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Afghanistan. La guerra è (anche) una questione di soldi

di Ferdinando Calda - 08/06/2011



Quest’anno la guerra in Afghanistan costerà agli Stati Uniti 113 miliardi di dollari. E il prossimo 107. Praticamente un milione di dollari all’anno per ogni soldato schierato nel Paese. Una cifra decisamente importante, specialmente per una nazione alle prese con una dura crisi economica. Per questo motivo è improbabile che l’argomento delle spese non verrà preso in considerazione quando, nelle prossime settimane, il presidente Usa Barack Obama dovrà decidere modalità e tempistica del ritiro delle truppe dall’Afghanistan.
Anche se, probabilmente, nelle prossime riunioni del gabinetto di guerra di Obama non si parlerà direttamente dei costi, fa notare il Washington Post, questi influenzeranno notevolmente il giudizio dei consiglieri civili. Si ripeterà quindi quella battaglia tra militari e civili a cui abbiamo assistito quando si è dovuto decidere del surge da inviare al fronte.
Adesso, i fautori di un ampio ritiro di truppe, capeggiati dal vice presidente Joe Biden, sostengono che i recenti successi nei confronti dei talibani e di al Qaeda giustifichino un rapido disimpegno, sottolineando il fatto che questi progressi sono frutto dell’azione delle forze speciali e non della costosa operazione militare. E proprio l’uccisione di bin Laden ha ridato slancio a questa tesi, secondo cui, invece di spendere ingenti uomini e risorse nel tentativo di controllare capillarmente un territorio fin troppo ostile, sarebbe preferibile ricorrere maggiormente ad azioni mirate (e segrete) contro obiettivi precisi.
Lo stesso Biden, ai tempo dell’invio di rinforzi, aveva proposto di rinunciare fin da subito al controllo delle zone rurali, per concentrarsi nel garantire la sicurezza nei pochi grandi centri abitati e nell’eliminazione dei leader dei gruppi terroristici. Del resto l’obiettivo, sosteneva il vice presidente, è quello di sconfiggere il terrorismo ed evitare attacchi sul suolo statunitense, non di governare l’Afghanistan e, tantomeno, gli afgani.
Ma se i politici guardano al portafoglio e al sentimento dell’elettorato, i generali sul campo hanno un’altra visione della situazione. Più volte, infatti, il Pentagono ha avvertito che un ritiro troppo rapido rischia di vanificare anche quei fragili progressi fatti fino ad ora, per di più a un costo altissimo.
Del resto, militarmente parlando, dare l’impressione al nemico di essere prossimi alla partenza non sembra affatto una buona strategia. Specialmente se con la controparte sono in corso dei negoziati per una soluzione politica del conflitto. “Siamo ad un punto critico della guerra – ha commentato una fonte militare al Washington Post – se mandiamo il messaggio che rallentiamo la pressione, che incentivo avranno i talebani a fare un accordo con noi?”.
Alla Casa Bianca, però, è la cifra astronomica di 113 miliardi di dollari ad occupare le menti dei consiglieri civili di Obama. Così come per i politici democratici sono le proteste degli elettori che hanno creduto alle promesse del Premio Nobel per la Pace. Nei giorni scorsi un gruppo di deputati, tra cui anche quattro repubblicani, ha scritto una lettera al presidente in cui lo invitavano a “riesaminare la nostra politica in Afghanistan”.
Che, tradotto, vuol dire meno soldi e meno soldati per la guerra. Continuano, infatti, ad essere nell’ordine delle decine i soldati dell’Isaf che muoiono ogni mese e la necessità di trasportare via terra tutti i rifornimenti, in particolare il carburante, fa lievitare i costi in maniera vertiginosa. Anche considerando i continui attacchi ai convogli Nato che dal Pakistan si dirigono in Afganistan.
A queste spese si aggiungono i miliardi investiti nella ricostruzione – 1,3 miliardi l’anno scorso solo nella provincia di Helmand – che spesso spariscono nei meandri della corrotta amministrazione afgana.
Non meno importanti, poi, sono i costi per l’addestramento delle forze di sicurezza di Kabul, che rappresenta la principale voce singola del bilancio del dipartimento della Difesa. Già sono stati spesi 28 miliardi di dollari e, per l’anno fiscale 2012, il Pentagono ne vuole altri 12,8. Sull’affidabilità dell’esercito nazionale afgano (Ana) la Nato ha basato tutta la sua strategia per il passaggio di consegne e il conseguente abbandono del Paese. Tuttavia, il mese scorso il Consiglio Nazionale di Sicurezza ha respinto la richiesta del Pentagono di aggiungere altri 73mila soldati all’esercito afghano, autorizzando un’aggiunta di soli 47mila uomini.
Ma anche se si riuscisse ad arrivare a un numero soddisfacente di effettivi (obiettivo difficile da raggiungere a causa dell’alto tasso di diserzione), resta il problema del mantenimento di un simile esercito. Il governo di Kabul ha un bilancio annuale di 1,5 miliardi di dollari e l’addestramento costa da solo fra i sei e gli otto miliardi l’anno. “Stiamo costruendo un esercito che loro non saranno mai in grado di mantenere, il che significa che dovremo pagare per anni”, nota una fonte dell’amministrazione citata dal Washington Post.
Del resto, era stato lo stesso Karzai, quando Obama annunciò le date per il ritiro, ad avvertire Washington che il governo afgano avrebbe avuto bisogno delle finanze statunitensi almeno per altri 4 o 5 anni ancora.
Una ipotesi che farà rabbrividire chi alla Casa Bianca sta cercando di far quadrare i conti delle disastrate casse federali.