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Apologia dei doveri dell'uomo

di Paolo Marcon - 21/06/2011

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…oggi più che mai è necessario rivendicare i doveri dell’uomo ed è necessario ancorarli ad una visione sacrale e simpatetica del mondo. In tale visione l’uomo deve ricuperare quell’unione con il tutto, nel conscio e nell’inconscio, nella vita e nel pensiero, che il razionalismo moderno ha espunto con l’ideologia e con la forza.

Claudio Bonvecchio

 
«Diritti, diritti, diritti!»… Lo sport preferito dalla maggior parte dei nostri politici, burocrati, professori, opinionisti, intellettuali movimentisti, artisti impegnati a far progredire la nostra società, sembra essere la promozione e rivendicazione, in nome e per conto di tutto e di tutti, dei diritti. Di “diritti democratici ed universali” discutono i nuovi Signori del mondo asserragliati nelle stanze del potere; le bandiere dei diritti, poi, sventolano nelle piazze new global, che di quelle stanze sono evidentemente l’anticamera. Siamo, così, letteralmente bombardati da una campagna permanente di informazione (e di disinformazione) sui diritti, che nel frattempo, nella nostra società, si moltiplicano fino al punto di non corrispondere ai reali desideri dell’uomo e di entrare in conflitto fra loro. Determinando, tra le altre cose, una crescita mostruosa delle strutture burocratiche dello Stato moderno (ridotto ad oggetto nichilistico, per dirla con Ernst Jünger). Lo sviluppo della mentalità e della cultura con cui vengono presentati i diritti, inoltre, converge con quell’esplosione dei bisogni, delle aspettative e delle domande indirizzate al governo da parte di gruppi ed individui (educati fin da piccoli alla venerazione del “dio diritto”), che la stessa scienza della politica considera come la causa principale della crisi per “sovraccarico” (overload) delle moderne democrazie industrializzate.
Come forse si può intuire anche da queste brevi note, dunque, la “chiacchiera universale” sui diritti, che impegna effettivamente tutta la società politica e civile occidentale, non è certo l’espressione di una “moda”, o un fatto contingente. La società moderna è infatti un mondo che pretende di fondarsi precisamente ed esclusivamente sul diritto e sulla cultura dei diritti. Intesi come una fabbricazione astratta - e perciò in realtà sempre mutevole, malgrado tutte le solenni dichiarazioni - dell’uomo moderno, che si crede liberato da ogni vincolo e da ogni profondo legame. Ce lo racconta chiaramente Claudio Bonvecchio, filosofo della politica che da tempo seguiamo con attenzione, in questa sua affascinante e formativa Apologia dei doveri dell’uomo (edizioni Asefi, www.asefi.it). L’autore comincia con il constatare l’estrema impopolarità, nel mondo d’oggi, di ogni richiamo al dovere e a ciò che attiene al dovere, in senso profondo, nella vita del singolo come in quella della comunità politica. Mentre tutti sono disposti ad infiammarsi di passione civile per la difesa di qualsiasi diritto, vero o presunto che sia, il dovere risulta imparlabile, sembra rimosso nell’Ombra. Ma ciò che ha a che fare con l’Ombra della nostra società secolarizzata, lo sappiamo bene, rimanda al Sacro non più riconosciuto dalla superba umanità moderna. Ed è proprio in questa prospettiva, infatti, che Bonvecchio svolge la sua Apologia: il dovere non è inteso qui semplicemente in modo speculare al diritto, come vorrebbe la scienza giuridica, né come un concetto fondato sull’etica pubblica o su una non meglio precisata, forse perché imprecisabile, “razionalità responsabile”. Diversamente, il dovere su cui si riflette in questo libro si radica su una visione del mondo capace di reintegrare l’uomo nella sua autentica dignità: «Il dovere si può considerare come l’impulso ad essere conforme ad una convinzione interiore: quella per cui si deve agire in un certo modo e non altrimenti. Questo non per adempiere ad un esteriore ossequio quanto per raggiungere quello stato di armonia che rivela la propria sintonia con un ordine superiore».
