Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Io dico che questo è un conflitto sbagliato

Io dico che questo è un conflitto sbagliato

di Vittorio Sgarbi - 21/03/2011

http://t3.gstatic.com/images?q=tbn:ANd9GcQYECelWCBn6E5sMNrJG8Q4V8JI34XIBzuC7SRZ4yPnXtqlQsXeSg

Illustre Presidente ritengo mio dovere scrivere oggi, per futura me­moria, il mio pensiero sulla vicen­da libica. Non c’è nessuna buona ra­gione per aderire alla posizione dei volenterosi accettando la risoluzio­ne Onu e seguendo la Nato e gli americani. Obama è ancora una volta, come Bush e Clinton, pronto a un’azione militare. In molti Stati della civile America c’è ancora la pe­na di morte. L’illuminismo si è fer­mato. Ciò che era chiaro a Cesare Beccaria e ad Alessandro Manzoni non è stato completamente com­preso dalla democrazia america­na. Lo Stato che uccide non risarci­sce il torto subito. Impone la sua for­za con lo stesso arbitrio del crimina­le.
Nessuno può disporre della vita di un altro. Perché dovendo distinguere gli italiani dagli americani, risalgo a po­sizioni così lontane? Perché è evi­dente che la retorica con cui si fa ri­ferimento alle inermi e indifese po­polazioni civili sotto l’attacco mili­ta­re di Gheddafi esclude che lo stes­so comportamento, con analoghi ri­schi, possa essere assunto con la no­bile motivazione di difendere il po­polo libico. Non parlo per questio­ni di principio. Mi riferisco alle tan­te azioni, in particolare in Irak, che hanno reso odiosi gli americani per­ché le loro bombe contro il dittato­re hanno, non raramente, colpito ci­vili. Il delirio guerrafondaio di Sarkozy oggi, e il rigore di Obama minacciano identici rischi. Si può bombardare senza uccidere, an­che con le migliori intenzioni. Bom­bardare anche senza milizie di ter­ra, cui almeno si risparmia la vita (quanti italiani sono morti nelle missioni di pace?) vuol dire essere inguerra.
E non c’è nessuna buona ragione di concedere ad americani e francesi le nostre basi di Gioia del Colle, Trapani, Sigonella. Malta che, con noi è il Paese più vicino e più a rischio, non consentirà l’uso delle basi.Perché l’Italia sì?Sarà op­portuno ricordare che già la Libia ha sopportato un lunghissimo em­bargo e già si era imposta dall’Onu una no fly zone . Ecco perché scrivo ora. Quell’embargo,quella no fly zone io li violai nel 1998 con una impresa temeraria che ful’iniziodello scon­gelamento dei rapporti fra l’Italia e la Libia prima con Prodi e Dini, poi con D’Alema, poi con Berlusconi e ancora con Prodi e con Berlusconi. Tutto il mondo ha assistito a questa evoluzione che ha interessato an­che Francia, Inghilterra e persino l’America. Gheddafi, sempre lo stesso, era diventato buono? No.
Si era preso atto di una situazione con­solidata e della necessità di trovare un alleato sicuro contro gli sbarchi di clandestini che interessano pre­valentemente se non esclusivamen­te l’Italia, non l’America. Anche in questo diverso. Perché allora oggi scoprire che Gheddafi non è un leader democra­tico? Non lo è mai stato. Come non è una insurrezione di popolo, per un risorgimento (come si illude non so quanto credendoci Napoli­tano), la rivolta delle città libiche contro Gheddafi. Si tratta come san­no gli osservatori più informati di una guerra fra tribù in un complica­t­issimo sistema che muove interes­si del tutto estranei a quelli del po­polo. Se Gheddafi cade non sarà una democrazia a determinare il nuovo potere ma un intreccio di al­leanze di famiglie che prenderan­no il potere contro il popolo stabi­lendo un altro regime.
Voglio ricor­dare che quando andai la prima vol­ta inLibia prima di violare l’embar­go con un lunghissimo ed estenuan­te viaggio, prima ancora di mostra­re a me e alla mia delegazione i su­blimi siti archeologici di Leptis Ma­gna, di Sabratha, di Cirene, Ghedda­fi ci indirizzò come a un santuario al «museo» cui più teneva: la sua ca­sa bombardata dagli americani, mi pare nel 1987, per tentare di cacciar­lo come vogliono fare ora. Non ci riuscirono, come si è visto. Ma in quella casa morì, con altri libici, an­che la figlia di Gheddafi. La morte di un soldato in guerra è tragica, ma è nelle cose; la morte di un cittadino inerme o di un bambi­no, non è accettabile. Bombardare equivale a un atto di terrorismo: è colpire alla cieca, colpire chi non si può difendere e colpire chi è inno­cente. Far pagare ai cittadini, come con le limitazioni derivate dagli em­barghi, le colpe del dittatore.
Se tale era, come fu a partire dal suo colpo di Stato, e come è, non bisognava in nessun momento scendere a patti con lui.L’abbiamo ricevuto,onora­to. È stato visitato e ossequiato, da D’Alema come da Berlusconi.Oggi noi, che siamo i più esposti, non ci possiamo permettere di voltargli le spalle riconoscendolo improvvisa­mente come criminale di guerra, quale era già stato, per esempio, con il caso Lockerbie. Dopo Gheddafi non c’è la demo­crazia, c’è la deriva come in Soma­lia. Ci saranno altri colonnelli. E le nostre coste sempre più indifese. Ma soprattutto, concedendo le ba­si, saremmo complici di tutte le morti inevitabilmente causate dai bombardamenti. Per difendere i li­bici da Gheddafi, diventeremmo come lui.
Potrà così avvenire che lui si salvi e che noi uccidiamo inno­centi, esattamente quello che si at­tribuisce alla sua azione militare in casa. Per eliminare Gheddafi, usan­do le stesse armi (di aria, certo, non di terra!) diventeremo come Ghed­dafi. L’unica strada resta dichiarare come la Germania e Malta la non belligeranza e lasciare a francesi e americani la decisione di un altro scellerato attacco in nome della de­mocrazia e della libertà (la loro, non quella del popolo libico).