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Yemen, l'esercito in piazza

di Carlo Musilli - 23/03/2011



"Resisto. La maggioranza del popolo è con me". Continua a ripeterlo Ali Abdullah Saleh, presidente dello Yemen dal 1978, ma chissà se ci crede ancora. La fine del suo regime sembra avvicinarsi ogni giorno di più. La protesta degli studenti contro di lui è iniziata a gennaio, eppure la violenza è arrivata solo la settimana scorsa.

Venerdì l'esercito ha sparato sulla folla, uccidendo 52 persone e ferendone più di cento. Altri 20 morti domenica, nella regione di Al-Jawfl, vicino alla frontiera con l'Arabia Saudita. Secondo quanto riportato dall'agenzia ufficiale yemenita, la gravità degli episodi ha indotto Saleh a destituire l'intero esecutivo nazionale. Ma è più probabile che con questa mossa il presidente intendesse coprire il fuggi-fuggi generale.

Lo stanno lasciando solo. Oltre a vari ministri e funzionari governativi, negli ultimi giorni diversi esponenti dell'esercito e della diplomazia yemenita hanno aderito alla causa dei manifestanti. La defezione più importante è quella di Ali Mohsen Al Ahmar, capo carismatico dell'esercito, nato dalla stessa madre di Saleh. Mohsen, che comanda nella regione nord-ovest, dove si trova la capitale Sana'a, è spesso descritto come un fermo oppositore del presidente, soprattutto perché ha sempre avversato la successione del figlio di Saleh, Ahmed. Eppure i due sono fratellastri e provengono dallo stesso villaggio. Negli anni, Mohsen è stato un vero pilastro del potere di Saleh.

Al grande capo si sono uniti molti altri membri dell'esercito: due generali e decine fra ufficiali di diverso grado e soldati di truppa. Nel frattempo, si sono dimessi gli ambasciatori yemeniti in Kuwait, Libano, Siria e Arabia Saudita. Anche quello alle Nazioni Unite ha abbandonato la nave. Altri cinque ambasciatori in Europa (Francia, Belgio, Svizzera, Gran Bretagna e Germania) hanno chiesto al presidente di dimettersi. Al loro appello si sono uniti anche i colleghi in Qatar, Oman e Spagna, oltre a Sheikh Sader al-Ahmar, capo della principale confederazione tribale dello Yemen.

Di fronte a uno sfacelo simile, Saleh ha abbassato il tiro. Se fino a domenica sosteneva di voler restare in carica fino alla fine del mandato, nel 2013, ieri ha detto all'agenzia di stampa cinese Xinhuà che potrebbe lasciare a fine anno, o al massimo a gennaio del 2012. Una decisione maturata dopo un incontro con gli uomini che gli sono rimasti fedeli fra politici, militari e capi tribali. Il presidente ha specificato che, una volta uscito di scena, non consegnerà il paese in mano all'esercito. Ma vuole sapere chi sarà il suo successore, per questo intende rimanere attaccato alla poltrona fino alle elezioni parlamentari. Un'offerta subito respinta dall'opposizione, mai stata così forte e compatta. Per i manifestanti non c'è alternativa alle dimissioni di Saleh. E devono anche arrivare in fretta.

Intanto lo Yemen sembra sull'orlo di un golpe militare. L'esercito è ormai diviso in due fronti contrapposti. Lunedì ci sono stati scontri nel sudest del Paese, a Mukalla, dove alcuni soldati passati dalla parte dei manifestanti hanno affrontato la Guardia Repubblicana, rimasta fedele al regime.

Tre militari sono morti, altri tre sono rimasti feriti. Dalla parte di Saleh rimangono schierati anche la Guardia Presidenziale, comandata da suo figlio Ahmed, e alcuni corpi speciali guidati da Tarek, nipote del presidente. Da lunedì i loro uomini hanno di fatto militarizzato Sana'a, dove carri armati e milizie lealiste presidiano tutti i luoghi simbolo del potere: dalla Banca Centrale, sede del Congresso generale del popolo, al palazzo presidenziale. Altri quattro nipoti di Saleh ricoprono ruoli di primo piano in vari rami dell'esercito, ma la loro capacità di mantenere le truppe dalla parte del presidente è ancora tutta da dimostrare.

In ogni caso il ministro della Difesa, Mohammed Nasser Ali, sorvolando su tutte le defezioni eccellenti, ha sostenuto che l'esercito è "dalla parte di Saleh" e combatterà ogni tentativo di "golpe contro la democrazia". Ostentando sicurezza, lo stesso presidente ha lanciato un monito: chiunque voglia "ottenere il potere attraverso un colpo di stato" dovrà prepararsi a una "guerra civile, una guerra sanguinosa". Intanto pare che la sua famiglia sia fuggita dal paese lunedì scorso.

Più si scalda la situazione nello Yemen, più aumentano la paura e l'imbarazzo degli Stati Uniti. Il segretario alla Difesa, Robert Gates, ha espresso preoccupazioni per gli effetti di un eventuale vuoto di potere nel paese, che potrebbe spianare la strada all'attività dei vari gruppi terroristici. Su tutti, la sezione yemenita di Al Qaeda, "forse la più pericolosa in assoluto". Addirittura più della casa base in Pakistan.

A questo punto, se davvero Saleh dovesse cadere a breve, è probabile che la guida del paese, almeno temporaneamente, diventerebbe Mohsen. Non sembra che il generale abbia alcuna simpatia specifica per Al Qaeda, ma una sua eventuale presa di potere metterebbe comunque in discussione tutte le operazioni antiterrorismo pianificate da Washington, che aveva già stanziato 300 milioni di dollari da investire nello Yemen soltanto nel 2011. Soldi che in ogni caso finanzieranno un governo illegittimo.