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Mediterraneo: la posta in gioco

di Fabio Falchi - 14/04/2011


 

Non vi è dubbio che le cosiddette "rivolte arabe" siano almeno in parte "eterodirette": malcontento popolare, tensioni e contrasti interni, la presenza di reti islamiche ed altri fattori, per così dire, "endogeni", possono concorrere a spiegare, ma non escludono certamente l'azione di governi stranieri e di "gruppi specializzati" in rivoluzioni colorate e nell'esportazione dei diritti umani, ossia nella destabilizzazione o "balcanizzazione" di certe regioni, al fine di creare una situazione il più possibile favorevole agli interessi della potenza occidentale predominante e dei suoi alleati subdominanti. Se ormai è appurato che i ribelli "cirenaici" erano in contatto - ben prima della rivolta non tanto contro il regime di Gheddafi quanto piuttosto contro la Jamāhīriyya, la repubblica socialista e popolare della Libia - con i governi dei filosionisti Sarkozy e Cameron, si sa pure che in Egitto, in cui il potere è saldamente nelle mani di militari che prendono ordini direttamente dalla Casa Bianca e dal Pentagono, opera una organizzazione filo-occidentale, analoga a "Otpor", la "rete" costruita con l'aiuto del colonnello Robert Helvey, e poi "assorbita" dalla Ong statunitense Freedom House, che si adopera, tra l'altro, per sostenere i movimenti giovanili in Ucraina. Del resto, ove i manifestanti non condividano i "valori occidentali", come nel Bahrain, si ritiene necessario che si usi la forza, anche se si invita ad essere moderati e a "dialogare", per reprimere le rivolte. Né, ovviamente, le "democrazie occidentali" condannano, al di là di melense ed ipocrite dichiarazioni di circostanza, la politica colonialista dell'entità sionista, che continua a infierire in ogni modo contro la popolazione palestinese, grazie anche al vergognoso silenzio dei media mainstream, ormai veri e propri sistemi d'arma al servizio del Leviatano e delle lobby sioniste. Insomma, due pesi e due misure, come al solito, sicché nulla di nuovo sotto il sole. Tuttavia, anche se la situazione generale è ancora troppo fluida per esprimere giudizi definitivi, è possibile cercare di interpretarla secondo una scala geopolitica "maggiore", per così dire, ovvero tenendo conto che l'obiettivo principale degli Usa - che non hanno rinunciato (e probabilmente "non possono" rinunciare, anche per motivi economici) al loro disegno di egemonia globale, che perseguono perlomeno dalla fine della guerra fredda - non può non essere che il controllo del "cuore" dell'Eurasia.

E' stato infatti Halford John Mackinder, considerato il "padre" della gepolitica, a sostenere che l'heartland domina il blocco continetale eurasiatico e chi domina il blocco continentale eurasiatico domina il mondo. A tale riguardo, si può ritenere che siano quattro le più importanti vie di penetrazione strategica nell'heartland, nel "cuore" della terra, anche se in realtà si riducono a due, poiché l'accesso da Nord e da Est, comporterebbe inevitabilmente uno scontro diretto, rispettivamente, con la Russia e con la Cina. Vi è poi la via da Sud Est, ossia attraverso l'Oceano Indiano, ma, come prova il fallimento militare statunitense, in Irak e in Afghanistan, non è affatto agevole per una talassocrazia sfruttare questo asse geostrategico, considerando inoltre la "barriera" costituita da Paesi quali l'Iran, il Pakistan e l'India. Rimane quindi la via da Sud Ovest, ossia il Mediterraneo, inteso però come "grande spazio geopolitico", e quindi includendo il Mar Rosso, il Mar Nero e il Mar Caspio. E non è affatto casuale che dopo il crollo dell'Urss, l'impegno militare americano sia sempre aumentato nell'area mediterranea: se nel Nord Europa è sufficiente l'alleanza con una Polonia che pare essere ferma all'estate del 1939, si costruisce l'enorme base di Camp Bondsteel, si rafforzano i legami con la Romania in funzione antirussa, si cerca di far entrare l'Ucraina nella Nato e addirittura si sostiene militarmente la Georgia contro Mosca. Del resto, il controllo del Mediterraneo consente di aggirare la massa continentale europea dal mare, e permette alla potenza aeronavale statunitense di estendere il proprio raggio di azione sia verso l'Africa che verso