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Kosovo: anche gli “eletti” cominciano a tremare

di Stefano Vernole - 27/06/2011



   
Kosovo: anche gli “eletti” cominciano a tremare

La partizione del Kosovo, della quale negli ultimi tempi hanno parlato a più riprese esponenti politici serbi, “non fa parte della prospettiva europea dei Balcani occidentali, e non può essere pertanto una soluzione ai problemi del Kosovo.” Questo è quanto riferisce l’Ambasciatore d’Italia a Pristina, Michael Louis Giffoni (nato a New York), che ha l’incarico di ‘facilitatore politico’ nel nord del Kosovo a maggioranza di popolazione serba. ”Da vari anni ripeto che l’Unione europea lavora e ha una visione dei Balcani legata all’integrazione e alla cooperazione, al dialogo e alla prospettiva europea. In quest’ottica concetti come la partizione del Kosovo sono fuori luogo e non aiutano a migliorare la situazione nella regione”, ha detto Giffoni. A suo avviso, ”invece di creare nuovi confini bisogna rendere meno impenetrabili quelli già esistenti, che e’ poi la tendenza in atto in Europa”.

A parlare di una divisione del Kosovo come ‘unica soluzione realistica’ all’impasse che persiste sulla questione di tale paese, del quale Belgrado rifiuta di riconoscere l’indipendenza, e’ stato in particolare il vicepremier e ministro dell’interno serbo, Ivica Dacic. L’Ambasciatore Giffoni ha confermato la sua posizione in una intervista al quotidiano kosovaro “Koha Ditore”, nella quale ha affermato che quelle su una possibile partizione del Kosovo devono essere considerate idee private e personali di taluni esponenti politici. ”Tali concetti sono contrari ai principi della cooperazione regionale e della stabilità nei Balcani, poiché eventuali cambiamenti delle frontiere avrebbero serie conseguenze sull’intera regione. Io continuo a credere che la vita dei cittadini nel nord del Kosovo (a maggioranza di popolazione serba, ndr), e nelle altre parti del Kosovo e della Serbia, può migliorare con la cooperazione e non con le divisioni”.

Nel progetto di una eventuale divisione, la parte nord del Kosovo passerebbe alla Serbia e in tal caso non e’ escluso che una regione del sud della Serbia a maggioranza di popolazione di etnia albanese, la Valle di Presevo, chieda l’annessione al Kosovo.
Che il Kosovo vada diviso tra Serbia e Albania, è appunto l’opinione espressa da Ivica Dacic in una intervista sull’ultimo numero del settimanale “Nin”. ”Abbiamo cercato di difendere il Kosovo con la guerra, e abbiamo fallito. E’ per questo che parlo di demarcazione, prima che sia troppo tardi. Vale a dire una correzione dei confini fra i due Stati vicini, Serbia e Albania”. A suo parere, la Serbia ha fatto un errore nel non parlare con l’Albania. ”La demarcazione tra Serbia e Albania e’ l’unica opzione realistica”, ha detto il ministro dell’interno, e ha aggiunto che il Kosovo potrebbe unirsi al’Albania allo stesso modo di come la Republika Srpska (Rs) – l’entità a maggioranza serba della Bosnia-Erzegovina – potrebbe unirsi eventualmente alla Serbia.
Ufficialmente, la posizione del governo di Belgrado – che si rifiuta di riconoscere l’indipendenza di Pristina – e’ che il Kosovo resta territorio della Serbia, una sua provincia meridionale.

