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Basi, aerei e navi: l'Italia s'arruola

di Manlio Dinucci - 21/03/2011




Lo scenario è quello che abbiamo già vissuto quando, il 24 marzo 1999, gli aerei decollati dal territorio italiano, messo a disposizione delle forze Usa/Nato dal governo D'Alema (centro-sinistra), sganciarono le prime bombe sulla Serbia iniziando la «guerra umanitaria», cui parteciparono poco dopo anche i cacciabombardieri italiani. Ora l'obiettivo della nuova «guerra umanitaria» è la Libia. Per farsi perdonare a Washington il trattato di amicizia italo-libico che impegnava le due parti a «non ricorrere alla minaccia o all'impiego della forza», il governo Berlusconi (centro-destra) ha messo a disposizione non solo tutte le basi, ma forze aeree e navali per l'attacco. Come ha spiegato l'ex capo di stato maggiore dell'aeronautica Leonardo Tricarico, per imporre la no-fly zone sulla Libia occorre neutralizzare le difese antiaeree nemiche. «Noi questa capacità ce l'abbiamo ed è costituita dai caccia Tornado Ecr: l'abbiamo fatto in Kosovo e dopo tre giorni non volava più un aereo serbo».

Per questo i Tornado Ecr sono stati rischierati da Piacenza a Trapani. Qui sono stati spostati anche i Tornado Eds da Ghedi (Brescia) e gli Eurofighter da Grosseto: cacciabombardieri da attacco con enorme capacità distruttiva. Sono pronti all'attacco anche i caccia Amx di Amendola (Foggia) e gli Eurofighter di Gioia del Colle (Bari). Si aggiungono i caccia della portaerei Garibaldi, rischierata da Taranto ad Augusta (Siracusa), e quelli della portaerei Cavour spostata anch'essa nella base siciliana da La Spezia. Le due portaerei sono affiancate dai cacciatorpedinieri lanciamissili Andrea Doria e Mimbelli, dalla fregata Euro, dal pattugliatore Libra, dalle navi da attacco anfibio San Marco e San Giorgio e da altre navi da guerra.

Questo già considerevole schieramento costituisce solo una piccola parte della forza complessiva usata nella guerra contro la Libia. Quella aerea è composta dai caccia francesi Rafale, i primi ad attaccare partendo dalla base di Saint Dizier, dai Tornado britannici spostati a sud a breve distanza dalla Libia, dagli F-16 statunitensi di Aviano, dove stanno arrivando altri cacciabombardieri, dagli F-16 belgi e norvegesi ridislocati anch'essi a sud, cui si aggiungono Cf-18 canadesi. La forza navale è altrettanto imponente. Essa comprende, tra le molte navi da guerra schierate di fronte alla Libia, la nave Usa da assalto anfibio Kearsarge, la più grande del mondo, con a bordo aerei ed elicotteri da attacco e mezzi da sbarco, in grado di trasportare 4mila marines e carrarmati. È affiancata dalla portaelicotteri Mistral, unità da assalto anfibio con elicotteri da attacco, carrarmati pesanti e 500 commando. Il fatto che il presidente Obama abbia dichiarato che gli Stati Uniti non invieranno truppe terrestri in Libia è facilmente spiegabile: come avvenne nella guerra contro la Jugoslavia, lo sbarco di truppe viene preceduto da pesanti bombardamenti aerei e navali. L'intera operazione aeronavale è diretta dal Comando delle forze navali Usa in Europa, a Napoli, dove si trovano anche il quartier generale delle forze navali del Comando Africa e quello della Forza congiunta alleata. Tutti e tre i comandi sono nelle mani dello stesso ammiraglio statunitense Sam J. Locklear III, ossia del Pentagono.

Perché questo imponente impiego di forze, spropositato in rapporto alle capacità militari del regime di Gheddafi? Perché evidentemente non si tratta solo di una operazione militare ma di una corsa all'oro nero libico, che i partecipanti intendono spartirsi in misura proporzionale al loro impegno nella «guerra umanitaria».

Manlio Dinucci