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Non si uccidono così anche i cavalli?

di Archimede Callaioli - 08/07/2011

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Ci sono regole, nel giornalismo, che prescrivono come debba essere data una notizia perché sia effettivamente tale. Si riassumono in cinque domande: «Cosa? Chi? Dove? Quando? Come/Perché?». Se dovessimo applicare queste regole alla notizia dell'uccisione di Osama bin Laden, ne trarremmo la ineluttabile conclusione che quella notizia non è una notizia. Cosa è successo? E stato ucciso bin Laden, ci è stato detto, ma non ci sono state fatte vedere immagini dell'uccisione, né ci è stato mostrato il cadavere, sulle modalità della cui sepoltura in mare, giustificata sia dal rifiuto di altri Stati di accogliere la salma del morto, sia dall'esigenza di non creare su quella tomba un santuario di aspiranti o effettivi terroristi, nulla è dato sapere. Chi lo ha ucciso? I Navy Seals, si è detto. Ma non è possibile sapere nulla di più di questi fantomatici vendicatori, né vederne l'azione. Dove è stato ucciso? Ad Abbottabad, ci si è detto. Ma non ci hanno mostrato niente (il video di Osama con il telecomando in mano che guarda se stesso in televisione, se è veramente Osama, potrebbe essere stato girato ovunque) che indichi anche solo che in quella palazzina Osama ci sia stato. Quando è stato ucciso (meglio: quando è morto)? Nel blitz di cui sopra, ci hanno detto, senza mostrarci nulla che confermi l'affermazione; se Osama è morto, e crediamo che sia l'unica cosa praticamente certa di tutta la vicenda, potrebbe essere morto giorni, mesi o anni prima dell'incursione. Il come è, per conseguenza, altrettanto incerto, e sul perché non è neanche il caso di soffermarsi.
Quindi, la notizia che viene dal Pakistan non è una notizia, ma una velina passata dall'amministrazione americana agli organi di informazione di tutto il mondo. Nei giorni seguenti, la linea di non dare ulteriori informazioni si è consolidata, fino alla categorica affermazione di Obama che nulla di più sarebbe mai stato rivelato, e alla pronta accettazione di questa linea da parte di tutta l'informazione occidentale. Non possiamo fare altro, quindi, che prendere atto di questo dato di fatto, e rivolgere l'attenzione alle motivazioni addotte per giustificarlo.
La prima è stata che le immagini del cadavere erano troppo raccapriccianti per essere mostrate, e avrebbero suscitato sdegno e rabbia nelle popolazioni islamiche. Però, non è la prima volta che un arcinemico degli Stati Uniti viene ucciso in un'operazione "ufficiosa". Ci ricordiamo, per esempio, le immagini del corpo di Ernesto "Che" Guevara, giustiziato nella selva boliviana, ricomposto e ripulito con la formalina prima degli scatti sul tavolo di un obitorio con il contorno degli orgogliosi carnefici, e prima di essere gettato in una fossa comune proprio per evitare quel culto della tomba di cui si faceva prima cenno. E il "Che", come uomo e come mito, stava certamente qualche gradino sopra, quanto a pericolosità per gli Stati Uniti, di qualunque Osama
venuto dopo. Quanto al problema del sacrario, si potrebbe ricordare che nella Piazza Rossa di Mosca si conserva ancora la salma imbalsamata di Lenin, ma le manifestazioni di nostalgici dell'Urss alle quali abbiamo assistito in questi anni innalzavano l'immagine di un uomo a suo tempo "dannato" come Stalin, mentre in Georgia è tutt'ora viva una certa venerazione della memoria di Beria. Di Lenin non sembra importare granché a nessuno, da questo punto di vista. E, nel nostro piccolo, i convegni di Predappio non hanno mai rappresentato un serio pericolo per la stabilità della Repubblica Italiana.