Da marzo e’ cominciato un dialogo fra Serbia e Kosovo per la soluzione di problemi concreti della vita quotidiana, ma Pristina non intende in alcun modo tornare a parlare e a rimettere in discussione il tema dell’indipendenza, considerato ormai risolto per sempre. Da Pristina sono giunte subito reazioni contrariate alle nuove dichiarazioni di Dacic e il premier Hashim Thaci ha detto che i rappresentanti di Belgrado devono smetterla di parlare di una possibile divisione del Kosovo altrimenti, ha osservato, le richieste di Pristina potranno andare ancora al di là dell’indipendenza. Si tratta, ha affermato, di ”idee antistoriche”. L’idea della spartizione non vede favorevoli nemmeno i vertici della Chiesa ortodossa serba, in quanto la maggior parte dei monasteri si trova nella parte meridionale del Kosovo, nella Metohija. Il vescovo Teodosije, rappresentante della Chiesa ortodossa serba in Kosovo, si e’ detto contrario ad ogni ipotesi di divisione, affermando che una tale decisione causerebbe una pericolosa escalation di violenza della quale le vittime principali sarebbero i serbi. Nelle dichiarazioni rilasciate a “Radio Gracanica”, Teodosije ha detto di ritenere che le affermazioni fatte di recente da taluni politici serbi al riguardo vanno considerate a titolo personale e non rispecchiano la posizione ufficiale del governo di Belgrado. ”Io credo fermamente che le autorità serbe, nel rispetto della Costituzione, faranno di tutto per preservare il Kosovo e che non prenderanno alcuna decisione a danno della popolazione kosovara”, ha detto il vescovo Teodosije. ”Il Kosovo – ha aggiunto – non deve essere diviso ma deve restare così com’è”. Per il rappresentante della Chiesa ortodossa una spartizione del Kosovo provocherebbe nuove violenze, ”e noi sappiamo che a soffrirne sarebbe in particolare il nostro popolo”.

La netta contrarietà anche degli Stati Uniti all’ipotesi di una divisione territoriale del Kosovo su base etnica, e’ stata sottolineata a Pristina da Philip Gordon, vicesegretario di stato nordamericano per l’Europa e l’Eurasia. ”Noi siamo contrari, e non prendiamo in considerazione tale ipotesi. Non pensiamo che sia una soluzione pratica e nell’interesse di chicchessia”, ha detto Gordon ai giornalisti al termine di colloqui con la dirigenza kosovara. ”In ogni paese vi sono minoranze, e le democrazie dovrebbero badare ai loro interessi senza ridisegnare i confini”, ha aggiunto l’esponente Usa secondo il quale una partizione del Kosovo avrebbe ”conseguenze su scala regionale. L’indipendenza e l’integrità territoriale del Kosovo non possono essere messi nuovamente in discussione” – ha affermato Gordon, soprattutto dopo che lo sono stati quelli della Serbia, aggiungiamo noi…

Nel frattempo, però, nuove possibili modifiche dell’accordo militare concluso nel 1999, con il quale fu istituita una striscia di sicurezza sulla linea di demarcazione fra Serbia e Kosovo, sono state esaminate in un colloquio che il capo del comitato militare della Nato, ammiraglio Giampaolo Di Paola, ha avuto a Belgrado col capo di stato maggiore delle Forze armate serbe, generale Miloje Miletic. In una conferenza stampa congiunta, Di Paola ha detto che tale accordo ha già subito modifiche in passato, e che ora sono in corso trattative per nuovi cambiamenti. Miletic da parte sua ha osservato come si tratti di un tema molto sensibile e importante per le relazioni fra Serbia e Nato. L’intesa sulla striscia di sicurezza intorno al Kosovo, che dopo le modifiche passate è attualmente di 5 km, è parte degli accordi di pace firmati a Kumanovo (Macedonia) il 9 giugno 1999, con i quali fu posto fine ai bombardamenti aerei della Nato contro la Serbia di Slobodan Milosevic. Con la fascia di sicurezza fu istituita anche una zona di interdizione al volo, ancora in vigore. A più riprese esponenti militari serbi hanno sollecitato la completa abolizione di tale fascia di sicurezza e di tutte le restrizioni ancora in vigore dal momento, si sottolinea, che “esercito serbo e truppe della Kfor (Forza Nato in Kosovo) non sono nemici”.

