mosso un milione di donne domenica scorsa a scendere in piazza, e questo va contro i desideri di Ferrara. Ma dobbiamo comprendere l'attaccamento all'indumento da parte dei berlusconiani. Il loro ispiratore è infatti un grande appassionato di mutande, ovviamente femminili. Nel dicembre del 2009 Berlusconi sconcertò i colleghi capi di stato riuniti a Bruxelles per un summit dell'Ue riguardante i cambiamenti climatici distraendosi durante la riunione e distribuendo in giro i disegni che aveva fatto mentre i colleghi parlavano, raffiguranti slip femminili. Disegnò una interessante storia dello slip attraverso i tempi, dimostrando una approfondita conoscenza in materia. Qualcuno reagì sorridendo, altri, tra cui il Cancelliere tedesco Angela Merkel, glieli rimandarono indietro indignati. Un fatto questo largamente notato sulla stampa internazionale; il Mail on Sunday commentò: «Che buffone di leader hanno gli italiani».
Ma queste erano solo esercitazioni grafiche, e in seguito Berlusconi si dedicherà a esercitazioni più concrete. Noi della destra, pur non passati agli eccessi di Sharon Stone che nel film Basic instinct non le portava, alle mutande come simbolo preferiamo le camicette. Ricordando un bel libro di Annalisa Terranova, Camicette nere (Mursia), vorrei esaltare la virtù di questo indumento tipicamente di destra. La camicetta infatti, al contrario della mutanda che si mostra solo in certe occasioni suscitando talora oscuri sensi di colpa, si esibisce con orgoglio in pubblico, non si cela nel buio ma dirompe con forza ed entusiasmo alla luce del sole. Questo è il nostro indumento. E quindi a Giuliano Ferrara suggeriamo quanto scrisse Marziale in un epigramma dedicato alla escort Chione: «Si pudor est, transfer subligar in faciem», ovvero, «se hai il senso del pudore, mettiti le mutande sulla bocca...».