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L'ossessione iraniana

di Giacomo Gabellini - 20/02/2011

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Ed ecco che, come d'incanto, le turbolenze che hanno recentemente scosso l'area nordafricana affacciata sul Mediterraneo si sarebbero espanse a macchia d'olio, raggiungendo prima il Levante e poi il Vicino Oriente. Così almeno ci racconta la grande stampa internazionale, che con questa ultima "fatica" fa salire a tre i tentativi organizzati dall'esterno di fomentare dissidi in seno alla società iraniana tali da portare ad un vero e proprio putsch nei confronti del presidente Mahmoud Ahmadinejad.

Nell'estate del 2009 ebbe luogo in Iran una vera e propria rivoluzione colorata, durante la quale i facinorosi strateghi del pentagono tentarono di insinuarsi tra le maglie delle esistenti tensioni endogene alla complessa società iraniana per spianare il terreno a un cambio della guardia gradito a Washington. All'epoca l'Iran era scosso da uno scontro di vertice, in cui il ricchissimo Ayatollah Akbar Rafsanjani e il suo sodale Mir Hossein Mousavi strumentalizzarono la schiacciante vittoria elettorale ottenuta dal laico Mahmoud Ahmadinejad per contestarne la regolarità, e per dar luogo a manifestazioni di piazza atte a destabilizzare lo status quo. Ahmadinejad poteva contare sull'appoggio dei Pasdaran e su quello della Guida Suprema Ali Khamenei, mentre sull'altra sponda, dopo un breve periodo di empasse, anche l'Ayatollah Mohammad Khatami si decise a scoprire le carte e a render pubblico il proprio appoggio alla fazione Rafsanjani - Mousavi. Ahmadinejah godeva dell'appoggio delle fasce meno abbienti della popolazione sparse per tutto il paese, mentre i suoi oppositori erano sostenuti dall'alta borghesia residente nei quartieri d'elite delle maggiori città iraniane. L'esito delle elezioni (uno scarto di 11 milioni di voti a favore di Ahmadinejad) era di per sé scontato, poiché perfettamente combaciante con i dati registrati in occasione del voto precedente, in cui a ricevere una dura lezione dall'ex sindaco di Teheran era stato direttamente Akbar Rafsanjani. Tutti questi indizi che confermavano l'alto gradimento della popolazione iraniana nei confronti di Ahmadinejad non bastarono a persuadere gli "autorevoli" media occidentali, che si affrettarono a far proprie le posizioni tenute da Mousavi e ad esaltare la "genuinità" della sedicente "Onda verde" che stava mettendo a soqquadro alcune zone della capitale iraniana. La mano pesante della CIA si evinse dall'uso sconsiderato che i riottosi (che, tra l'altro, manifestavano con cartelli scritti in lingua inglese, recanti lo slogan "Where is my vote?", tanto per non confondere i destinatari del messaggio...) fecero dei soliti social network come Twitter e Facebook, in specie nell'esaltazione della falsa martire Neda, caduta sotto presunte e non meglio chiarite efferatezze commesse dai Pasdaran. In ogni caso, tutto si scoprì essere una bufala, Ahmadinejad mantenne il proprio incarico di governo e i "manifestanti" rientrarono tra i propri ranghi con la coda tra le gambe. Appena un anno dopo la canea mediatica tornò a scatenarsi sul regime iraniano, inscenando una grottesca e lacrimevole messa funebre per la "martire" fedifraga ed omicida Sakineh, il cui volto coperto da chador fu assunto quale slogan antiraniano da miriadi di manifestanti nelle maggiori piazze occidentali, che evidentemente non avevano trovato di meglio da fare che stracciarsi pubblicamente le vesti per le sorti infauste di una carneade qualsiasi, senza curarsi minimamente di ciò che stava accadendo negli USA, dove una certa Teresa Lewis veniva condotta nel braccio della morte dopo esser stata riconosciuta colpevole di reati molto simili a quelli commessi dalla fantomatica