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I VIP e il Madoff de noantri

di Davide Stasi - 07/04/2011


 

La più classica delle truffe finanziarie, secondo il celebre “schema Ponzi” divenuto celebre negli anni Venti. Gli investimenti sono fittizi e gli interessi, più o meno mirabolanti, si pagano coi soldi dei nuovi investitori. Ma la sorpresa, stavolta, è che a cadere nella trappola c’erano anche artisti “di sinistra” come Sabina Guzzanti


Il meccanismo era stato congegnato nei primi anni ’90, secondo il più banale e antico dei procedimenti: la catena di Sant’Antonio. Già negli anni ’20 venne usato da Charles Ponzi, un immigrato italiano (guarda caso) negli USA, per gabellare un numero impressionante di persone, entrando nel mito come il più grande truffatore d’America. Americano purosangue è invece Bernie Madoff, che fino al 2008 ha usato la stessa tecnica raccogliendo svariati miliardi di dollari. Romano “de Roma” è infine Gianfranco Lande, arrestato a fine marzo insieme ai suoi soci con l’accusa di aver creato un’organizzazione finalizzata alla raccolta illecita di risparmi.

La tecnica è semplice ed efficacissima, fin tanto che regge. Ci si presenta con piglio convincente offrendo a risparmiatori più o meno facoltosi, meglio se celebri (per costruirsi un curriculum credibile), investimenti sicuri su bond definiti “ad altissimo rischio”. Investimenti “chiusi”, ma da cui, dice il promotore, si può uscire quando si vuole, recuperando capitale e rendimenti. Ignorando inspiegabilmente le svariate contraddizioni logiche, molti abboccano, allettati dalla promessa di interessi attivi del 10, 12 ma anche del 20%.

Raccolto il primo sostanzioso gruzzolo, al truffatore non resta che distribuire ai vecchi sottoscrittori dividendi da capogiro utilizzando i fondi dei sottoscrittori più recenti. Un gioco che può durare in tempi di vacche grasse, ma in tempi di crisi i clienti in genere chiedono indietro quanto gli spetta. Parte può essere tenuta a bada con ulteriori promesse e giochi di prestigio, ma il restante va liquidato. Ed è lì che il giochino in genere si rompe. A Madoff è accaduto allo scoppio della crisi, nel 2008, il nostro Lande invece ha resistito fino a qualche giorno fa, quando sono scattate le manette.

Gli aspetti penali di questa cronaca potrebbero finire qui, se non fosse che, dal suo arresto, si è imposta una notizia nella notizia grazie ai nomi dei clienti vittime della truffa. Nomi noti: Massimo Ranieri, Enrico Vanzina, Samantha de Grenet, David Riondino, Paolo, Sabina e Caterina Guzzanti, più altri ex calciatori, avvocati, aristocratici e molto sottobosco politico romano. Ben inteso, insieme a questa crème, nell’inferno finanziario di Lande languivano anche famiglie normali, ora sul lastrico, ma la vicenda ha raggiunto le prime pagine proprio per i volti e i nomi noti coinvolti.

Alcuni, consci della propria notorietà, hanno commentato pubblicamente, chi scherzandoci su, come Riondino, chi esprimendo stupore o indignazione. La reazione più scomposta è stata quella di Sabina Guzzanti. Scoprire che da quindici anni cercava di arrotondare con guadagni speculativi non ha fatto piacere ad alcuni suoi fan, che l’hanno apertamente criticata sul suo blog. Le critiche sono finite sulla stampa, e questo ha fatto saltare i nervi all’attrice-autrice, che ha scritto una lettera di fuoco al direttore di Repubblica, salvo poi ritrattare, con tante scuse.

Stupisce che, con tutta la storia di truffe simili alle spalle, persone di cultura o addirittura di legge possano essere cadute in una trappola talmente palese, dove tutto veniva condotto senza carte ufficiali, con adempimenti fiscali avvolti nella nebbia, e rendiconti scritti a mano su un brogliaccio qualunque. Forse è la prova che essere istruiti, colti o artisti non immunizza contro l’essere fatti fessi. Ma c’è anche un aspetto etico da considerare. Il nervosismo, in un caso rasente l’isteria, con cui i VIP hanno commentato la vicenda mette in luce quanto in una società che spettacolarizza tutto sia indispensabile che un personaggio pubblico si comporti coerentemente con il ruolo che sceglie di interpretare.

È naturale e legittimo che lo stupore pubblico scivoli in indignazione e delusione quando si scopre che alcuni deifamosi coinvolti appartengono a una visione culturale sedicente alternativa e/o di sinistra, o che comunque si autorappresenta come etica. Chi raccoglie applausi e successo gridando da un palco che Berlusconi deve comportarsi con la dignità richiesta dal suo ruolo pubblico, non può e non deve sentirsi colpito da lesa maestà nel momento in cui viene pizzicato a compiere azioni opposte all’etica che va predicando. Se non fosse che, in alcuni casi, c’è di mezzo l’etica dei cosiddetti intellettuali di sinistra. Quell’etica che troppo spesso indulge in un senechiano “non parlo di me stesso, ma della virtù”, per nascondere l’inveterato vizio di applicare a se stessa, con una certa spocchia e più di una punta d’arroganza, pesi e misure molto diversi da quelli applicati ai suoi avversari.