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La filosofia politica di Platone

di Manfredi Camici - 06/04/2011

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Possiamo rilevare il punto d’origine della filosofia platonica nel cosiddetto “problema Socrate”. E’ accaduto che Socrate, maestro di Platone, l’ uomo più buono e giusto del suo tempo, nel pieno di tutte le sue virtù, era stato accusato di corruzione e per tale ragione fu condannato a morte. “Il problema Socrate” sta a indicare precisamente l’inconciliabilità tra filosofia e politica. E poiché per Platone la filosofia significa Sapere, e il sapere è Virtù e Giustizia, è evidente come egli ritenga la politica assai ben distante dal possedere tali qualità. Nel 404 a.C. Atene viene sottomessa a Sparta ed è costretta a convertire il suo regime democratico in uno oligarchico, il regime dei trenta tiranni, che durò tuttavia un solo anno. Fu tuttavia il successivo governo democratico tuttavia a condannare Socrate a morte nel 399 a.C.
« É naturale che costoro facciano così perché credono d’aver qualcosa da guadagnare…[io] credo di non aver altro da guadagnare, bevendo un poco più tardi [il veleno], se non di rendermi ridicolo a’ miei stessi occhi, attaccandomi alla vita e facendone risparmio quando non c’è più niente da risparmiare.” ( Platone. Apologia di Socrate)
Ciò significa che la crisi politica è molto aldilà di qualsiasi forma di governo ed è in realtà una crisi civile ed etica. Solo la filosofia, secondo Platone, è dunque in grado di individuare ciò che è giusto, e di sollevarsi al di sopra delle opinioni. La fine delle sciagure si avrà dunque solo nel momento in cui il filosofo diverrà politico oppure nel caso in cui il politico diverrà filosofo; questo perché la virtù, come detto in precedenza, è anche sapere e vivere giusto e di conseguenza politica. Nel Gorgia troviamo la critica di Platone all’espansione della democrazia. Il filosofo accusa tale incremento di essere il responsabile dei mali a lui contemporanei. Atene è malata per via della “dissennata politica democratica che l’ha riempita senza temperanza e senza giustizia di porti, cantieri, muri tributi e simili inezie” ma quando la città tratta gli uomini politici come colpevoli,
“sento che questi si sdegnano e si lamentano di patire un gran torto.. ma è tutta menzogna. Nessuno che governi una città può perire ingiustamente per opera di essa”.
E’ anche contraddittorio, dice Platone, sostenere di essere maestri di giustizia e ricevere in cambio comportamenti ingiusti. Sempre nel Gorgia l’allievo di Socrate, utilizzando la parola del maestro, passa a criticare la Sofistica. I sofisti intendono il sapere solo come mezzo utile all’affermazione personale, e con ciò trasformano il sapere illusorio, l’opinione, in filosofia dunque sono filodossi e non filosofi. I filosofi attingono alla sfera delle idee per scoprire la realtà. Il vero filosofo dunque sarà anche il vero politico e potrà rendere migliori i cittadini.
Nella Repubblica Platone ci descrive uno stato puramente ideale e di conseguenza utile per cercare un modello simile a cui approssimarsi. Ma da che cosa nasce lo stato secondo Platone?
“Nasce poiché ciascuno di noi non basta a se stesso, ma ha molti bisogni”. Lo stato sorge dunque in termini naturalistici e utilitaristici, crescendo e sviluppandosi sempre secondo questi principi(bisogni). La prima cellula embrione dello stato prevede quattro persone: l’agricoltore, il muratore, il tessitore e al massimo il calzolaio. In questa semplice suddivisione possiamo notare come Platone sin dall’albore dello Stato si schieri a favore della divisione del lavoro. Tale divisione è in grado di garantire il pieno sviluppo dei diversi talenti umani, che in questa maniera sono in grado di progredire e migliorare, cosa non possibile quando il lavoro è invece condiviso. Proprio per via di questa specializzazione dei settori lo stato platonico dovrà allargarsi in quanto ogni lavoratore avrà bisogno di strumenti realizzati da altrettanti lavoratori specializzati. Lo Stato, fondato sui bisogni, diventa cosi dalle iniziali quattro persone ad una città. La città, per via della sua grandezza, difficilmente potrà soddisfare le sue necessità attraverso il mercato intero. Bisogna far si dunque che produca un surplus da rivendere attraverso il commercio. Il regime di vita dello stato ideale dovrà essere sobrio, e i suoi cittadini “non metteranno al mondo più figli di quanto consentano i mezzi di vita, per timore di povertà e guerra”.
Glaucone arrivati a questo punto de “la Repubblica” pone alcuni interrogativi a Platone: “Come fa questa società a sopravvivere, dato che è insito nella società stessa cercare il benessere?”
La risposta di Platone, sempre attraverso le parole di Socrate, è chiara e decisa, e manifesta tutto il suo astio verso la ricchezza e l’eccessivo sviluppo economico:
“A quanto sembra non vogliamo soltanto sapere come nasce uno stato, ma uno stato gonfio di lusso. Forse però non è male, perché così vedremo come nascono negli stati giustizia e ingiustizia”.
 