Si è detto che fornire informazioni precise avrebbe nuociuto alla sicurezza statunitense, svelando come i corpi speciali di quel Paese operino in questi casi. Ma nessuno pretendeva un video integrale dell'accaduto (quello che sarebbe stato visto nella Situation Room della Casa Bianca, Hillary Clinton con l'espressione inorridita e Obama teso e smorto in un angolo) corredati da identità e codice fiscale dei protagonisti. Ci si sarebbe accontentati di qualche cosa sicuramente riferibile a quei fatti, che tra l'altro sono per loro natura eccezionali e non rappresentano certo un modus operandi quotidiano (non è che tutti i giorni i Navy Seals vadano ad ammazzare il ricercato numero uno del terrorismo mondiale, ed anche quando dovessero ripetere un'operazione simile cambierebbero inevitabilmente ambiente, situazione e condizioni).
Per altro verso, si è detto, l'esperienza passata, e in particolare l'esposizione dei corpi di un altro nemico principale, Saddam Hussein, e dei suoi figli, giustiziati o uccisi nella guerra irakena, sconsiglierebbe di ripetere l'esperienza, per evitare di trasformare quel corpo esposto in un oggetto di culto, o in un motivo di esaltazione, per i suoi seguaci. Siamo in un ambito affine a quello accennato della venerazione della tomba, solo che qui si afferma che basterebbe la semplice ostensione del cadavere per creare lo stesso effetto. Ma non risulta che in Iraq si sia creato un qualche fenomeno di esaltazione saddamista, e il terrorismo che ancora devasta quel Paese ha radici e matrici del tutto diverse. Semmai, dalla guerra irakena è giunto l'insegnamento che mostrare video di presunti blitz nei quali non si vede un nemico, non si spara un colpo, e non c'è l'ombra degli ostaggi che si sarebbe andati a liberare, non è un'operazione molto convincente. D'altra parte, risulta molto certamente, dalla storia dell'ultimo secolo, che, a proposito di altri Nemici assoluti, e il pensiero va qui ad Adolf Hitler, si siano create leggende incontrollabili di sopravvivenza nelle più diverse regioni del mondo, proprio in ragione della mancata (in quel caso perché impossibile) esposizione del loro corpo ormai cadavere.
Infine, si afferma che, se Osama è effettivamente morto (come nessuno sembra dubitare, e per quel che vale, come abbiamo già detto, noi stessi non dubitiamo minimamente), cosa importa il come e il quando? E invece, il come e il quando importano tantissimo, perché potrebbero, soprattutto se non fossero quel come e quel quando che ci sono stati raccontati, essere un modo eccellente per capire chi effettivamente fosse Osama bin Laden, cosa combattesse, di chi fosse complice.
Il tutto, insomma, non regge e lascia adito ai più arditi esercizi di controinformazione, spigolando tra le notizie che sono arrivate. Innanzitutto, l'unico testimone diretto dell'accaduto, un ragazzo che si trovava nelle vicinanze per sue personali occorrenze e ha postato il suo racconto su Twitter, dice di avere udito un rumore di elicotteri e un grande boato, ma non parla degli spari di un, per quanto breve, combattimento. Forse, il boato era quello dell'elicottero che ci è stato detto essere caduto, quello stesso elicottero di cui abbiamo visto un'immagine che, a noi profani del tutto digiuni di cose militari, sembrava quella di un velivolo costruito col Lego. E in tema di boati, vanno ricordati pure quelli (due) che sono stati uditi dalla popolazione di Abbottabad alcuni giorni dopo il blitz (si stavano cancellando le tracce di qualcosa?). C'è poi una cosa veramente strana: all'esito di un'incursione di cui i pakistani erano stati tenuti completamente all'oscuro, tanto da suscitare indignate proteste ufficiali e reazioni popolari per la palese violazione di sovranità, la moglie, le figlie e gli altri sodali di Osama che vivevano nella palazzina e che sono sopravvissuti risultano trattenuti... nelle prigioni pakistane! Anche sui preparativi del blitz, qualcosa si può dire. Ad attirare l'attenzione dell'intelligence americana sarebbe stata infatti la circostanza che quella palazzina non aveva né utenza telefonica né connessione internet, indizio dell'intenzione di mantenere un assoluto segreto sui suoi occupanti. Ora, senza