Nonostante le rassicurazioni di Belgrado, quattro comandanti di polizia nel nord del Kosovo, tutti di etnia serba, sono stati sospesi per il loro rifiuto di accettare i trasferimenti decisi dalla polizia centrale kosovara (Kps) nell’ambito di quella che viene definita una ‘rotazione’ nel servizio. Come ha detto il direttore della polizia, Resat Malici, i comandanti che rifiutano i trasferimenti saranno tutti destituiti e licenziati se non accetteranno il provvedimento. I responsabili di polizia nel nord del Kosovo, abitato in maggioranza da popolazione serba, non riconoscono l’autorità centrale a Pristina e si rifiutano di obbedire agli ordini della dirigenza di polizia (di etnia albanese). “Quelli che accetteranno le decisioni sui trasferimenti, manterranno il posto di lavoro, ma dovranno svolgere la propria attività nelle nuove sedi loro assegnate”, ha precisato Malici citato dai media a Pristina. La direzione di polizia ha stabilito di trasferire il comandante di polizia di Kosovska Mitrovica nord (la parte della città divisa controllata dai serbi) a Jarinje, quello di Zvecan a Leposavic, il comandante di Leposavic a Kosovska Mitrovica nord e quello di Zubin Potok alla centrale regionale di polizia sempre a Kosovska Mitrovica nord.

I problemi con la polizia serba non sono però gli unici; la Kfor, la Forza della Nato in Kosovo, ha spostato il luogo di una esercitazione congiunta con la missione europea Eulex a causa di un blocco stradale attuato da un gruppo di imprenditori serbi, che protestano da alcuni giorni contro l’arresto di un loro collega che si rifiuta di pagare le tasse alle autorità kosovare. Come riferiscono i media a Pristina, un accordo e’ stato raggiunto dai responsabili militari della Kfor e Ratomir Bozovic, presidente dell’Associazione imprenditori di Zubin Potok. Invece che lungo la strada fra Kosovska Mitrovica e Ribarice – bloccata dagli imprenditori – le esercitazioni di Kfor e Eulex si terranno su una strada vicina.
Jevrem Pantelic, l’imprenditore serbo kosovaro di Zubin Potok, è stato arrestato una settimana fa con l’accusa di evasione fiscale, a causa del suo rifiuto di versare le imposte alle autorità kosovare albanesi di Pristina.

Nel frattempo, però, anche gli “eletti” cominciano a tremare, a causa della lotta intestina che si svolge tra gli sponsor internazionali del Kosovo. Il 20 giugno è giunta la notizia che gli investigatori di Eulex, la missione europea in Kosovo, hanno aperto un’inchiesta a carico di Pieter Feith, capo dell’Ufficio civile internazionale (Ico) a Pristina, che avrebbe influenzato la nomina del governatore della Banca centrale kosovara, Gani Gerguti. Notizia annunciata dal quotidiano “Express”. Secondo il giornale vi sarebbero prove che Feith, fino a poche settimane fa anche rappresentante Ue a Pristina, ha avuto un ruolo determinante nella nomina del governatore della Banca centrale Gerguri. Non sono stati forniti altri particolari sulle presunte pressioni esercitate dal diplomatico olandese, uomo di Javier Solana e dei britannici (ma sgradito a diverse ambasciate europee), nella nomina del governatore. Pieter Feith, nota “Express”, ha ribadito a più riprese in passato, in particolare dopo le elezioni dello scorso dicembre, che non vi può essere posto nel governo kosovaro per persone indagate. Eulex, la missione europea in Kosovo, ha però smentito subito che Pieter Feith sia indagato per il ruolo avuto nella nomina del governatore della Banca centrale kosovara. ”Le presunte accuse sono state esaminate dai procuratori, che hanno stabilito che non vi e’ alcun motivo di avviare un’inchiesta, e il caso e’ stato così chiuso”, ha detto in un comunicato Irina Gudeljevic, portavoce di Eulex. Il portavoce dell’Ico Andy McGuffie ha detto da parte sua che Feith e’ rimasto molto sorpreso alla notizia della presunta inchiesta a suo carico, chiedendo subito spiegazioni a Eulex e alla giustizia kosovara.

