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Visioni del Soma

di Gian Franco Lami - 21/03/2011

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Parlare di Giuseppe Gorlani come di un “poeta” può risultare riduttivo, può addirittura minimizzare quel ruolo, che la sua figura riveste, tra e per chi lo conosce. Tuttavia, anche la sua più recente pubblicazione (Visioni del Soma, La Finestra Editrice, Lavis 2010) chiede di essere considerata una semplice raccolta di “prose poetiche e disegni”, forse a ulteriore dimostrazione che, attraverso l'arte, è più facile esprimersi e farsi intendere. Almeno, così sembra volerci comunicare la totalità della produzione del nostro Autore. Ma l'attitudine più propria alla sua poesia è quella filosofica. E' stato detto di lui: “La sua vita si svolge intorno alla contemplazione, struttura portante della sua ricerca; più volte ha trovato e nascosto, seppellendolo, il Graal, ogni volta ne ha registrato l'intima emozione di condivisione e pienezza, ma, abituato alla solitudine e spinto dalla gioia della scoperta, ha pregato i compagni di nasconderlo, dividendolo, nell'Indivisibile” (Monica C.). Certo, la descrizione che ne risulta invita a credere nell'altezza del segno della sua personalità, senza neanche porsi il problema di un'indagine più approfondita del suo valore. Ma poi irrompe nell'immagine statica del ritratto, fino a prevalere, l'autobiografica confessione di un mago che “zoppica”, di certezze che si frantumano “ai piedi di rose mai sbocciate”. E l'appello al “qui ed ora” rammenta che tutto è illusione: la memoria del passato, come il progetto del futuro, l'ascolto del silenzio, come il suono della parola. Tutto è vanità retorica, al di fuori della risposta, che nell'immantinente la vita pretende dal suo fugace visitatore. La filosofia che Gorlani racchiude nei suoi pensieri poetici non è solo il culto di un equilibrio esistenziale. In lui prevale il desiderio di comprendere; perciò, l'intero universo può rientrare nella serenità di un modesto sorriso. E sembra prevalere il compito dello stregone “tessitore di sogni”, a dispetto di qualsiasi presunta profondità di riflessione, nel mondo in cui tutto muore e rinasce, a ogni istante. Pure la sua rincorsa della “Non-dualità primigenia” si manifesta, dunque, per quello che è: l'inane sforzo di colui che aspira a non terminare con la fine dei suoi giorni, e si dispone da subito all'abbraccio con l'infinito. Uno sforzo, che anela al riposo, più di qualunque altra soddisfazione, ed è in grado di cogliere il “fiore della bellezza” nell'atto d'amore rivolto a tutto, senza riserve, lasciando che ciascuno sia “perfetto così com'è”.