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Catturata dal Cigno nero

di Alessandra Colla - 13/04/2011



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Compro libri da una vita (e li leggo anche, naturalmente). Il loro numero è inversamente proporzionale a quello dei miei amici, e pur essendo tanto numerosi ognuno di loro mi ha lasciato qualcosa — foss’anche una sola frase, una sola idea, un solo spunto di riflessione. Li compro abitualmente, non solo per le feste comandate o per farmi un regalo.

Ma la cosa più eccitante è quando sono loro a comprare me.

Accade raramente, certo, e loro non usano soldi, è chiaro. Forse sarebbe più corretto dire che mi conquistano, mi catturano, mi prendono — non c’è nessuna firma vergata col sangue, ma il concetto è quello.
In genere succede per puro caso, e in tempi e modi unici. E l’altro giorno è successo di nuovo: in notevole anticipo su un appuntamento (evento per me, più che raro, unico), per ingannare il tempo mi sono messa a fare quattro passi e ho scovato una libreria della quale ignoravo l’esistenza. Mi sono presa tutto il tempo del mondo per scrutare le vetrine (quelle delle librerie e quelle dei negozi di scarpe sono le uniche nelle quali mi perdo, e se non mi ci appiccico è solo per dignità residuale), dalle quali occhieggiavano un paio di testi accattivanti.
Sono entrata a comprarli, ma dopo averlo fatto chissà perché non mi decidevo a uscire, e mi sono fatta un altro giro finché zac! — presa. Lui era lì che mi guardava da uno scaffale neanche tanto in vista, ma la sua presenza era così insistente da imbarazzarmi: e così, senza neanche stare a spulciare l’indice e la bibliografia (lo faccio sempre quando compro un saggio) l’ho acchiappato alla svelta, ho pagato e sono uscita. E sono arrivata in ritardo all’appuntamento, ça va sans dire. Ma ne è valsa ampiamente la pena.

Perché il libro è Il Cigno nero, di Nassim Nicholas Taleb (libro, come si vede, non nuovissimo, ma che mi era finora sfuggito). Più che l’origami in copertina, però, e in aggiunta al fatto che la figura del cigno mi rimanda a un periodo cruciale della mia vita, sono stati il sottotitolo — Come l’improbabile governa la nostra vita — e la dedica — a Benoît Mandelbrot, un greco tra i romani — a stroncare ogni mia eventuale resistenza all’acquisto; visto e piaciuto, insomma.
Mi ci sono tuffata, e ci sono ancora immersa — sguazzo felice tra caso e necessità, antilogica e frattali, asimmetrie e divina ignorantia; e l’aver gettato uno sguardo sia pure fugace alla seconda parte (non ci sono ancora arrivata: le sto centellinando, queste pagine benedette) intitolata “Non possiamo proprio prevedere” mi ha confortato nelle mie convinzioni su quello che io chiamo l’inganno previsionale, e che ho espresso a modo mio proprio qui*.

Torno al Cigno nero, mio ultimo livre de chevet (in ordine di tempo, soltanto…). Per adesso sono arrivata all’unico punto fermo (forse) che è il manifesto programmatico di tutti quelli che, come me, sanno soltanto di non sapere — “nessuno sa come stanno le cose”; il mio amico Hamza direbbe invece Allāhu aʿlam — “Dio ne sa di più″. Ma credo che intendiamo la stessa cosa.

 

*

Sull’utilità e il danno delle previsioni per la vita

Di lassù Nietzsche mi perdonerà l’improntitudine di avergli rapinato in qualche modo il titolo della seconda Inattuale: ma proprio non mi veniva in mente nient’altro per commentare la ridda di previsioni disattese e di catastrofi a pieno titolo che di questi tempi si sta riversando sull’uman genere.

Per esempio, sul finire di febbraio abbiamo dovuto fare i conti con un minaccioso allarme tsunami, effetto del terremoto al largo della costa cilena:

27-02-2010 | ore 14:55
(RomaCittà) Cile, allarme tsunami alle Hawaii e in generale per tutto il Pacifico

Lo Pacific Tsunami Warning Center americano ha lanciato un’allerta specifica rivolta alla Protezione Civile dello stato delle Hawaii, avvertendo che l’arrivo delle onde di tsunami è previsto per le 11.19 locali (le 22.19 di oggi in Italia). Secondo quanto indicato dall’istituto che appartiene al National Weather Center la Protezione Civile deve prendere «misure urgenti per proteggere le vite e le proprietà». L’Usgs (il servizio geologico americano) ha esteso l’allarme tsunami a tutto il Pacifico dopo il terremoto che ha avuto come epicentro il Cile.

La mattina dopo, con grande sollievo di tutti e compiacimento per lo scampato pericolo, le agenzie hanno battuto quanto segue:

28/02/2010 ore 10:48

(AGI) CILE: LO TSUNAMI RAGGIUNGE IL GIAPPONE CON ONDE 30 CM.

Dopo aver superato senza creare particolare danni la Polinesia francese e le Hawaii, lo tsunami innescato dal terribile terremoto in Cile, e’ arrivato in Russia e in Giappone. Nella penisola della Kamchatka le onde sono state alte 80 centimetri. In Giappone, l’agenzia meteorologica nipponica aveva emanato il maggior allerta dal 1993, preannunciando onde alte fino a due metri. Le sirene risuonate lungo le coste hanno messo in allerta 70.000 persone, ma le onde giunte nell’isola di Hokkaido non erano più alte di una trentina di centimetri.

