La differenza è ancora tabù. Ricordare, (lo abbiamo fatto nello scorso Pensieri e passioni), che un quindicenne è diverso, nel corpo e nella testa, dalla sua coetanea, e che la scuola dovrebbe dunque tenere conto delle diversità, valorizzandole, suscita reazioni appassionate. Le mamme, alle prese con la “particolarità” dei loro figli maschi, magari tutt’altro che stupidi ma recalcitranti alla lettura, ringraziano sollevate. Fra i maschi, i figli degli anni 70 protestano vibratamente.
Al blog che ha ripubblicato l’articolo (http://claudiorise.blogsome.com) è così subito arrivato (da Claudia 64) un: «Grazie!!! Come mamma di un 17enne e una 15enne, ogni giorno in prima linea con le differenze adolescenziali a 360°, respiro aria fresca leggendo queste parole!!! E mi vengono in mente i colloqui con le docenti, tutte donne, dove non si fa che protestare che la classe del figlio (a prevalenza maschile), va peggio di quella della figlia (prevalenza femminile).Ci sarà pure un perché se i maschi sono più apatici verso la scuola? E se magari, banalmente, ci fosse bisogno di più insegnanti uomini?».
Nell’articolo, ricordiamo, ci limitavamo a notare che il ragazzo, a quell’età, ha maggiore necessità di esperienze soprattutto fisiche, o di formazioni scientifiche, mentre per lettura e materie umanistiche la disponibilità si apre spesso un paio d’anni dopo. Certo però che il bisogno di confrontarsi con qualche docente maschio, che sia passato dalla stesse tempeste, è molto forte.
I maschi che si richiamano però agli anni 70 sventolando invece la bandiera dell’uguaglianza di genere. Alla mamma grata infatti Enoc ribatte così: «Invece gli adolescenti maschi hanno bisogno eccome di letture, hanno soltanto bisogno di essere motivati, la teoria della differenza qui esposta è grossolana e falsa».
Spiega poi in un commento successivo: «Le differenze non vanno assecondate… creando universi che non saranno mai in grado di comunicare tra loro? Uomini e donne hanno il loro più alto potenziale nelle loro qualità comuni o vicine. E per svilupparle devono farlo insieme e similmente, che non implica l’omologazione. La valorizzazione delle differenze porta soltanto all’incomunicabilità».
Insomma la differenza «differente» va lasciata perdere, si può coltivare quella «simile», ma solo facendolo insieme, e in modo uguale.
È una posizione per certi versi grave, perché sono proprio le qualità «diverse», che l’altro non ha (le femministe, per quanto riguarda la donna, parlarono di «specifico femminile»), che rendono i due sessi complementari, e la loro unione creativa. Mentre rimuoverle equivarrebbe a una vera e propria «castrazione» di entrambi, e della rispettiva vitalità. Però la posizione di Enoc è quella maggioritaria nella scuola italiana.
Uomini più tranquilli (Dario) protestano: «Nessuna chiusura e incomunicabilità, il diverso è quello che m’interessa, l’imprevisto la chiave dell’evoluzione». Ma Enoc non demorde: «Le differenze invece hanno in sé il germe della gerarchizzazione, è pressoché inevitabile. Quindi la coltivazione della differenza produce incomunicabilità, se non conflitto, anche per effetto di rafforzativi come l’orgoglio».
È l’ideologia anni 70, coi suoi supporti sociologici e psicologici. Dopo, il mondo è cambiato: globalizzazione, multiculturalismo, ricerca identitaria, pensiero della differenza, questione maschile…
Ma molti insegnanti, la maggioranza, sono ancora lì. Terrorizzati dalla parola: gerarchia. Senza capire che fuori dal rapporto gerarchico e d’amore tra allievo e maestro, si impara nulla.
Sarà meglio che da lì si muovano.