Sakineh. Indignazione e solidarietà a corrente alternata e geometria variabile, per i sentimentali manifestanti europei e statunitensi. Ora invece la faccenda si sta facendo molto più seria, perché le rivolte del Maghreb sono oggetto di una evidente strumentalizzazione da parte degli USA, che stanno tentando in ogni modo di innescare una reazione a catena di sommosse che coinvolga l'intera area geografica che si estende dalle coste meridionali del Mediterraneo fino all'Asia centrale. Come c'era da aspettarsi, l'Iran è stato inquadrato come obiettivo prioritario. Lo scorso 14 febbraio i leader dell'opposizione Mehdi Karroubi e Mir Hossein Mousavi hanno indetto una manifestazione a Teheran per contestare il governo in carica, che ha indotto i soliti media occidentali a parlare di "caos in Iran" e dei giorni contati su cui poteva contare il regime. Non una parola sul fatto che alcuni “manifestanti” armati hanno aperto il fuoco su un comune passante, né sul fatto che alla vigilia della manifestazione i servizi segreti iraniani hanno intercettato una telefonata in cui Mir Hossein Mousavi stava parlando con un membro della CIA delle dimostrazioni che si sarebbero tenute il giorno seguente, né sullo spuntare come funghi di emittenti televisive e radiofoniche in farsi finanziate dai governi statunitense e britannico. Tutti a cercare affannosamente inesistenti analogie tra Egitto ed Iran e a condannare senza appello la violenza sanguinaria del corpo dei Pasdaran, cui è stato ascritto senza la minima prova l'omicidio del passante, prontamente trasformato in "manifestante" (laddove si trattava di un membro delle guardie “Basij”). Dal canto suo, Barack Obama ha deciso di giocare a carte scoperte, esprimendo l'auspicio che "L'Egitto funga da esempio per tutta la regione mediorientale", e che "Anche gli iraniani siano liberi di esprimersi". Dichiarazioni tanto eloquenti non si erano sentite nemmeno all'indomani delle elezioni iraniane del 2009. La verità è che le nebbie che avvolgevano l'affaire iraniano stanno da tempo dissolvendosi, lasciando che il quadro della situazione emerga con sufficiente chiarezza. L'elezione del nano Obama appollaiato sulle spalle del gigante Zbigniew Brzezinski ha segnato un arretramento tattico rispetto alle posizioni oltranziste assunte dai guerrafondai neoconservatori. Ciò ha portato Washington a tentare una sorta di appeasement nei riguardi di Ahmadinejad, offrendogli condizioni favorevoli in cambio della rinuncia al nucleare e di un vero e proprio cambio di registro relativo alla politica energetica, che si vuole il più possibile slegata da Mosca e Pechino. Il presidente iraniano ha declinato senza troppe cerimonie l'offerta, cosa non troppo gradita al suo avversario Rafsanjani, che considera l'opposizione radicale agli Stati Uniti una mossa politica eccessivamente spregiudicata e del tutto sconsiderata. A quel punto gli USA hanno deciso di giocare la carta dell'ingerenza esterna. E in puro stile sorosiano, ovvero invadendo l'Iran con un esercito di Organizzazioni Non Governative e finanziando emittenti televisive e radiofoniche sulla falsariga di "Radio Free Europe", gettando conciò benzina sul fuoco accesosi in seguito agli esistenti attriti interni alla società iraniana (attriti che riguardano in larga misura le scelte in ambito di politica estera fatte da Ahmadinejad, come illustrato in precedenza), in modo da gettare le basi per la formazione di quella che sarebbe poi diventata la cosiddetta "Onda verde", attore principale della tentata rivoluzione colorata del 2009. Alla luce di ciò, le recenti dichiarazioni di Obama non paiono altro che mosse tattiche che vanno ad iscriversi nel più complesso disegno strategico di destabilizzazione dell'Iran, che finora ha visto gli USA inanellare un fallimento dopo l'altro.