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La guerra delle parole. Va in onda la disinformazione

di Eric Salerno - 07/03/2011

Fonte: Il Messaggero

 
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LA GUERRA delle parole: un gioco al rialzo, talvolta ridicolo, sempre pericoloso. Dal primo giorno dell 'insurrezione popolare contro Gheddafi, il mondo è stato bombardato da un misto di verità e bugie sugli eventi in Libia. Di là dai proclami e della retorica, abbiamo assistito - e si continua ad assistere - a uno scontro, verità contro verità, bugia contro bugia, che sembra studiato a tavolino. Machiavelli insegna come l'inganno è "fondamentalmente detestabile" ma che nella "condotta della guerra è lodevole e onorevole': I mezzi che avevano a disposizione gli eserciti nel '500 erano nulla a confronto con gli strumenti della disinformazione dei nostri giorni. Da milioni di telefoni cellulari, satellitari, sms, inter-net si sale verso la distribuzione radiofonica e televisiva. E' la prima battuta che conta. Le smentite, anche quando arrivano, non fanno notizia. La poco credibile valutazione - "diecimila i morti"-dei primi giorni della protesta ha fatto il giro del mondo sulle tivù satellitari. Qualche annunciatore intimava che la notizia non era verificabile ma ment re nelle case la gente ascoltava sconcertata, nelle cancellerie si cominciava a impostare una linea politica basata sul peso politico dei morti. Non c'è dubbio che nei primi giorni le forze fedeli al rais hanno sparato contro i dimostranti non armati. Ma i giornalisti entrati a Tripoli non hanno trovato traccia di massacri, di fosse comuni o di bombe.

LE VOCI AMPLIFICATE I "diecimila morti" che nessuno ha visto bardamenti aerei sui manifestanti. Nemmeno gli americani, con i loro satelliti, hanno potuto confermare. «Siamo nel regno delle speculazioni», le parole con cui il ministro della difesa Gates e il capo di Stato Maggiore ammiraglio Mullen hanno risposto ai giornalisti a Washington. La televisione Al Jazeera è ben fatta e molto seguita sia nella sua edizione in arabo che in quella in inglese. Ogni parola trasmessa è assorbita dagli ascoltatori spesso impreparati a distinguere. «Gheddaft è fuggito in Venezuela», tuonava una voce televisiva, Londra diceva di non sapere nulla, poi che forse era vero: c'è voluto il penoso discorso del rais a smentire ciò che per un giorno dominava le notizie. Sovente sono le immagini a imporsi. Un uomo ferito, sangue, il corpo di un altro "civile" avvolto in un sudario dà peso alle accuse degli oppositori e toglie credibilità alle parole di un Gheddafi già poco convincente. La condanna diventa unanime. E anche se oggi molte delle vittime sono uomini armati di tutto punto, il pubblico ricorda soltanto che sono "civili". Un'altra parola che piace agli antagonisti del leader libico è 'genocidio". Una scelta semanticamente errata oltre che non vera. Più di un dubbio anche sulla parola "mercenari". Una giornalista araba ha detto di aver visto un volantino di reclutamento. Altri dicono di averli visti, tutti africani neri, in lontananza. C'è addirittura chi ha attribuito a un'azienda paramilitare israeliana una complicità con Gheddafi. Per Human Rights Watch, organizzazione americana per i diritti umani, non ci sono tracce convincenti della presenza di soldati di ventura a difesa del regime. E ieri? Una giornata caratterizzata da una fantasiosa altalena di bugie e mezze verità: i gheddafiani che 'festeggiano per aver riconquistato mezzo Paese" e gli oppositori che smentiscono tutto. L'unica verità su cui tutti concordano: la guerra va avanti e i libici, lealisti e no, continuano a morire.