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La complicità fra uomo e donna è la forma più alta e gratificante della loro intesa

di Francesco Lamendola - 03/03/2011

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Una solida e profonda amicizia fra due persone del medesimo sesso è una delle più belle esperienza che la vita possa offrire, un qualcosa di silenzioso e indistruttibile, come una montagna che si protende in mezzo ai venti e alle intemperie, incrollabile, luminosa.
Una autentica amicizia fra l’uomo e la donna è un’esperienza assai più rara, ma ancora più intensa e gratificante: vi è, in essa, non solo l’affiatamento, ma anche la complicità; non solo il capirsi al volo, il saper leggere perfino il silenzio dell’altro, ma qualcosa di più: l’intuire quel che l’altro sta pensando, quel che l’altro desidera senza che nemmeno lui lo sappia.
È una magia.
Nella più bella amicizia fra due uomini o fra due donne, l’uno intuisce quel che l’altro sente, quel che l’altro vorrebbe, quel che l’altro spera o teme; ma nella amicizia profonda fra l’uomo e la donna, l’uno intuisce addirittura quel che l’altra sente, pensa, spera o teme, senza esserne lei stessa del tutto consapevole: e nessuno può dire come ciò avvenga.
Ma avviene.
Talvolta bastano appena uno sguardo, una frazione di secondo, un gesto insignificante; ed anche meno di questo: un silenzio, un certo modo di stare in silenzio. In un attimo, il tempo di un batter di ciglia, tutto appare chiaro come se fosse scritto in parole sulla carta, senza alcuna possibilità o margine di errore.
Chi non ha fatto questa esperienza almeno una volta nella vita, non sa di quali immense, stupefacenti potenzialità sia depositario il mistero dell’altro sesso: quello maschile per la donna e quello femminile per l’uomo.
Può accadere che un uomo e una donna si pensino nello stesso istante, che si cerchino nel medesimo momento, che avvertano quel che passa nell’anima dell’altro con la stessa chiarezza e, a volte, con chiarezza persino maggiore, di quel che passa nella propria.
Non può essere un caso; non può essere una serie di mere coincidenze. Non esistono coincidenze, tanto meno a simili livelli di intensità.
Il mistero di uno sguardo, per esempio: uno sguardo che capisce tutto, che afferra tutto, che si commuove per la nitidezza estrema con cui la realtà dell’altro gli si svela istantaneamente, fin nelle pieghe più riposte dell’anima, quelle che nemmeno lui - o lei - conosce veramente o che forse, anzi,  non conosce affatto.
Come è possibile che esperienze del genere siano semplicemente frutto del caso? Sarebbe più credibile affermare che noi possiamo conoscere tutte le parole di un libro soltanto prendendolo in mano e accarezzandone la copertina.
No, ci deve essere qualcosa d’altro: qualcosa che ha a che fare con la polarità che si crea nella dialettica fra uomo e donna; qualcosa di simile a un campo energetico nel quale la polarità positiva e quella negativa si incontrano e si equilibrano perfettamente, esaltando le energie più riposte e insospettate di entrambe.
Certo, può accadere anche il contrario; ed è per questo che i rancori fra uomo e donna sono i più tenaci, i più implacabili, i più demoniaci, che possano scatenarsi fra due esseri umani.
Ma ora, qui, vogliamo parlare della situazione opposta: dell’incontro felice tra due esseri umani di sesso opposto, ciascuno dei quali abbia raggiunto un sufficiente livello di maturazione spirituale, emozionale, affettiva.
Un uomo e una donna cosiffatti, quando si incontrano - e non “se” si incontrano: perché è certo che, prima o poi, si incontreranno, così come è certo che tutti i fiumi corrono verso il mare, anche se taluni non vi giungono mai - fanno scattare un campo energetico potentissimo, che fa risuonare fin le più segrete armonie vibrazionali delle loro anime.
È inutile domandare se, in una tale amicizia fra uomo e donna, entri pure la componente sessuale: perché è ovvio che la risposta sia affermativa.
La componente sessuale, questo è certo, entra SEMPRE nel rapporto fra uomo e donna. Ciò, peraltro, non vuol dire che essa debba necessariamente esplicitarsi in atti concreti, o anche solo in parole.