(TeleFree) Giappone: tsunami, allarme rientrato
Dopo sisma, onde poco piu’ alte di 10 cm

05.15 - Giappone, tsunami di 10 cm. Lo tsunami causato dal sisma cileno di magnitudo 8.8 ha raggiunto le coste del Giappone con un impatto debole: l’onda registrata nell’arcipelago di Ogasawara, oltre mille chilometri a sud di Tokyo in pieno Pacifico, ha toccato i 10 centimetri di altezza. Lo riferisce la tv pubblica, Nhk.

Ora, l’oceanografia non è il mio pane. Però vado al mare da quando sono nata, e se un mare — anzi, qui si parla di oceano — non fa un’onda di almeno 10 centimetri o è gelato o è uno stagno.

In compenso, tutto sembrava tranquillo nel Mediterraneo; e invece è di ieri sera questa notizia:

Spagna, onda anomala travolge nave da crociera: muore italiano
Trieste, 3 mar. (Adnkronos/Ign) - E’ italiano uno dei turisti morti a bordo della nave da crociera cipriota battente bandiera maltese investita oggi da un’onda anomala al largo della Catalogna. G.N., secondo quanto ha riferito la Guardia Costiera di Genova, aveva 53 anni. La vittima era a bordo della Louis Majesty della Louis Cruise Lines con il figlio di 12 anni. Con lui e’ morto un altro turista, un tedesco. La nave porta 1.350 passeggeri ed e’ diretta a Genova. L’onda, secondo le prime informazioni, sarebbe stata alta circa 8 metri.
L’onda anomala ha investito la nave da crociera verso le 16.30 a circa 111 chilometri da Barcellona e si e’ abbattuta contro le finestre del salone a prua, rompendole. A bordo c’erano 1350 passeggeri e 580 membri dell’equipaggio. L’imbarcazione, secondo quanto riporta il sito del quotidiano ‘El Pais’, attracchera’ a Ciudad Condal (Barcellona) per sbarcare i morti e i feriti.

Ho usato all’inizio la parola “catastrofe”, e non l’ho fatto per significare un “disastro” o una “tragedia” e neppure un “cataclisma” — anche se questa parola viene spesso utilizzata per indicare una rovina improvvisa e terribile. Ho detto “catastrofe” nel senso più matematico del termine ovvero secondo l’accezione che ne dà la teoria delle catastrofi di Thom, che è poi quella che corrisponde appieno alla sua etimologia. La catastrofe, insomma, è un punto critico degenere — mi dichiaro ancora una volta affascinata dall’abisso significativo a cui sanno rimandare certi termini apparentemente aridi — vale a dire il momento in cui uno stato muta repentinamente di condizione. Ma, a seconda del contesto in cui si trova il punto critico e delle condizioni (circostanze variabili) che ne hanno determinato il sorgere, la catastrofe evolverà in un senso o in un altro, in modo del tutto imprevedibile.
Ora, è vero che Thom ha evidenziato sette forme che determinano i modelli di evoluzione dei punti critici, ma è anche vero che nei casi dei fenomeni naturali la quantità e l’identificabilità delle variabili è tale e tanta da rendere veramente titanica qualsiasi impresa anche solo approssimativamente predittiva.

L’uomo di oggi è ossessionato dal controllo, quando in realtà non abbiamo mai neppure l’evidenza (epistemologicamente intesa) che saremo ancora vivi fra un minuto o che il pavimento su cui ci troviamo continuerà a reggerci. Esser convinti del contrario è l’essenza dell’inganno previsionale: ma che senso hanno, dunque, le previsioni? Hanno davvero una qualche utilità, o non rientrano piuttosto nel bisogno, tutto umano e tutto contemporaneo, di possedere una certezza? È il medesimo bisogno che spinge a ricercare ogni mezzo per combattere l’invecchiamento e la malattia, per imbrigliare l’imponderabile, per fare della vita un piatto trascorrere di banalità sempre uguali a se stesse, per contenere i rischi. Eppure, diceva Platone, «il rischio è bello»…
E, per chiudere in bellezza, una poesia.

Lucinda Matlock

Andavo a ballare a Chandlerville,
e giocavo a carte a Winchester.
Una volta ci scambiammo i cavalieri
al ritorno in carrozza sotto la luna di giugno,
e così conobbi Davis.
Ci sposammo e vivemmo insieme settant’anni,
divertendoci, lavorando, crescendo dodici figli,
otto dei quali ci morirono,
prima che arrivassi a sessant’anni.
Filavo, tessevo, tenevo in ordine la casa, assistevo i malati,
curavo il giardino, e alla festa
andavo a zonzo per i campi dove cantavano le allodole,
e lungo lo Spoon raccogliendo molte conchiglie,
e molti fiori ed erbe medicinali —
gridando alle colline boscose, cantando alle verdi vallate.
A novantasei anni avevo vissuto abbastanza, ecco tutto,
e passai a un dolce riposo.
Cos’è questa storia di dolori e stanchezza,
e ira, scontento e speranze cadute?
Figli e figlie degeneri,
la vita è troppo forte per voi —
ci vuole vita per amare la vita.

(Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River)