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Libia. Obama manda avanti gli altri

di Valerio Lo Monaco - 23/03/2011


George W. Bush attaccava a testa bassa. Il suo successore si fa furbo e cerca di ottenere il massimo risultato col minimo sforzo, scaricando sulla Nato e sull’Europa la responsabilità operativa e politica dell’attacco a Gheddafi. Una cautela di facciata, resa necessaria dalle difficoltà economiche e militari degli Usa 


Non sarà sfuggito a molti il comportamento anomalo del Presidente degli Stati Uniti in occasione di questa ennesima guerra di aggressione a uno Stato sovrano. Contrariamente  a quanto avvenuto in occasione di altri attacchi simili nel recente passato, per intenderci dalla caduta dell'impero russo ai giorni nostri – Jugoslavia, Iraq, Afghanistan... – in questo caso gli Usa, almeno dal punto di vista diplomatico, si stanno comportando in modo piuttosto differente dal consueto. E ciò, ovviamente, non dipende dal fatto che Obama sia una persona che ha ricevuto il Nobel per la Pace, considerando che allo stesso tempo ciò non gli ha impedito di continuare a bombardare gli afgani e di mantenere attivo il carcere di Guantanamo che pure, in campagna elettorale, aveva giurato di voler chiudere non appena eletto alla Casa Bianca. Il motivo per il quale, almeno a livello di comunicazione, non è un colonnello a stelle e strisce a guidare la missione in Libia risiede in ciò che spieghiamo da tempo proprio in queste pagine e in quelle del mensile: gli Stati Uniti non sono più la superpotenza che erano appena un decennio addietro. 

Non lo sono più dal punto di vista economico per i recenti fatti della crisi che poi hanno esportato in tutto il mondo, e non lo sono più neanche dal punto di vista militare considerati i risultati ridicoli, se non fosse che sono anche drammatici, dei pantani in Iraq e Afghanistan. Nel primo caso gli attentati sono all'ordine del giorno, il paese è tutt'altro che pacificato e democratizzato e la distruzione portata dall'intervento di qualche anno addietro - oltre alla morte diffusa - sono sotto gli occhi di tutti. Per il secondo caso, dopo dieci anni di aggressione e conflitti, la situazione è non solo irrisolta, ma pende fortemente per una vittoria definitiva dei resistenti afgani, che peraltro sono in procinto di riprendere i combattimenti con l'arrivo della primavera considerando che in inverno ciò non è stato possibile per motivi meteorologici.

Con quale faccia e supponenza avrebbe potuto presentarsi Obama alla guida di questa ennesima aggressione militare è facile immaginarlo. E infatti non lo ha fatto.

Ciò non significa, però, che gli Usa non abbiano interessi in Libia. Anzi. Ne hanno nella guerra in sé, visto che, ad esempio, ogni missile Tomahawk che si abbatte sulle coste africane frutta 1.5 milioni di dollari alle aziende Usa e fa crescere un Pil statunitense in asfissia da tempo, e ne hanno soprattutto per il post guerra, quando ci sarà da spartirsi il bottino. Questo riguarda materie tangibili, come gas e petrolio, ma soprattutto "materie" non immediatamente tangibili, ma allo stesso tempo importanti, come ad esempio il posizionamento geostrategico. 

Brutalmente: l'Africa e le sue risorse, che non riguardano solo il petrolio ma ad esempio tutti i materiali che servono per la costruzione di molte parti elettroniche utilizzate e smerciate dall'Occidente intero, devono essere controllate da una guida certa. E soprattutto "occidentale", ovvero l'esatto opposto di quello che sta invece avvenendo da tempo, cioè la Cina che sta estendendo a macchia d'olio la sua influenza nel continente nero.

Prendere la Libia significa gettare le basi per un nuovo disegno dell'intero Medio Oriente e dell'Africa, e delle merci e risorse che ivi risiedono o che da lì passano (vedrete, appena la Libia sarà statunitense il progetto South Stream verrà di nuovo colpito).

Il presunto e solo percepito silenzio di Obama va letto insieme alla pressione Usa, che pure c'è, affinché sia la Nato a prendere al più presto il comando delle operazioni e dunque il post guerra.

Il tutto, naturalmente, nel quadro di assoluta incapacità strategica dell'Europa e dei paesi che ne fanno parte, che da una situazione del genere, Italia in testa, hanno solo che da perdere. 

Non è un caso che Russia e Cina siano molto accorte, e si tengano a distanza, da ciò che sta accadendo. E la scelta, ancora una volta "atlantica" dell'Europa e dell'Italia, mostra per l'ennesima volta la totale incapacità dei governi di scegliere guardando un palmo di mano più in là della stretta attualità.

Del resto, solo per rimanere al nostro Paese, non è possibile sperare di meglio da parte di personaggi come La Russa e Berlusconi, e anche Napolitano, che non si vergognano di usare la parola "volenterosi" per definire la coalizione dei colonizzatori moderni.