il Medio e il Vicino Oriente, senza che l'America debba necessariamente rischiare di "impantanarsi" in un altro conflitto terrestre. Ovviamente interventi miltari con truppe statunitensi (marines, rangers e paracadutisti) sono possibili, ma difficilmente possono non essere di carattere limitato (e quanto accade in Libia, pare confermarlo, dato che gli Usa hanno intenzione di lasciar fare il lavoro "sporco" agli europei, in particolare agli inglesi ed ai francesi, che ben poco potrebbero fare senza l'appoggio dell'America). In ogni caso, sono soprattutto altri i mezzi che occorrono per il "nuovo corso" della politica americana, se deve impedire che il Mediterraneo sia una risorsa strategica e un'area di cooperazione privelegiata per gli europei che volessero smarcarsi dal dominio statunitense. Ovvero, come sostengono Qiao Liang e Wang Xiangsui (in "Guerra senza limiti", Libreria editrice goriziana, Gorizia,2004), oggi è più che mai indispensabile, per una qualsiasi potenza, avere la capacità di combattere una guerra attraverso le manipolazioni dei media, le azioni sul web, le turbative dei mercati azionari, la diffusione di virus informatici e altre armi non tradizionali. Sono appunto le tattiche del "non combattimento" che sono state impiegate con successo dai membri di Otpor e che adesso si impiegano anche nel mondo arabo. E' insomma, per intendersi, la strategia di Soros, che, a differenza dei neocons, mira non allo "scontro di civiltà", a contrapporre l'Occidente al "mondo islamico", ma a far leva su gruppi filo-occidentali (che ovviamente sono presenti anche nei Paesi musulmani), secondo l'antica, ma non antiquata, massima "divide et impera". In questa prospettiva, non è escluso che vi possano essere "frizioni" tra Washington e Tel Aviv, ma concernenti unicamente i mezzi tramite i quali si deve raggiungere lo scopo, non lo scopo medesimo, ché anche per Israele è di vitale importanza che il Mediterraneo sia un lago americano, tanto più se si considera che la Turchia di Erdogan "rialza la testa e riprende il suo ruolo storico di epicentro del mondo musulmano " (C. Mutti, "Geopolitica di un assedio", Rinascita, 8/04/11).Ed è proprio il ruolo che potrebbe svolgere la Turchia - Paese "eurasiatico", come la Russia - che non si deve assolutamente perdere di vista per valutare quali sono i reali equilibri che non solo gli Usa, ma anche Israele, devono difendere, anche mutando tutto affinché nulla muti, e che valgono assai più di "amici", come Mubarak o Ben Alì, i quali "servono" fin quando appunto sono "utli". D'altronde, come dimenticare che la Turchia è pur sempre "l'erede" dell'Impero Ottomano, in cui, come nell'impero austro-ungarico, convivevano "identità differernti", ciascuna, compreso il popolo curdo, senza dovere rinunciare alle proprie tradizioni ed alla propria cultura, e che fu "smembrato" in quella terribile prima guerra civile europea che fu la Grande Guerra, l'esito della quale fu deciso, per la prima volta, da una potenza extraeuropea? Il che dovrebbe pure far prendere in considearzione che il Mediterraneo non è solo uno spazio geopolitico e un asse geostrategico di importanza fondamentale per la talassocrazia americana (e per la società e per la cultura che rappresenta), ma anche uno spazio "geo-culturale" che ha "articolato" per secoli l'identità dell'homo europaeus. In una recente intervista a Radio Irib, Enrico Galoppini ha giustamente ricordato che "Il Mediterraneo è stato nei secoli teatro non solo di antagonismi, ma anche di influssi culturali, migrazioni e commerci tra 'mondo musulmano' e 'civiltà cristiana”' che, pur belligeranti, dialogavano con reciproco rispetto" ( vedi http://italian.irib.ir/radioislam/analisi/interviste/item/82413-intervista-al-prof-enrico-galoppini-prima-parte). Una giudizio che Maria Corti - filologa e critica letteraria di fama mondiale, che ha dimostrato, basandosi sugli studi di Asin Palacios, la rilevanza strutturale del testo arabo "Il Libro della Scala" ,dell’ottavo secolo d.C., per quanto concerne la Divina Commedia di Dante - non avrebbe potuto non condividere. Tanto è vero che non esitò ad affermare che "il Duecento è un secolo particolarissimo nella cultura italiana, perché è un secolo in cui i rapporti fra il mondo cristiano e