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Iran. La mistificazione continua

di Alessia Lai - 17/02/2011

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Secondo la stampa internazionale il “contagio” delle rivolte arabe sarebbe arrivato fino all’Iran. Lanciandosi in paralleli quanto mai azzardati i media a grande diffusione hanno trovato assonanze tra la condizione egiziana e quella iraniana e parlato di un’onda lunga che avrebbe ridato vita al movimento dell’Onda Verde, sceso in piazza lunedì ufficialmente a sostegno delle proteste egiziane, tunisine e di tutto il Vicino Oriente.

Grande rilievo è stato dato agli scontri tra manifestanti e polizia e ai morti, due, che secondo le notizie diffuse da agenzie stampa e giornali sarebbero stati attivisti antigovernativi uccisi dalla “repressione”. Derubricate a “voci vicine al governo” le affermazioni che parlavano di persone ferite e uccise dai manifestanti antigovernativi, la stampa ha preferito puntare sui titoli ad effetto come “In Iran è caos totale” o “Migliaia in marcia a Teheran”. Questo è il quadro della situazione iraniana che in Occidente viene fornito al consumatore medio di notizie. La realtà, ignorata dai “distributori di notizie” occidentali, è che le manifestazioni indette dall’opposizione iraniana per il 14 febbraio sono state all’insegna di slogan antigovernativi e non di appoggio alle rivolte vicinorientali. E, soprattutto, che le vittime sono state registrate non fra i manifestanti ma tra innocenti passanti: uno di questi si chiamava Sanè Jalè, aveva 24 anni, studiava Arti Rappresentative all’Accademia delle Belle Arti dell’università di Teheran. Non un coraggioso militante “verde”, ma un ragazzo impegnato nelle milizie Basiji, ucciso da persone armate scese in strada con l’intenzione di provocare il caos per poi addossarne la colpa al governo.

Ce lo ha confermato ieri, da Teheran, Davood Abbasi, giornalista della sezione italiana della radio Irib. “Molte persone si sono riunite nel centro di Teheran e sono iniziati disordini mentre la folla usava slogan che non c’entravano nulla con l’Egitto ma che erano contro la Repubblica islamica. Hanno dato fuoco ai cassonetti e la polizia è intervenuta”, racconta Abbasi. Quando “hanno iniziato a ritirasi sono spuntate delle persone armate, con le pistole, e hanno iniziato a sparare uccidendo una persona e ferendone gravemente altre (i morti poi saranno due, ndr)”. Non era gente “semplice”, intenzionata a manifestare pacificamente, se così fosse stato non sarebbero spuntate le armi, certo non alla portata di un semplice cittadino iraniano; una riprova, per Abbasi, del fatto che si è trattato di una cosa orchestrata, con persone venute da fuori, come nel caso dell’uccisione degli scienziati nucleari avvenute di recente. Lo ha confermato, sempre ieri, il portavoce del Parlamento iraniano, il Majlis, Ali Larijani, che ha puntato il dito contro gli Stati Uniti: “L’obiettivo era quello di clonare (le proteste in Egitto e Tunisia, ndr), in modo da poter dire che la crisi delle dittature legate agli Usa si è allargata e anche l’Iran, che invece è il precursore della democrazia nella regione, ha problemi interni”, ha detto Larijani citato dall’agenzia Fars. La dimostrazione che la manifestazione del 14 è stata manipolata, ci ha detto ancora Davood Abbasi, è che solo 3 giorni prima era stato lo stesso governo, in occasione delle celebrazioni della Rivoluzione del 1979, a invitare al popolazione a esprimere in quello stesso giorno il proprio sostegno per l’Egitto. Invece Musavì e Karrubì hanno convocato ugualmente la mobilitazione del 14 adducendo le stesse ragioni ma con intenzioni ben diverse. Ipotesi confermata da un particolare rivelatoci dal collega dell’Irib, che ci ha riferito di una intercettazione fatta il 13 febbraio dall’intelligence iraniana nella quale Musavì parla delle manifestazioni antigovernative con un funzionario della Cia. Il suo invito a partecipare rivolto alla gente aveva quindi il secondo fine di scatenare scontri e vittime per poterne accusare la dirigenza iraniana. Per questa ragione il Parlamento di Teheran starebbe pensando a una incriminazione di Musavì e Karrubì per istigazione alla violenza. Un’altra prova che dietro a queste nuove proteste ci sarebbero gli Usa, ci ha detto Abbasi, è il grande lavoro mediatico messo in campo da anni da Stati Uniti e Gran Bretagna, che hanno finanziato una galassia di radio e tv in farsi. BBc in farsi, Voice of America in farsi, Radio Farda, solo per citarne alcuni, sono media che vanno su satellite e sulle onde corte.

Il 13 sera sulla BBC in farsi, sono stati intervistati alcuni organizzatori della protesta anti-governativa che invitavano la gente a scendere in piazza il giorno successivo. Se avessero realmente voluto sostenere l’Egitto, ha commentato Abbasi, avrebbero potuto partecipare alle celebrazioni dell’11 indette dal governo. Sulla rinascita dell’Onda Verde, Davood ci ha detto che quello visto il 14 febbraio è stato il “fantasma” delle mobilitazioni risalenti al 2009. Allora i manifestanti, ha ricordato, “non erano certo armati, ora sì, quindi non è stata una cosa spontanea, è stata organizzata a tavolino e hanno sparato alla gente per poi addossare le colpe al governo per cercare di dare inizio a una nuova crisi, tra l’altro paragonando l’Iran all’Egitto di Mubarak”. Quello che si sta avverando ora in Egitto “è una grande sconfitta ideologica per gli Usa. Che hanno voluto creare una crisi in Iran dopo che i tumulti del 2009 si erano esauriti dopo appena 8 mesi e dopo che le opposizioni avevano affermato di essere ora concentrate sulle prossime elezioni presidenziali”. La rivoluzione a Il Cairo è stata da più parti “paragonata a quella islamica del ’79 che ha segnato la fine del potere Usa. L’Iran – ci ha detto il giornalista dell’Irib - sta vincendo la scommessa a lungo termine fatta nel 1979, cioè che i popoli islamici si libereranno del giogo statunitense in tutta la regione”.

La realtà, ha voluto sottolineare Davood, è che l’Egitto di Mubarak non aveva nulla a che vedere con l’Iran, un Paese in cui in 32 anni ci sono state 32 tornate elettorali, praticamente una all’anno. La scommessa vinta dall’Iran, ci ha detto ancora Davood, ha sconfitto il tentativo statunitense di imporre governi filo-occidentali nell’area vicinorientale. Se gli Usa sono così preoccupati e cercano di destabilizzare Teheran, ha concluso, è perché se venisse distrutta l’idea, attraverso le mobilitazioni popolari, che in quell’area i governi sono amici degli Stati Uniti, per loro sarebbe la fine e non ci sarebbe soluzione politica né militare a una rivoluzione del genere.