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Bollente e inondata, l'ennesima estate del mutamento climatico

di Eduardo Zarelli - 07/07/2011

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Una ennesima estate delle intemperanze e degli estremi climatici. Come da copione, tanto ripetitivo quanto inascoltato, la patologia si manifesta nella volubilità ed estremizzazione dei fenomeni opposti. Siccità o diluvi in mezzo mondo. In Italia il caldo soffocante,  aggravato, nelle aree urbane dall’ozono troposferico, che ha impoverito l’ossigenazione dell’aria che respiriamo. Devastanti alluvioni o eccezionali siccità altrove. Piogge intense, alluvioni e siccità si sono già verificati nei decenni e secoli passati, ma mai su una scala così vasta e con così grande frequenza, proprio come le previsioni avevano indicato. Questi disastri hanno infatti ridato clamore agli appelli sull’emergenza dei mutamenti climatici. Sono solo prevedibili per un futuro non meglio definito, o sono già in atto? Quel che sappiamo è che i vertici mondiali che vorrebbero affrontare la questione falliscono sistematicamente, mentre le condizioni generali del pianeta peggiorano. Anni fa il testimonial del "negazionismo" e, di fatto, degli interessi petroliferi e di gran parte della grande industria è stato il danese Bjorn Lomborg, che con il suo abilmente reclamizzato libro L’ ambientalista scettico negava la stessa esistenza del problema ecologico e la crescente scarsità delle risorse energetiche e dell’acqua. Oggi anche Lomborg sembra colto da resipiscenza e dichiara che «il riscaldamento globale esiste, è provocato dall’ uomo, e che l’ uomo deve fare qualcosa per porvi rimedio».
Il fenomeno del riscaldamento globale si può schematizzare come dovuto all’aumento della concentrazione dell’anidride carbonica nell’atmosfera; di conseguenza aumenta la frazione del calore solare che resta “intrappolata” dentro l’atmosfera, ciò che fa aumentare la temperatura media della superficie terrestre nel suo complesso. Ne derivano cambiamenti nella circolazione delle acque oceaniche e nell’intensità e localizzazione delle piogge sui continenti. Il professor Giorgio Nebbia ci aiuta a dipanare alcuni numeri che aiutano a comprendere tali fenomeni: fino a tutto l'Ottocento l’atmosfera conteneva circa 2200 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, corrispondenti ad una concentrazione di circa 280 ppm (parti in volume di anidride carbonica per milione di parti dei gas totali dell’atmosfera). Per la maggior parte della storia umana, l' uomo ha vissuto in linea con la natura consumando risorse ed emettendo sostanze nocive in quantità minori rispetto a quelle che il pianeta era in grado di rigenerare e di assorbire spontaneamente. La svolta si è avuta a partire dalla metà del Novecento con due fenomeni concomitanti: è aumentata la quantità dell’anidride carbonica immessa ogni anno nell’atmosfera in seguito alla combustione di crescenti quantità di carbone, petrolio e gas naturale e alla crescente produzione di cemento, che pure libera anidride carbonica dalla scomposizione delle pietre calcari, e, nello stesso tempo, è diminuita la superficie e la massa delle foreste e del verde, tagliati e bruciati, anche con incendi intenzionali, per recuperare spazio per pascoli e coltivazioni intensive, per ricavarne legname da costruzione e da carta, per nuovi spazi da edificare. Mentre è relativamente costante la capacità degli oceani di “togliere” anidride carbonica dall’atmosfera (circa cinque miliardi di tonnellate all’anno), è andata aumentando (da 20 a 40 miliardi di tonnellate all’anno, dal 1950 al 2010), la quantità di anidride carbonica immessa nell’atmosfera dai combustibili fossili e dalle attività “economiche” di una popolazione in aumento e da un crescente livello di consumi, ed è diminuita, da circa otto a cinque miliardi di tonnellate all’anno, la quantità dell’anidride carbonica che la biomassa vegetale è stata capace di portare via dall’atmosfera. Questo insieme di fenomeni ha fatto aumentare, in mezzo secolo, la quantità dell’anidride carbonica presente nell’atmosfera (da circa 2400 a 3000 miliardi di tonnellate) e la sua concentrazione da circa 320 a 390 ppm. Con questa tendenza in atto gli osservatori scientifici danno per scontato che tale concentrazione possa arrivare a 450 ppm nei prossimi decenni e poi aumentare ancora: un aumento di concentrazione, e di temperatura globale, insostenibile.