Sembra di assistere alla stesso copione del passato, cioè alla rapidità con la quale Carla Del Ponte e i suoi collaboratori al Tribunale dell’Aja assolvevano i piloti della NATO incriminati per i bombardamenti sulla Serbia senza nemmeno guardare le prove a loro carico. Che in questo momento Eulex non possa permettersi anche lo scandalo Feith, si deve probabilmente alle nuove accuse elevate proprio dalla missione europea in Kosovo nell’ambito dell’inchiesta sulla vicenda del traffico di organi. Come ha annunciato a Pristina il portavoce di Eulex, Blerim Krasniqi, destinatari delle accuse sono un cittadino turco e uno israeliano, che sarebbero implicati direttamente nei traffici illeciti di organi. Nel marzo scorso Eulex aveva già messo sotto accusa altre quattro persone, tutti cittadini kosovari. In tutto sono ora nove le persone chiamate a rispondere in tale inchiesta, sette dei quali sono albanesi kosovari, mentre due il turco Yusuf Sonmez e l’israeliano Moshe Harel, sono accusati di tratta di esseri umani, criminalità organizzata e esercizio illegale della professione medica. I reati sarebbero stati commessi nel 2008 nella clinica ‘Medicus’ di Pristina, dove sarebbe stati effettuati trapianti illegali di organi ai danni di cittadini serbi e albanesi rapiti dall’UCK albanese. Yusuf Sonmez, che aveva esercitato alla clinica ‘Medicus’ e che e’ stato definito il ‘Frankenstein turco’ dai media kosovari, era stato arrestato e poi subito rilasciato in Turchia a metà gennaio.

Visto che purtroppo la pratica dell’espianto e del traffico di organi da parte di cittadini israeliani è già stata documentata in Palestina e non solo¹, sarebbe opportuno che il bravo relatore sui diritti umani del Consiglio di Europa, lo svizzero Dick Marty, fosse un po’ più esplicito sulla sparizione nel suo rapporto del ruolo avuto dalle compagnie private israeliane e dal Mossad nell’addestramento del “Gruppo di Drenica”², senza giustificarla “per un malinteso con il collaboratore (che ha mal interpretato una correzione manoscritta) che ha tradotto in inglese le note è sorta quella divergenza, poi corretta nella versione definitiva³.” Il coraggio di Marty, che fu censore anche dei metodi giudiziari della Del Ponte e dei voli della CIA in Europa è noto, tanto più che la Russia intende dare il suo appoggio all’iniziativa della Serbia per chiedere un’indagine indipendente sotto l’egida dell’Onu sul traffico di organi umani messo in atto in Kosovo alla fine degli anni novanta. Il rappresentante permanente russo alle Nazioni Unite, Vitali Ciurkin, citato dalla “Tanjug”, ritiene che Eulex, la missione europea in Kosovo, non sia in grado di condurre da sola un’inchiesta adeguata, per questo Mosca appoggerà la proposta serba per indagini sotto l’ombrello Onu. Le autorità di Belgrado hanno detto a più riprese che Eulex – che nei mesi scorsi ha annunciato l’avvio di una propria indagine sul traffico di organi – non ha poteri giurisdizionali al di fuori del territorio del Kosovo, e che per questo non può condurre un’indagine completa e esauriente, dal momento che il traffico di organi umani riguardò anche l’Albania. Ciurkin ha aggiunto che Mosca e’ per la prosecuzione della presenza internazionale in Kosovo, e ritiene che nessuna decisione potrà essere presa senza il consenso della Serbia.

Quest’ultima, però, si trova tra l’incudine e il martello.
La delegazione del Parlamento tedesco in visita in questi giorni a Belgrado è stata molto chiara sulle sue aspirazioni europee: se vuole aderire all’UE, la Serbia deve riconoscere il Kosovo e aderire alla NATO, viste “le strette relazioni esistenti” tra l’Alleanza Atlantica e l’Unione Europea, in caso contrario la Germania ne bloccherà il processo di avvicinamento all’Europa.
La vendita di Ratko Mladic al Tribunale dell’Aja, evidentemente, non è sufficiente.

 

* Stefano Vernole è redattore di “Eurasia”, è coautore di “La lotta per il Kosovo”, All’Insegna Del veltro, Parma, 2007 e autore di “La questione serba e la crisi del Kosovo”, Noctua, Molfetta, 2008.

 

Note

  1. http://www.guardian.co.uk/world/2010/dec/17/kosovo-organ-donor-ring-israel
  2. http://www.eurasia-rivista.org/kosovo-il-rapporto-marty-e-stato-censurato-da-israele/7839/
  3. Mia corrispondenza per posta elettronica con Dick Marty.