Il dovere viene visto, dunque, come la via maestra che l’uomo deve percorrere per realizzarsi nell’appartenenza all’ordine totale di un cosmo che è sacro. D’altro canto, la stessa parola “dovere” – come ricorda Bonvecchio – deriva dal latino de habeo, che significa precisamente: “avere qualche cosa da qualcuno”. Sembra perciò indicare un originario debito o vincolo che l’uomo ha rispetto ad un Dio creatore o comunque ad una dimensione naturale, profonda, totale e trascendente. Ciò, del resto, dà l’impressione di essere confermato dalla storia: il declino dei doveri e l’affermazione unilaterale, teorica e astratta dei diritti, infatti, comincia nel momento storico più eversivo della religiosità naturale dell’uomo. Cioè quando si fonda la modernità borghese, nel secolo dei lumi, sostituendo un Potere legittimo, perché agganciato ad un ordine di valori trascendente, con un potere legale, formale e astratto che nulla dice dell’uomo e all’uomo, perché nulla ha da dire. E se prima dei rivoluzionari francesi nessuno aveva mai sentito la necessità di dichiarare formalmente i diritti dell’uomo, certo questo non significa che l’uomo delle società pre-secolarizzate non avesse diritti. Piuttosto i diritti naturali dell’uomo, di cui parlano anche i teologi medioevali, erano, come in realtà lo sono oggi, per l’appunto connaturati all’essenza religiosa dell’essere umano e alla Legge superiore che governa un ordine cosmico e sociale (l’uno riflesso dell’altro) percepito come sacro dagli uomini.
Non c’era perciò bisogno di rivendicare, più o meno solennemente o istericamente, quella moltitudine di diritti di cui si discute oggi, e che poi vengono continuamente disattesi. Tanto da pensare, come suggerisce Bonvecchio, che tutta la chiacchiera sui diritti serva in realtà per mascherare ben poco nobili interessi e/o togliere (o togliersi) lo sguardo da ciò che conta veramente e dalle vere violenze occulte, ma devastanti, di una società che non sa più essere comunità. E non sa perciò garantire l’unico vero diritto (naturale): il diritto dell’uomo al Sacro che, come ricorda l’autore di questa Apologia, è indissociabile da «quello di poter contare su qualcuno che lo guidi e lo istruisca nell’adempimento di questo diritto». Diritto al Sacro che in realtà è anche il supremo dovere che ogni singolo essere umano è chiamato a perseguire quotidianamente. Qui ed ora, senza fermarsi ad un’infeconda critica del nostro tempo e senza inutili nostalgie. Il compito di ogni uomo «deciso ad avere ancora un proprio destino» (Jünger) è, infatti, il riconoscimento della Totalità, del Padre primordiale, ed il ritorno a Lui. Lontano da ogni agitato delirio, da ogni comoda finzione, da ogni accomodante buonismo o falsa meta. Lontano, perciò, anche dai «castelli di carta dei diritti».

 L'AUTORE

Claudio Bonvecchio è professore ordinario di Filosofia delle Scienze Sociali presso il corso di laurea in Scienze della Comunicazione dell’Università dell’Insubria, a Varese. Ricopre numerosi incarichi presso diverse istituzioni culturali ed universitarie. E’ autore di un’intensa attività pubblicistica. Tra i più recenti libri pubblicati segnaliamo: Immagine del politico. Saggi su simbolo e mito politico (Cedam, Padova, 1995); Imago Imperii Imago Mundi (Cedam, Padova, 1997); L’ombra del potere. Il lato oscuro della società: elogio del politicamente scorretto (con C. Risé, Red, Milano); Il nuovo volto di Ares o il simbolico nella guerra postmoderna (Cedam, Padova, 1999); La spada e la corona. Studi di simbolica politica (Barbarossa, Milano, 1999); Gli Arconti di questo mondo. Gnosi: politica e diritto (Edizioni Università di Trieste, Trieste, 2000); Il pensiero forte (Settimo Sigillo, Roma, 2000).