Può restare silenziosa e, per così dire, allo stato latente: ma esiste, è presente, ed entrambi i soggetti ne sono consapevoli; se non lo sono, vuol dire che non sono abbastanza evoluti spiritualmente da riconoscere le proprie emozioni ed i propri sentimenti; o, quanto meno, che uno dei due non lo è. Si formerà, allora, uno squilibrio energetico e spirituale: e quella bella amicizia sarà destinata a concludersi miseramente, fra amare recriminazioni e inutili rimpianti.
Ma se si tratta di due persone davvero evolute, non diciamo a livelli di perfezione, ma anche soltanto di semplice consapevolezza, allora non vi sarà posto per simili dinamiche distruttive, ma solo per un incontro gioioso e altamente gratificante.
L’anima dell’uomo aspira ad abbandonarsi con fiducia tra le braccia di una donna che la comprenda sino in fondo, così, intuitivamente, e le offra pace e beatitudine; e lo stesso cerca l’anima della donna presso l’uomo.
È un bisogno reciproco e non vi è, in esso, la ricerca di un “sesso forte”: le due anime si trovano su di un piano di perfetta parità, anche se le manifestazioni del carattere sono fondamentalmente diverse, perché il carattere maschile è diverso da quello femminile.
Se vi fosse un sesso “forte”, ciò vorrebbe dire che l’altro è “debole”: ma l’incontro felice di due anime si colloca sempre su un piano di realtà ove nessuno è superiore all’altro, nessuno vuole dominare e nessuno vuole essere sottomesso; entrambi cercano la pura comprensione, la pura amicizia, la pura gioia dell’abbandono reciproco.
Ecco perché le amicizie omosessuali finiscono per rivelarsi sterili e deludenti: il simile non può capire sino il fondo il proprio simile, perché, se è vero che lo conosce meglio del diverso, è altrettanto vero che gli fanno velo le stesse dinamiche negative, soffre le stesse paure ed è attratto dagli stessi desideri - il che non getta un ponte verso l’altro, ma crea un corto circuito.
Solo l’incontro felice col diverso può arricchire l’anima, può inondarla di luce e di bellezza, può donarle il bene impagabile di un tempo che si colloca fuori del tempo, di un abbraccio che non avviene su di un piano fisico, ma su quello dell’assoluto.
È una esperienza che confina col sublime.
Forse un uomo e una donna non possono dire di avere realmente vissuto la propria vita, se non l’hanno fatta almeno una volta.
Tornando alla complicità, che è il presupposto di ogni ulteriore intimità, psicologica e affettiva, tra due esseri umani, quella che si può instaurare - in presenza di determinate condizioni - fra un uomo e una donna, coincide con la forma più alta e gratificante di intesa che possa mai realizzarsi tra loro: più alta anche dell’amore, dato che questo porta sempre in se stesso anche elementi di possessività, di gelosia, di paura della perdita, che ne intorbidano la limpidezza.
Ma cos’è, esattamente, la complicità? Come la si può definire?
La parola «complice», nella lingua italiana, ha diversi significati, ma per lo più caratterizzati da un’accezione fortemente ambigua, quando non esplicitamente negativa: «chi prende parte, con altri, ad azioni disoneste o illecite»; «compagno in una burla, in uno scherzo, e simili»; «persona, cosa, elemento determinante nel verificarsi di un evento». Di conseguenza, la complicità è considerata sinonimo di «connivenza e correità» (vocabolario Zanichelli).
Sembrerebbe, dunque, che non sia possibile essere complici di qualcuno, se non contro qualcun altro, in una azione diretta a danneggiare qualcuno o, quanto meno, a farsi beffe di lui: in questo senso, ad esempio, Bruno e Buffalmacco sono complici nella beffa che ordiscono ai danni dell’ingenuo Calandrino, a proposito della pietra misteriosa elitropia, capace di rendere invisibile colui che la possiede (nel «Decameron» di Boccaccio, Giornata ottava, novella terza).
