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Strategia della tensione: l’industria della paura

di Claudio Cabona - 19/05/2011

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George Orwell nell’opera “1984” scrisse: “Non si tratta di stabilire se la guerra sia legittima o se, invece, non lo sia. La vittoria non è possibile. La guerra non è fatta per essere vinta, è fatta per non finire mai”.
I conflitti, affinché si perpetrino e abbiano legittimazione, devono reggersi su un impianto consensuale ben preciso, volto a far sì che i sentimenti di apparente conservazione del sistema, propagandati da chi mette in atto le operazioni, vengano percepiti anche dalla popolazione. Dopo la caduta del comunismo, gli Stati Uniti, come è ormai noto, necessitavano di un altro muro a cui opporsi.
Un nemico, possibilmente subdolo e invisibile, da dipingere come virus pronto ad infettare i diritti e le libertà del mondo occidentale. Ed ecco prendere sempre più campo il terrorismo islamico pronto a portare fuoco e terrore nel cuore della “nostra” civiltà. Il casus belli fu l’11 settembre, sempre che si accetti la lacunosa versione ufficiale. Da quel momento in poi nulla fu come prima, a partire dall’intervento atlantista sul suolo afgano, messo in piedi apparentemente per rispondere allo schiaffo subito. Insomma: una reazione. Ma tutte le guerre che vennero portate avanti dopo quella irrisolta in Afghanistan, non registrano alcun tipo di fondamento manifesto. Se non uno: la paura. La volontà di tenere in pugno le risorse energetiche dei Paesi occupati, infatti, è una motivazione che risiede dietro la maschera, non “ufficializzata”.
La paura più che una legittimazione è una costruzione artificiale, imposta, fomentata e fatta scorrere come un fiume dentro le nostre teste dai mass media e dalle forze politiche. Armi di distruzione di massa, stragi, massacri, attacchi terroristici, dittatori assetati di sangue, equilibri sconvolti, salvaguardia dell’Occidente, libertà minate.
Si è creato uno stato d’animo d’agitazione costante, puntando la luce su eventi o situazioni dal forte impatto emotivo per far sì che l’opinione pubblica accolga le manovre risolutive della politica. Risoluzioni che sono anche sfociate in drastiche restrizioni della privacy, come nel caso delle banche dati presenti negli States create per scovare potenziali terroristi, e in incarcerazioni repentine per far innalzare i guadagni delle istituti privati, pratica diffusa sempre in America. Ma non bisogna volare oltre oceano per incorrere in leggi liberticide. Basti pensare al mandato di cattura europeo, stilato proprio sull’onda emotiva del pericolo terrorista.
Tutti questi interventi hanno accompagnato la nascita di nuovi conflitti per la “tutela” del mondo occidentale, denominati appunto “esportazioni della democrazia”. Leggi e guerre che si intrecciano e si offrono pretesti a vicenda. In definitiva, viene allestita un vera e propria industria dell’insicurezza e della paura, pianificata per far abbassare la testa davanti a leggi dittatoriali e a nuove operazioni belliche. Ma c’è un altro aspetto che va evidenziato: il fattore temporale. Si fa leva sul terrore per dare respiro ad interventi illegittimi che dovrebbero, così ci viene raccontato dall’entourage politico, far rientrare la preoccupazione dei cittadini minacciati. Ma non è così. Perché? L’instabilità deve essere sempre tenuta viva, immortale, organizzata e pronta a tutto. L’obiettivo numero uno, infatti, non è ristabilire la tranquillità attraverso operazioni militari o legislative, ma tenere in vita lo stato d’ansietà del cittadino. Solo così si potranno portare avanti nuove leggi liberticide, solo così l’opinione pubblica si dirà favorevole a nuove occupazioni. La paura è come un fuoco su cui viene buttata costantemente benzina. Si osservi con attenzione quello che sta succedendo in Siria dove si puntano i riflettori sulle presunte stragi governative per far aumentare l’indignazione nei confronti di Assad, prossimo target di guerra della Nato.
Ma una palese dimostrazione di quanto scritto è la retorica utilizzata in questi giorni da Obama e dai mass media riguardo la morte di Bin Laden. Se da un lato il presidente Usa ha parlato di “giustizia”, iniezione di sicurezza per il ricevente, dall’altro, suffragato dai media, ha espresso la sua preoccupazione per eventuali ritorsioni o vendette, iniezione di paura. Il presunto computer dello sceicco ricolmo di progetti per futuri attentati ha completato l’opera. In definitiva, il cittadino americano, nonostante sia morto Bin Laden, non si sente più sicuro di prima. I media, ciliegina sulla torta, sono perfino riusciti a diffondere un file audio dello “sceicco del terrore”, registrato antecedentemente al decesso, dove il numero uno di Al Qaeda minaccia il mondo occidentale, in particolare Israele. L’attentato in Pakistan degli scorsi giorni è stata la chiusura del cerchio dell’escalation di terrore.
In queste ultime settimane, in realtà, “il più grande terrorista del mondo” è stato più vivo che mai. Fatto risorgere ad uso e consumo dello Zio Tom e delle sue fedeli armi di comunicazione, pronte a creare incubi in provetta per gli occhi e le menti di orde di zombie, chiamati cittadini, ai quali è stato perfino negato il diritto di conoscere la verità.