Platone sostiene che uno stato “rigonfio” necessiti di molte più categorie sociali, e di conseguenza di una maggiore popolazione e lo stato non sarà più sufficiente, da qui nascerà l’esigenza della guerra e delle colonie. Quando lo stato si “gonfia” è destinato a rompersi. Lo stato ideale platonico contiene tre classi: i governati, i guerrieri e i produttori che sono rispettivamente l’incarnazione dell’anima razionale, irascibile e di quella concupiscente . Sono le prime due classi le responsabili della formazione dello stato giusto, e devono sempre agire per il bene supremo dello stato. Per dar vita a questo Stato è necessaria la “menzogna della fratellanza” il falso è un medicinale che solo il filosofo (medico) può utilizzare in maniera adeguata. Questa “menzogna” risponde a due esigenze dello Stato. La prima è l’ unità, che è il suo bene supremo. L’altra fa si che tale unità consenta, nello stato diviso in classi, che solo i migliori emergano, andando a formare cosi la classe aristocratica. I governati e i guerrieri rappresentano l’oro e l’argento mentre i produttori vengono paragonati al bronzo. “Naturalmente da oro può nascere bronzo e viceversa e solo tramite la fratellanza non si creeranno discordie”. Sono le classi d’oro e d’argento, continua Platone, che non dovranno mai maneggiare quei metalli tra le loro mani “ e così potranno salvarsi e salvare lo stato”
Ma in questo modo i governanti e i guerrieri saranno felici?
“Non forgiamo uno stato affinché una sola classe tra quelle da noi create goda di una specifica felicità, ma affinché lo Stato goda della massima felicità possibile”. Lo stato platonico è dunque un’unità in cui l’insieme è superiore alla singola parte. Si affaccia così lo stato comunistico dove nelle classi superiori non solo i beni sono in comune ma anche i figli devono essere allevati esclusivamente dallo Stato, in maniera che tutti possano essere riconosciuti come figli propri. Successivamente Platone passa ad illustrare tutte le forme di governo passando dall’Aristocrazia, lo stato perfetto guidato dalla classe aurea, alla timocrazia, all’oligarchia, alla democrazia e infine alla tirannia. La causa originaria di questa degenerazione crescente è in un’ errore della regolamentazione della generazione, con una conseguente espansione demografica. Nella timocrazia prevale l’elemento irascibile e il desiderio di ricchezza, la classe dominante diventa così un’ aristocrazia militare che conduce all’ oligarchia basata unicamente sul censo, e non più sulle capacità. Lo stato perde la sua unità e si divide in ricchi e poveri. Da qui nasce la democrazia visto che i poveri diverranno presto la maggioranza. In questa forma di governo si scontreranno i demagoghi (le persone politicamente attive), che diventeranno ricchissimi, e la classe operaia, da questo scontro nascerà dunque il tiranno che sarà costretto ad ogni ingiustizia per mantenere il potere. Nel timocratico dunque prevarrà l’animo ambizioso, nell’oligarca quello avaro e il democratico sarà preda dei desideri materiali, mentre il tiranno è un vero e proprio mostro.
Nel Politico le forme di governo qui descritte mutano notevolmente.
Lo stato perfetto diventa la monarchia. Sarà il re e non le leggi ad ispirare il potere. Platone si scaglia dunque contro lo stato legale, poiché le leggi generiche non sono in grado di adattarsi ai casi particolari. Le norme fisse generano due generi di inconvenienti, il primo è quello appena detto e il secondo è che cambiare le leggi getta discredito sulle norme stesse. E’ evidente la critica alla democrazia ateniese, solita nel cambiar continuamente le sue leggi. Dinanzi alla retta costituzione avremo: monarchia, aristocrazia e democrazia, e le vie illegali democrazia, oligarchia e Tirannia. Lo stato ideale in questo caso è lo stato senza leggi, guidato da un Re Dio in terra. Ma Platone riconosce che nessun uomo dotato di un potere assoluto è in grado di non macchiarsi di alcuna violenza e ingiustizia.
Nelle Leggi infine Platone descrive uno stato legale nel quale il ruolo del filosofo non è più quello del reggitore, ma quello del legislatore. Le leggi, guidate dalla razionalità, sono una necessità ed una conseguente rinuncia allo stato ideale. Lo Stato è un’entità chiusa e ostile ad ogni scambio:
“perché altrimenti lo stato si riempirebbe di traffici commerciali, e nascerebbero in lui falsità e incostanza e si riempirebbe di moneta d’oro, e di questo io dico che non c’è più grande male”.
“Lo stato come un sol uomo” prevede “le donne, i figli comuni e comune ogni avere”. La proprietà privata è ammessa solo come usufrutto di una proprietà dello Stato. “Non c’è posto per gli affari e le speculazioni”. Rimane dunque sempre costante in Platone la sua concezione negativa della ricchezza. “Nello stato non vi deve essere né oro né argento”. La divisione in classi qui invece avviene solamente in base al reddito. “ Ognuno deve contrarre matrimonio nell’interesse dello stato” è dunque vietato sposarsi tra classi ricche altrimenti si alimenterebbe un eccesso di benessere. Concludiamo questo articolo con il motto che Platone utilizza per dar vita all’uguaglianza necessaria allo stato perfetto: “ A ciascuno il suo”.