ironia, sono davvero così rare, ad Abbottabad, le abitazioni prive di connessione internet e utenza telefonica? Sarebbe, Abbottabad, una specie di Manhattan dell'Asia centrale? Si potrebbe andare oltre, navigando sulla cresta dei fatti che ci sono stati propalati. Si potrebbe affermare, come da sempre sostiene un agente italiano della Cia, Giuliano Ferrara, che Obama è morto da tempo (l'agente in questione, quando uscivano messaggi audio o video di bin Laden, lo chiamava «il morto che parla»), dal che deriverebbe che o solo adesso se ne è avuta la certezza incontrovertibile, o si è avuto un particolare interesse a renderlo noto. E si potrebbe dire, sempre sulla base di quanto raccontatoci, che lo stesso Osama era ormai un innocuo pensionato del terrore, che viveva con moglie e figlie, disarmato, in una specie di fattoria in cui allevava capre e galline, passando il tempo a rivedersi alla tv come fanno i pugili suonati che guardano in continuazione le immagini degli incontri del bel tempo andato. E, d'altronde, come si può resistere alla suggestione che Osama sia stato consegnato agli americani dalla stessa al Qaeda, impegnata a ristrutturare la propria catena di comando (un po come si dice abbia fatto a suo tempo Cosa Nostra con Totò Riina)? Ed è evidente come molte di queste ipotesi rimandino all'idea che in realtà Osama bin Laden fosse un agente americano (o comunque con l'America avesse un legame, tanto inconfessabile quanto stretto) di cui adesso è divenuto più conveniente annunciare la morte che prolungare la latitanza e la connessa leggenda, sia perché siamo entrati nella campagna elettorale delle presidenziali, sia perché così diventa un po' più facile spostare gli inevitabili tagli di bilancio su Medicare o Medicaid piuttosto che sul budget della Difesa.
Ci fermiamo qui, sapendo bene di non aver esposto che una minima parte delle ipotesi possibili. E complottisnno, tutto questo? Decisamente no. Complottismo sarebbe sposare una di queste tesi, o una diversa dello stesso tipo, o una che le ricomprendesse tutte, e propalarla come plausibilmente vera. Non è questo che vogliamo fare, e non è questo che faremo. Vogliamo fermarci al dato di fatto, che ci pare, questo sì, plausibilmente vero, che non ci è stato detto come sono realmente andate le cose. Non possiamo, e quindi non vogliamo, dire cosa è successo ad Abbottabad, ma possiamo e vogliamo dire che quella che ci è stata offerta è una versione che non sta in piedi, e che essa rientra nel novero delle menzogne, che possono essere di vario tipo: bugie, mezze verità, omissioni, o combinazioni variamente assortite di tutto ciò, ma sempre menzogne restano. Chi quella versione ha fornito, è lo stesso Stato, la stessa amministrazione, a parte le momentanee sfumature di colore, che disse al mondo che Saddam Hussein possedeva armi di distruzione di massa. E la morale ci sembra essere che quel lupo perde sempre solo il pelo (le sfumature, appunto). Però, in chiusura, non possiamo non riflettere su un particolare. Il via libera all'operazione di Abbottabad è stato dato da Obama con l'ordine in codice «prendere Geronimo», il che ha anche suscitato vibranti proteste tra alcuni epigoni (absit iniuria verbis) dei pellerossa. Ora, magari non vuole dir nulla, ma se veramente Osama potesse essere considerato un nuovo Geronimo, sarebbe interessante vedere chi Geronimo sia stato. Nato a No-Doyhon Canyon, oggi Clifton, in Arizona, nel 1829, Geronimo fu il capo della guerriglia degli Apache Chiricaua negli anni dal 1882 al 1884, arrivando a controllare il territorio oggi corrispondente al Nuovo Messico e all'Arizona. Catturato nel 1884, fuggì nel 1885 e fu ricatturato nel 1886. Riuscì nuovamente a fuggire e, nello stesso 1886, intavolò trattative (per il ricongiungimento del suo popolo in un unico territorio, sotto quella particolare forma di prigionia che era ed è il regime delle riserve indiane) con il generale Crook, per poi arrendersi a N. A. Miles. Visse da allora a Fort Stili, in Oklahoma, senza manifestare altri segni di ribellione, per ventidue anni, fino alla morte nel 1908. Ecco, chissà perché non hanno scelto Cavallo Pazzo...

(da Diorama Letterario n 302)