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Quei bravi ragazzi

di Gianni Petrosillo - 02/04/2011



Chi ha detto che l'anzianità porta saggezza sarà invecchiato di certo malissimo. Anche Pietro Ingrao novantaseienne da qualche giorno, grande veterano della sinistra, ex partigiano, ma prima ancora iscritto al Gruppo Universitario Fascista, personaggio di primo piano dell’ala sinistra del PCI, quella più velleitaria ed inconsistente, ed, infine, convinto liquidatore del più grande soggetto collettivo comunista d’occidente durante la svolta della Bolognina tra il 1989 ed il 1991, si è iscritto al partito della Guerra contro Gheddafi. Ingrao ha affermato che il rais è un mascalzone ed andava fermato. A sinistra quasi tutti hanno applaudito perché essendo il concetto di mascalzonata qualcosa di pre-politico o di semplicemente infantile è scattato in loro il solito riflesso pavloviano, quello di chi confonde il giudizio morale con la valutazione politica ed il palpito del cuore con la veglia della ragione. Ma se Gheddafi è un farabutto che meritava di essere bombardato, quelli che lo hanno inchiodato nel suo bunker a cannonate saranno sicuramente dei bravi ragazzi. Bravi ragazzi i ribelli della cirenaica, pagati ed addestrati dalle truppe speciali di alcuni paesi europei che nonostante l’impegno non sono riusciti a trasformare in un esercito all'altezza un’ armata Brancaleone senza Brancaleone. Bravo ragazzo Sarkozy che non si è fatto troppi scrupoli quando aveva necessità di vendere le sue armi al presunto dittatore libico o quando tentava di stringere accordi commerciali con lui parlando male degli italiani. Bravo ragazzo Cameron e bravi ragazzi gli inglesi che solo pochi mesi fa avevano rimandato in Libia l’attentatore di Lockerbie (con grande sdegno dei parenti delle vittime) insieme a qualche 007 con il compito di soffiare sul fuoco delle divisioni tribali per fare precipitare la Libia nel caos. Bravo ragazzo Obama, premio nobel per la sua pace interiore che non coincide con quella altrui, e bravi ragazzi tutti gli americani che quando si recano all’estero non lo fanno mai per turismo ma portandosi il Vietnam nella testa. Tuttavia, Ingrao dice che non si poteva restare a guardare, si doveva intervenire. La senescenza è una brutta bestia e si trascina dietro altri malanni che spossano il corpo e la mente. Si vaneggia e si dicono cose senza senso come questa: “si può costruire in Italia un unico soggetto collettivo, di massa, fatto di posizioni più moderate o più radical”. Nemmeno Veltroni sarebbe capace di esprimere idee così confuse ed ambigue. E siffatto sforzo intellettuale semplicemente per unire “la sinistra, il soggetto potenziale. E insieme, [alle] forze centriste che possono essere coinvolte in un processo di resistenza al berlusconismo”. Il berlusconismo ha vinto perché ha agito come un virus nel cranio di questa gente provocando allucinazioni da “delirium arcorenses”. Per questo ai finti progressisti della nostra epoca infame preferisco i veri reazionari del XXI secolo che almeno sono intellettualmente più onesti dei primi. Ha scritto Robert Kaplan, membro emerito del Centro per la Nuova sicurezza americana, su Il Corriere della Sera: “È meglio non illudersi. In politica estera, tutte le questioni morali sono in realtà questioni di potere”. E così difficile da capire? Possibile che un politico di lungo corso come Ingrao non ci arrivi? Ed ancora un altro concetto chiave che spiega perché gli statunitensi s’impegnino così tanto in quest’opera di esportazione della democrazia che è poi un involucro di mascheramento della loro dittatura geopolitica ed egemonica: “La democrazia costituisce la base dell’identità americana e per questo gli Stati Uniti prosperano in un mondo dove essa si diffonde”. E se non si diffonde autonomamente essi la impongono con gli eserciti. Ma Ingrao, a causa della veneranda età oppure per vestire i panni del padre della patria, diviene smemorato e si fa sfuggire la memoria del passato e quella del presente. Non sempre però i patrioti riconosciuti dai contemporanei ottengono lo stesso trattamento dai posteri che giudicano le azioni degli uomini e non i loro visi solcati dal tempo. Ad Ingrao dedico questa poesia di R. Frost. Lo faccio per scacciare le sue valutazioni estemporanee che non insegnano nulla ai giovani e che gettano discredito sui veri savi:



Quand’ero giovane erano i vecchi i miei maestri.




Lasciai fuoco per forma fino a spegnermi.



Soffrivo come un metallo che fosse forgiato.



Andavo a scuola dai vecchi per imparare il passato.



Ora che sono vecchio ho per maestri i giovani.



Quel che non può modellarsi dev’essere infranto o piegato.



Lezioni mi torturano che riaprono antiche suture.



Vado a scuola dai giovani per imparare il futuro.