il mondo musulmano si fanno molto più stretti, per tutta l’area mediterranea. E questo si deve soprattutto a un evento storico e alla grandezza di due personaggi che hanno dominato il Duecento, che sono Federico II, imperatore re di Sicilia e Alfonso decimo il Savio. Questi due personaggi, per ragioni particolari, nella loro infanzia furono molto legati al mondo arabo. Federico II, addirittura, visse da bambino quasi nell’ambiente arabo, dopo che morì sua madre. E a sua volta, Alfonso decimo, ebbe strettissimi rapporti familiari con le personalità della cultura araba. Questo contribuì a creare un fenomeno veramente affascinante che sarebbe bello che si ripetesse presso tutti i popoli: un fenomeno di trasmissione di cultura. Gli arabi portavano in Occidente soprattutto la cultura greca. La filosofia greca, la trascrivevano in arabo e poi i testi arabi venivano tradotti. Alfonso il Savio creò la famosa scuola di Toledo nella quale si traduceva tutto dai vari paesi del mondo, in castigliano, poi dal castigliano in latino o in francese antico " (vedi http://www.emsf.rai.it/scripts/interviste.asp?d=490). Sono parole che meglio di tante analisi politiche, benché condivisibili, dovrebbero far capire quanto si sia "impoverita" l'Europa e quanto siano vasta e profonda la "crisi" dell'umanità europea, se una realtà geopolitica e "geo-culturale" come l'aerea mediterranea si è ridotta per molti europei “semplicemente ad una frontiera da pattugliare per sbarrare il passo ai migranti clandestini" (vedi http://www.eurasia-rivista.org/cogit_content/editoriali/EEyFFZlyVksLhdYRtr.shtml). Ciò dipende senz'altro anche dal fatto che le condizioni per una diversa politica non possono realizzarsi fino a quando la regione mediterranea non sarà un'area di cooperazione e un punto di riferimento per tutto il continente africano - che è invece sempre più vittima del neocolonialismo, anche per la corruzione delle élites africane e la loro incapacità di "crescere" politicamente, sebbene il conflitto tra Cina e "potenze occidentali" possa essere per i Paesi africani una grande occasione da sfrutttare (vedi http://rivistastrategos.wordpress.com/2010/10/29/approfondimento-il-continente-nero-conteso/). Inoltre, vi è il fatto che Israele di per sé è un ostacolo per qualsiasi progetto che abbia come scopo la "valorizzazione" geopolitica del Mediterraneo, come "necessaria premessa" per un blocco di alleanze euroasiatico, onde poter contrastare l'egemonia statunitense e porre un freno alla barbarie della società di mercato "occidentale". Ma senza la complicità delle classi dirigenti, senza l'indifferenza di gran parte dell'opinione pubblica e senza il "tradimento dei chierici" europei, sarebbe già possibile un'altra storia; e invece, indipendentemente da quanto potrà accadere nel mondo arabo, i popoli europei rischiano di dover combattere una guerra contro sé stessi, per non avere ancora compreso qual è il loro vero nemico. Perciò, anziché difendere obsolete ed "ingenue" rappresentazioni della realtà - ammesso e non concesso che siano "ingenue" e non in "malafede", anche se la "degenerazione ideologica" della intellighenzia europea è tale che si può ritenere che gli intellettuali "tradiscano" non solo per convenienza, ma perché completamente incapaci di "leggere" la realtà con categorie (geo)politiche adeguate - e sognare moltitudini all'assalto dell'impero "che non verrà" - e quanto si è detto riguardo all'Impero Ottomano chiarisce bene la differenza tra un vero impero e l'imperialismo americano - ci si dovrebbe concentrare sulle "strategie" (come appunto fanno i redattori del blog "Conflitti e strategie", avvalendosi dell'impianto teorico di Gianfranco La Grassa), che indirizzano gli eventi in un senso piuttosto che in altro; e ciò non perché la lotta sociale non conti, ma perché oggi il "paradigma" alla luce del quale si può "com-prenderla" è la guerra che si sta combattendo da quando l'Urss è scomparsa. Una "guerra senza limiti", nel senso attribuito a questa espressione dai due militari cinesi, tra il cosiddetto "Occidente" e il resto del mondo. E' questa la "struttura dell'apparenza" ed è in funzione di questa struttura che si dovrebbe intepretare la lotta politica all'interno dei singoli Paesi e tra i diversi Paesi.