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Allergici al vivente

di Claudio Risé - 30/03/2011


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Arriva la primavera, e le allergie. Ogni anno più numerose. Entro il 2020 un bambino su due soffrirà di rinite allergica; senza contare tutte le altre.
Perché diventiamo sempre più insofferenti alle sostanze, agli insetti, alla natura? Forse perché ne stiamo sempre più alla larga, la evitiamo, cresciamo in ambienti sterilizzati, e quando poi troviamo un polline, o un batterio, il nostro sistema immunitario va in tilt. L’igiene, è assodato, ha salvato molte vite, ma ci ha resi fragili.
La battaglia tra cultura e natura è stata combattuta contro i sensi più antichi: il nostro naso, che nell’evoluzione sapeva riconoscere quali animali erano nelle vicinanze; il gusto, impegnato assieme al nasco nel riconoscere se un cibo era commestibile, o velenoso; il tatto, che «tastava», il mondo circostante, per valutarne la pericolosità, e le qualità.
Oggi celebriamo la decadenza dell’odorato, un senso considerato ormai «arcaico», così come quella del tatto, a cui si è sostituita, la vista (divenuto il principale organo valutativo). Il gusto è diventato un fatto di buongustai, di «slow food»; nessuno gli attribuisce più un’utilità per la sopravvivenza.
Del resto, ciò che compriamo è avvolto in confezioni sigillate da pellicole, i deodoranti ambientali coprono qualsiasi odore naturale, e batteri e germi sono accuratamente sterminati da ogni sorta di sostanze specializzate. Ma è proprio questo il guaio. Perché quando arriva un polline, un batterio, o un filo d’erba, i nostri antichi sensi, completamente fuori allenamento, reagiscono come impazziti. Ed è l’allergia. Figlia del carattere unilaterale del nostro modello di sviluppo. Infatti, anche se cresciamo in un condominio pulito, non scendiamo mai in strada a giocare da piccoli, facciamo le vacanze in alberghi igienizzati e viaggiamo in villaggi altrettanto accurati, la natura (nella quale siamo comunque immersi, anche se la teniamo lontana) prima o poi ci raggiunge. E più avremo cercato di tenerla distante, più forte sarà la crisi allergica. Il naso è l’organo più colpito, più «infiammato» dalle allergie, perché odorando noi inspiriamo non solo gli odori, ma le molecole della realtà esterna.
L’igienismo più furibondo, col mito della vita «sterile», non aveva tenuto conto che vivere nel mondo significa anche respirarlo e annusarlo. Ed ora, quando usciamo dall’ufficio o dal condominio e incontriamo il mondo della natura, c’è la reazione allergica: raffreddore allergico, asma ed eczema. Il corpo reagisce in modo paradossale a sostanze di norma ben sopportate.
A volte è la dose eccessiva a produrre allergia: un odore troppo concentrato, o troppe molecole di una sostanza producono la reazione allergica. Il più delle volte, però, la dose è normale, la sostanza è sopportabile, ma c’è ugualmente una reazione allergica. Perché?
Il fatto è che l’allontanamento dalla natura ha provocato una crescente ipersensibilità in tutti i sensi «della vicinanza»: il tatto, con le dermatiti e le altre malattie che colpiscono la pelle; il gusto, con le ipersensibilità ed allergie ai diversi sapori; e, appunto, l’odorato. C’è l’inquinamento chimico: le vie respiratorie e la pelle non sopportano più le dosi elevate di sostanze tossiche presenti nell’aria.
C’è però anche un’altra ragione: la crescente ingestione di sostanze tossiche presenti nei cibi industriali rende l’organismo incapace di accettare le molecole di sostanze naturali presenti nell’aria. Come se i nostri corpi intossicati fossero diventati allergici all’aria pura.
Siamo diventati così artificiali da non sopportare più il vivente. Un bel guaio.