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Un mondo multipolare, nonostante la crisi libica

di Mauro Tozzato - 22/03/2011





Scrivo questa nota poco dopo l’ora di pranzo del 20.03.2011. Alle 17.45 di ieri è scattata l’operazione Odissey Dawn; il primo paese ad iniziare l’aggressione è stata la Francia del vile presidente Sarkozy disposto a tutto pur di recuperare consensi elettorali e nei sondaggi ( nel 2012 sono previste le elezioni presidenziali francesi) e pronto quindi a sfoggiare il massimo di protagonismo e cinismo presentandosi come il più accanito nemico di Gheddafi. Subito dopo si sono mosse la Gran Bretagna e gli Usa mentre la nostra miserabile leadership politica si è data un gran daffare per approntare le basi di supporto per gli attacchi aerei. Dopo essersi astenute al momento del voto sulla risoluzione dell’Onu che ha dato il via libera all’attacco, Russia e Cina provano ad avanzare qualche timida protesta; la considerazione più immediata che viene da fare riguarda le difficoltà economiche, e per i russi probabilmente anche politiche, che sul fronte interno le due “potenze” in questo momento devono affrontare. Mettere il veto durante la riunione del Consiglio di Sicurezza avrebbe prodotto nei loro confronti una sorta di “pressione” politica e mediatica che entrambe le leadership non si sono sentite di affrontare.  In Italia il dissenso della Lega, a mio parere, risponde con ogni probabilità ad un “gioco delle parti” condotto dai due leader del centro-destra: il premier Berlusconi deve “necessariamente” (dal punto di vista dei miseri interessi di partito e di lobby) manifestare il suo “allineamento” soprattutto ordinando ai “camerieri” Frattini e La Russa di mostrare tutto il loro zelo promettendo anche interventi diretti con la nostra aviazione contro la Libia; dall’altra parte Bossi, non particolarmente implicato nell’”amicizia” italiana con Gheddafi, si incarica di mostrare le perplessità che in realtà riguardano tutto il centro-destra. A parte, quindi, le manifestazioni esteriori effettivamente “contorte” ed apparentemente ambigue, non credo che Bossi e Berlusconi la pensino in maniera veramente diversa. Intanto  l’ineffabile presidente Napolitano - ad un giornalista del Corriere che gli chiedeva se le regole di ingaggio dei nostri militari sarebbero state tali da poter “circumnavigare” l’art. 11 della nostra Costituzione – rispondeva



<<In che senso circumnavigare ? […]Guardi che in quell’articolo 11 si parla di interventi coordinati dalle organizzazioni internazionali preposte a garantire la pace e la giustizia… E’ tutto chiaro e non c’è niente da circumnavigare.>>
Quindi anche se la Costituzione dice che “l’Italia ripudia la guerra” l’intervento militare contro il governo, tuttora legittimo, di un paese straniero risulterebbe del tutto lecito a patto che lo vogliano determinati Stati che si arrogano il diritto di giudicare, a nome di tutti gli altri, quello che è giusto e quello che è sbagliato.  Purtroppo le “carte” del diritto dimostrano la loro natura puramente formale: esse sono solo uno strumento della forza politica anche se in condizioni di stabilità e di consolidata supremazia di una “parte” non vi è il bisogno di lavorare alla costruzione di interpretazioni cervellotiche delle norme, perché in questo caso tutto è stato già scritto in modo chiaro da chi comanda. Stranamente esplicito mi è parso, per alcuni aspetti, un articolo di Christian Rocca apparso sul Sole 24 ore del 19.03.2011. Scrive infatti Rocca:



<<Per ora, è un capolavoro politico di Barack Obama. Anche se non sembra. La risoluzione 1973 delle Nazioni Unite che ha autorizzato per motivi umanitari l’uso della forza in Libia, ma non l’invasione terrestre, è il prodotto di una contraddittoria, a tratti scombinata, ma infine efficace strategia della Casa Bianca.



Sia pure in ritardo e tra mille tentennamenti, Obama è riuscito a far passare un’eventuale operazione militare americana per cambiare il regime di Gheddafi (regime change) come un’iniziativa della Lega Araba, come una richiesta della popolazione civile libica, come una bizzarra fissazione della Francia, come un’emergenza internazionale condivisa e vidimata da una risoluzione delle Nazioni Unite. >>
E così prosegue il giornalista in maniera incisiva:



<<Il testo Onu non è stato presentato dagli Stati Uniti, ma dal Libano, un paese arabo e islamico. Gli sponsor sono stati la Francia e, più defilata, la Gran Bretagna. Cina e Russia non si sono opposti. I primi raid aerei saranno francesi, così come la leadership ideologica (a Bengasi hanno festeggiato con i tricolori di Francia). Le basi saranno italiane. Emirati Arabi e Qatar parteciperanno alle operazioni belliche.



I critici di Obama sostengono che l’America abbia perso lo status di leader mondiale. Ma a guidare gli eventi c’è sempre Washington. La preoccupazione di Obama è di non lasciare le impronte. >>




Secondo Rocca una iniziativa palesemente targata Usa avrebbe potuto, anche, scatenare le piazze islamiche, mobilitare le masse pacifiste europee (che pure sembrano piuttosto ammosciate) e aprire un fronte politico interno molto pericoloso a un anno dalle elezioni. Anche il giornalista del Sole 24 ore usa una espressione che ricorda la nostra “teoria del serpente”:



<<Il modello Obama è diverso, più sfuggente. In Afghanistan ha triplicato il numero dei soldati rispetto a Bush, ma ha vinto ugualmente il Nobel per la Pace. Nel 2010 ha bombardato 117 volte in territorio pakistano (815 le vittime accertate). Quest’anno siamo già a 19 attacchi e a 104 morti. La Casa Bianca però non ne parla. Ufficialmente quei bombardamenti con i droni non esistono. Caso chiuso.>> Probabilmente è anche vero che in origine Obama non aveva alcuna intenzione di intervenire.  Infatti secondo alcune fonti Obama non crede che la Libia sia strategica per gli interessi nazionali statunitensi.  Alcuni commentatori parlano di una spinta decisiva in senso interventista  da parte di alcuni suoi collaboratori , come la Pulitzer Samantha Power che ha studiato la tragedia balcanica e come prevenire i genocidi. A questo punto il presidente avrebbe colto l’occasione per riallineare gli “interessi” ai “valori” americani: siamo sempre alla tattica del serpente. Ora qualcuno si domanda se è il caso di rimettere in discussione l’avanzata del multipolarismo. Prima di tutto bisogna ricordare che questa ipotesi non è solo nostra e che numerosi studiosi di geopolitica e relazioni internazionali ne parlano da tempo anche se nessuno l’ha inserita in una elaborazione teorica complessa e articolata come quella di La Grassa; in secondo luogo se pensiamo alle dinamiche della Grande Depressione del XIX secolo e agli sviluppi successivi che hanno portato al vero e proprio policentrismo possiamo solo ripetere che i tempi saranno probabilmente piuttosto lunghi e che il predominio tecnologico- militare Usa è un fattore che introduce una variabile rispetto agli eventi storici di un secolo fa. Comunque è evidente che la discussione è sempre aperta, ma solo con chi dimostra di saper ragionare.