Tuttavia la complicità immediata, istintiva, affettuosa, che si crea fra l’uomo e la donna, quando essi si sentono attratti l’uno dall’altra e quando son consapevoli sia di tale attrazione reciproca, sia del grande e commovente mistero ad essa sotteso, non è di un tal genere; eppure è giusto chiamarla con quel nome. Ma perché?
Crediamo che ciò dipenda dal fatto che la poderosa corrente energetica che si sprigiona da certi incontri fra l’uomo e la donna, li rende depositari di un segreto che chiunque altro ignora; per cui essi si trovano, quasi di colpo, nella condizione privilegiata di sapere, con lo stesso grado di certezza di una verità matematica, se non anche maggiore, una serie di cose che gli altri, tutti gli altri, anche coloro i quali, in un certo momento, si trovano lì accanto, non potrebbero neppure immaginare.
Quali cose, esattamente? Impossibile esprimerle a parole; possiamo provarci, ma consapevoli che si tratta di un tentativo quasi disperato. Si tratta della certezza che quel che l’uno sente, pensa, desidera, anche l’altro lo sente, nella stessa maniera, con la stessa chiarezza e intensità; o, addirittura, che lo sente perfino con molta maggiore chiarezza dell’altro (o dell’altra). E questo crea una sorta di segreto che non possono condividere con alcun altro, per cui, in un certo senso, esso li avvolge, li separa e li isola dal resto del mondo.
In quei momenti, l’uomo e la donna sono come due bambini che abbiano appena scoperto un grosso segreto relativo alla vita degli adulti: sanno che non potrebbero spifferarlo, perché ciò farebbe una brutta impressione e, forse, verrebbero puniti; al tempo stesso, sono lusingati e divertiti di poter condividere fra loro quel segreto, che li pone in una posizione privilegiata rispetto al mondo intero, come di colui che possieda una parola magica per aprire la grotta del tesoro.
In questo senso, quei due bambini stanno vivendo un momento di profonda complicità: una strana e affascinante mescolanza d’innocenza e di malizia, che conferisce loro l’ancor più strana sensazione di essere diventati come invisibili allo sguardo altrui e di potersi muovere liberamente in mezzo ai “grandi”, come se questi non potessero notarli.
È una sensazione al tempo stesso esaltante, sorprendente, indicibilmente unica ed intensa: e loro la stanno vivendo all’insaputa di tutti, sotto il naso degli “altri”, masticandola e assaporandola lentamente, quasi come un frutto proibito.
Ecco perché, nello sguardo di un uomo e di una donna fra i quali si è instaurata una corrente di complicità, compare immancabilmente quella luce strana, segretamente radiosa, che traluce obliquamente, come una promessa che non si può tradurre in vocaboli precisi.
Essi, in quei momenti, SANNO QUALCOSA: qualcosa che gli altri ignorano, che sono lontanissimi dall’immaginare; non si sono scambiati, forse, nemmeno una parola: eppure è come se si fossero fatti un intero discorso, lungo e articolato.
Al tempo stesso, essi sanno che il fatto di condividere quella consapevolezza, contemporaneamente e intensamente, li pone nella impossibilità di venire compresi dagli altri: se pure la volessero esprimere, gli altri non capirebbero, per il semplice fatto che non si tratta di una esperienza che si possa DIRE, ma soltanto VIVERE.
Improvvisamente, magicamente, quell’uomo e quella donna, grazie al loro incontro e alla presenza l’uno dell’altra, si sono trovati proiettati fin sulla soglia di un grande mistero, un mistero che invano la mente razionale si sforza, da tempi immemorabili, di sondare e di forzare: il mistero dell’unità nella diversità.
Essi sono due; ma, in quei momenti, è come se fossero divenuti uno.
Diciamo meglio: essi erano sempre stati uno, ma credevano d’essere due entità separate: ed ora, così, per lo scoccare di una scintilla inaspettata, sono rientrati nella consapevolezza della propria unità profonda.
Non loro soltanto, ma tutte le cose sono distinte solo in apparenza; sotto la superficie, esse sono connesse in modo indissolubile: perché la realtà, tutta la realtà, è non duale.
Ed essi l’hanno intuito proprio in quell’istante, con quello sguardo, con quel sorriso di complicità.