In piena estate, d’altra parte, il Global Footprint Network (l’organizzazione internazionale che misura l’impatto dell’esistenza sulla natura) ci ha notificato - secondo i suoi calcoli - che al 21 di agosto la Terra ha esaurito, per quest' anno, la sua capacità di fornirci spontaneamente e gratuitamente i suoi servizi (acqua, suolo coltivabile, risorse della pesca) e di assorbire l’anidride carbonica e gli altri inquinanti, responsabili dei cambiamenti climatici di cui le ultime settimane ci hanno dato tragiche testimonianze. Un bilancio dagli effetti devastanti per gli equilibri del pianeta, secondo i responsabili del GFN: “dalla capacità di filtraggio dell’anidride carbonica a quella di produrre cibo, chiederemo alla terra di consumare stock di risorse aggiuntive accumulando ulteriori gas a effetto serra in atmosfera”. La distanza tra domanda e offerta, definita dagli esperti come overshoot - ossia superamento del limite ecologico - aumenta anno dopo anno. Così, se l’anno scorso l’“Earth Overshoot Day”, cadde il 25 settembre, quest’anno è arrivato il 21 agosto. Oggi la natura impiega un anno e sei mesi per rigenerare le risorse che l' umanità consuma in soli 12 mesi. E stiamo producendo molta più anidride carbonica di quanto i sistemi naturali del Pianeta (foreste, oceani, savane e praterie) possano assorbire, contribuendo così all’alterazione del clima. “La situazione non è meno urgente sul fronte ecologico” afferma Mathis Wackernagel, presidente del Global Footprint Network: “cambiamenti climatici, perdita di biodiversità e carenza di cibo e acqua sono tutti chiari segnali di come non potremo più continuare a consumare ‘a credito’”. In pratica l’uomo sta letteralmente ‘consumando’ la Terra. Le decine di ‘Stati falliti’ dal punto di vista finanziario non sono nulla in confronto a quelli che falliranno per la mancanza di sostenibilità del loro territorio. Ciò che sorprende maggiormente Wackernagel è il fatto che: “i Paesi non hanno ancora preso consapevolezza di quanto tutto ciò li coinvolga. Se si guarda al trend di consumo di risorse del proprio Paese, ci si rende conto che obiettivi più stringenti per la riduzione del consumo rispondono agli interessi del Paese stesso meglio di quanto accordi internazionali come quello di Cancun o altri saranno mai in grado di fare”. Secondo le previsioni legate all' impronta ecologica dell' umanità, se ogni cittadino della Terra consumasse (e sprecasse) come quelli degli Stati Uniti, per soddisfare le sue esigenze occorrerebbe un secondo pianeta. Se ci si limitasse a quanto consuma (ed emette in anidride carbonica) ogni cittadino italiano, sarebbe sufficiente un pianeta e mezzo. Non abbiamo scelta: o emigriamo su Marte, come suggerisce Stephen Hawking, o usiamo le risorse in modo responsabile. “Il cemento non si mangia e l’anidride carbonica non si respira” come ricorda, tra il serio e il faceto, Beppe Grillo.
Per riuscire a salvare il nostro Pianeta, questa distruzione deve finire e finire molto velocemente: l'imperativo del principio di responsabilità ci obbliga eticamente a proteggere coscienziosamente il mondo naturale, di cui siamo parte integrante. Una severa conservazione, non lo sviluppo, deve essere all’ordine del giorno. Il vero problema che si dovrebbe affrontare è: quanto tempo ci vorrà per assicurare questa transizione necessaria? Le politiche con una scala di attuazione per decenni si fondano su un tempo troppo lungo poiché le attività distruttive trasformano il mondo naturale (risorse) in una sorgente di emissioni di anidride carbonica piuttosto che un fisiologico assorbitore, allo stesso modo dell’aumento delle temperature e noi potremmo trovarci già oltre il punto di non ritorno. Per questo motivo, dobbiamo prendere provvedimenti adeguati ora. Il tempo è scaduto.