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Più inquinamento, più infarti

di Andrea Bertaglio - 03/03/2011


Si parla tanto di prevenzione e si raccomanda, per quelle cardiovascolari, di stare attenti al fumo e all’alimentazione. Ma un recente studio pubblicato da The Lancet evidenzia che il primo fattore di rischio sono le polvere sottili generate dal traffico


L’inquinamento atmosferico causa più infarti dell’uso di cocaina. Lo annuncia un nuovo studio, eseguito da Tim Nawrot della Hasselt University, in Belgio, e pubblicato da The Lancet. Che cosa espone maggiormente al rischio di subire un attacco cardiaco? Alcool, caffè, sforzi fisici eccessivi e soprattutto elevata esposizione al traffico. Se quest’ultima la si riscontra nel 7.4% degli attacchi di cuore, infatti, qualunque tipo di sforzo fisico ne può causare al massimo il 6,2. A un livello ancora inferiore, nella lista delle potenziali cause di infarto, la rabbia, il sesso e, appunto, l’uso di cocaina. Una brutta notizia per i residenti delle città italiane, molto inquinate anche quando di dimensioni ridotte. 

Attenzione però: ovviamente ciò non vuol dire che “farsi di coca” sia più salutare che vivere in città. Significa che se un singolo caso si uso di droghe pesanti può portare a conseguenze estreme, non sono da sottovalutare nemmeno gli effetti che una mala-gestione del traffico e della mobilità in generale può avere sulla popolazione nel suo complesso. Inclusi gli ignari ed incolpevoli bambini. In altre parole, il fatto che la cocaina provochi solo lo 0,9% degli attacchi di cuore, secondo gli esperti è dovuto alla limitata esposizione alla droga tra la popolazione, mentre inalare polveri sottili provenienti dai fumi del traffico è una sorte a cui in pochi possono ormai sfuggire.

I risultati di questo studio hanno originato, almeno nel mondo anglosassone, un acceso dibattito. Che, in certi casi, ha portato a porsi domande assurde, come quelle che si è fatto il Daily Mail: “Perché andare al lavoro in bicicletta è una delle principali cause di infarto?”. Una questione posta nel modo più sbagliato, che ha subito ricevuto una risposta per le rime da un blogger del Guardian. Al Daily Mail, infatti, sembrano non considerare che l’attività fisica quotidiana, invece, può proprio prevenire la possibilità di accasciarsi sul marciapiede delle nostre città, vittime di un attacco cardiaco. Semmai, diciamocelo, il vero rischio per chi si reca al lavoro in bici è quello di essere investito dalle stesse auto che gli fanno respirare veleni. 

«L’inquinamento atmosferico è una causa di infarto miocardico acuto tanto quanto lo sono sforzo fisico, alcool e caffè», scrivono Nawrot e la sua equipe nel rapporto. Ma cosa si fa per ovviare al problema? Poco o niente, se si pensa a pallide e sotto molti aspetti insensate iniziative come quella delle domeniche a piedi. Oppure, in certi casi si finisce addirittura col peggiorare la situazione. Se in Europa si pubblicano studi come quello del dottor Nawrot, infatti, nella patria dell’inquinamento, gli Stati Uniti d’America, membri del Congresso come Fred Upton e Ed Whitfield si stanno battendo con ogni mezzo per eliminare intere parti del Clean Air Act. Una scelta non molto saggia, in un Paese già parecchio martoriato dagli effetti dell’eccessivo colesterolo e dalle malattie cardiovascolari. Ma una manna per quelli che, in America come altrove, guadagnano laute somme grazie al permissivismo e all’impunità in materia di inquinamento. Alla faccia dei comuni mortali, intossicati dalle loro stesse autovetture, e soprattutto in barba alle stime e ai dati diffusi dall’Organizzazione mondiale della sanità: ogni anno al mondo muoiono prematuramente due milioni di persone a causa dell’inquinamento atmosferico e delle polveri sottili. 

Eppure basterebbe ben poco per invertire questa tendenza. Cominciando da modifiche minime delle nostre abitudini e dei nostri stili di vita.