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Apaz: "Il meridionale più alto d'Italia"

di Matteo Tassinari - 12/07/2011

Fonte: mattax-mattax







Ogni volta è un ricordo. Ogni volta una domanda: ma se il Paz, fosse ancora vivo, cosa ci avrebbe regalato ancora? Lo stesso mi chiedo di Fabrizio De Andrè e anche per Guccini, ma lui, grazie a Dio, non è ancora morto e sono in attesa del suo prossimo libro giallo scritto a 4 mani con Macchiavelli e disco.
Andrea, dicevamo... Sono passati 23 anni da quella notte stellata di mezza estate (Giugno) a Montepulciano (Toscana) quando un “pera” qualunque avvelenò il sangue colorato del Paz, il più grande dei fumettisti in assoluto e tra i narratori underground di questo secolo. E’ una tentazione acuta quella di pensare a quanta energia e personaggi e storie ci avrebbe ancora regalato, il “meridionale più alto d’Italia”, ma è una tentazione che non serve a nulla. La meteora Apaz ha già tracciato il suo stile, con una precisione cristallina e indecifrabile, dolce e violenta, inusuale e spiazzante, fino raggiungere punti siderali addirittura alla fantasia. Andrea non aveva verità da vendere, caso mai possedeva un mondo da regalare. Un mondo di personaggi prossimi alla realtà e sofferenti di un’esistenza che non fa sconti, il tutto raccontato con ironia e tenerezza, mai piangendo o rivendicando qualcosa. “Le lacrime, anche se ne siamo imbevuti, non fanno per noi. Appartengono a chi se le può permettere” scrisse Andrea in una mega-lavagna mentre spiegava l’arte del tratto a duemila studenti romani. Ed è sui suoi personaggi più noti come Pentotal (la mancanza di energie e l’abbandono di chi non ce la fa) o Zanardi (pura trasgressione e ribellione) o ancora fino in fondo Pompeo, uno scrigno di diademi e arabeschi neri, che gravita l’istinto ancor’oggi insondato e non ancora eguagliato, di colui che si autodefiniva una “moltitudine”. Chi è riuscito ad entrare nel mondo di Pazienza non si è mai limitato ad amare solo il tratteggio o i testi, la sfumatura o la battuta secca, ma spesso è sconfinato proprio nell’amare l’autore stesso: “Io non penso di disegnare per tutti, ma per le persone che mi assomigliano” ovvero per coloro che possiedono una chiave di lettura aperta, drammatica e spietata. Come Penthotal, anche Andrea non era il tipo da mescolarsi nelle piazze contro la polizia durante i balordi anni ’70 o forzare transenne o spaccare vetrine. Come non facevano per lui le lunghe ed estenuanti assemblee di quegli anni. Arrivava tardi agli appuntamenti e come un bambino si stufava subito. Era coinvolto da altri problemi, quelli veri come la solitudine, l’insicurezza, la donna che non ti ama, l’amico che ti frega e non te l’aspettavi, le medicine sbagliate, la palla della fila alla mensa, i grammi di “roba” che aumentano il loro peso nella sua vita, le transaminasi che s’impennano e il fegato s’ingrossa, la nostalgia della mamma e la voglia di vivere che ogni tanto sembra volerti abbandonare. Andrea pensava alle cose essenziali dell’esistenza: “Eravamo ammalati 365 giorni all’anno e non ci allontanavamo dall’isola calda del nostro letto” fa dire ad un Penthotal serrato dietro le tapparelle abbassate di via Emilia Ponente a Bologna. In questo modo Paz mostrava quanto stava accadendo sul finire degli anni ’70 con un acume che lascia a bocca aperta. La tecnica sopraffina, l’affabulazione, la sintassi carica di novità e brio, il suo modo di spostare sempre più in la il paletto della fantasia, erano la sua vita vissuta a suo rischio e pericolo, come tanti altri giovani di quegli anni ma privi del quid di Andrea. Non era così che doveva andare. Alla fine del tragitto salta fuori Pompeo, figura emblematica di tutti quelli che non ce la fanno. Come Andrea, spesso in fuorigioco, compendiato sempre dalle parole dette sottovoce: “Vivo sulla lama, mi commuovo nei bassifondi, parlo coi ricercati dallo Stato, brigo, mi procuro e dilapido milioni, poi rischio, mi struggo, mi umilio, mi arrendo, poi mi faccio e tutto torna bello come prima”. Pompeo è la storia della solitudine umana vissuta in chiave minimalista e quotidiana. Pompeo è una voce al telefono che dice: “Mamma… io ti voglio bene, tanto, ricordatelo… Capito ma’?!”. Non ci sono sentimenti, ma solo tragedia incombente. Pompeo si reca all’appuntamento con la morte imbottito di antidolorifico, forse Toradol, conoscendo di persona i gusti di allora. Con le catene al collo si appoggia sul crinale di un burrone e poi si butta: “Come fosse stato all’improvviso spintonato”. A presto Paz! Matt.