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Dalla parte dello squalo

di Francesco Lamendola - 26/08/2011





Anche questa torrida estate del 2011 ha registrato alcuni attacchi mortali ad opera degli squali nei confronti di esseri umani.
Succede ogni anno: piccoli numeri, sia ben chiaro; numeri addirittura risibili, paragonati a quelli degli squali che vengono massacrati dagli uomini, con ogni genere di arma, dalle reti dei pescatori alle fiocine, dai fucili automatici ai candelotti di dinamite.
Ma d’estate, si sa, tutto fa notizia; e poco importa se, durante l’estate dell’emisfero Sud, che corrisponde al nostro inverno, gli stessi fatti di cronaca si registrino sulle spiagge australiane, più o meno con la stessa frequenza e regolarità: le stesse cose, d’inverno, non fanno notizia, quindi vengono passate dai media sotto silenzio.
Ma c’è una ragione ulteriore per cui, nelle ultime estati, i nostri giornali e le nostre televisioni si siano gettati con particolare accanimento sulle notizie di esseri umani attaccati dagli squali: il fatto che, da qualche tempo, le vittime sono dei turisti europei e i luoghi in cui avvengono sono i cosiddetti paradisi tropicali, con i grandi alberghi, la cucina internazionale, le piscine di lusso e i comodi viaggi aerei da Londra, Parigi, Milano e Francoforte.
Come si permettono, quelle bestiacce, di insidiare le meritate vacanze dei nostri turisti, dei nostri connazionali paganti, i quali, dopo un anno di duro lavoro, vanno a godersi qualche settimana di ferie ai Caraibi, alle Maldive o, magari, in Polinesia?
Non lo sanno che la loro sgradita presenza non è compresa nel pacchetto all included, che essi sono dei clandestini indesiderati, dei veri e propri ospiti abusivi nelle cittadelle scintillanti del nostro spensierato benessere vacanziero?
E, soprattutto: non lo sanno che la vita di un Europeo benestante vale un milione, un miliardo di volte più di quella di qualsiasi animale; tanto è vero che migliaia e milioni sono gli animali selvatici che cadono, ogni anno, sotto le doppiette o dentro le tagliole delle creature umane, senza che queste ultime provino il benché minimo rimorso od imbarazzo, per non parlare delle legioni di animali domestici destinati al macello, per la gioia delle nostre mense?
Certo, se si trattasse della vita di qualche miserabile indigeno, di qualche insignificante Asiatico o Africano, allora il discorso sarebbe diverso: a chi importa di loro? E, poi, che cos’hanno da perdere, se pure finiscono tra le fauci di uno squalo, se non un’esistenza di stenti e d’ignoranza, che non potrebbe destare invidia nemmeno in un cane randagio?
E infatti, ogni anno, decine di contadini indiani cadono sotto le zanne delle tigri nelle Sundarbans, presso il delta del fiume Gange, senza scalpore e senza clamore; i nostri mass media non spendono una parola in merito, e le stesse autorità indiane si guardano bene dall’enfatizzare la notizia, anzi, dal prendere alcun provvedimento contro la nobile regina della foresta.
Mentre da noi, invece: apriti cielo! Un turista inglese è stato assalito e ucciso da uno squalo, nelle acque delle Seychelles, appena dieci giorni dopo che la stessa sorte era capitata ad un turista francese? Non sia mai…!
L’unica risposta possibile non può essere che: vendetta, tremenda vendetta! Non solo quel singolo squalo, ma tutta la malvagia razza degli squali deve essere punita per il crimine nefando: gli oceani del globo terracqueo, arrossati di sangue, devono restituire le carcasse di dieci, cento, mille di questi mostri affamati di carne umana, di queste belve antropofaghe che Dio deve aver creato per errore, in un momento di distrazione, visto che non servono a nulla, se non a infastidire le nostre meritatissime ferie!
E con tutto quello che paghiamo, poi, in quei benedetti alberghi internazionali; con quei viaggi aerei attorno al mondo, che si portano via lo stipendio di un mese e mezzo! Incredibile; semplicemente incredibile…
Che non lo squalo, ma l’uomo sia l’intruso, nelle acque delle Maldive, delle Seychelles e di Tahiti; che non lo squalo, ma l’uomo debba essere ritenuto responsabile di quanto accaduto (a cominciare dalle agenzie di viaggio e dalle direzioni degli alberghi, che si guardano bene dal segnalare il pericolo); che non lo squalo, ma l’uomo costituisca una gravissima minaccia per l’ecosistema planetario, per tutte le altre specie viventi e perfino per se stesso… tutto questo, evidentemente, viene bellamente scordato, allorché si tratta di reclamare vendetta contro gli squali assassini.
Ma quando impareremo a liberarci dalla nostra presunzione antropocentrica ed eurocentrica; quando capiremo di essere, noi pure, degli ospiti sul pianeta Terra e non i padroni assoluti, con diritto di vita e di morte su tutte le altre creature viventi?
Noi diamo per scontate molte cose, forse troppe, che scontate non sono; prima fra tutte, che solo gli umani abbiano diritto alla sopravvivenza (e, come accennato, con molte sfumature e molti distinguo anche all’interno della nostra stessa specie).
Di qui la caccia, la pesca e l’uccellagione indiscriminate; di qui l’allevamento brutale di centinaia di milioni di bovini, di suini, di animali da cortile, per la delizia dei nostri macellai, dei nostri cuochi e dei nostri cosiddetti buongustai; di qui la strage degli animali da pelliccia, cuccioli compresi, per la vanità delle nostre signore; e di qui la cattività, la tortura sistematica e infine la morte per milioni e milioni di cavie da laboratorio, tranquillamente immolate sull’altare della Scienza e in nome della lotta contro le malattie… degli esseri umani!
Ora, a parte il fatto che la lotta contro le malattie e la ricerca di nuovi medicinali è la classica foglia di fico con cui gli interessi convergenti delle industrie farmaceutiche e dell’establishment tecno-scientifico riescono a contrabbandare i loro poco nobili interessi, resta comunque valida la domanda perché mai si dovrebbe dare per scontato che la salvaguardia della vita umana giustifichi di per se stessa, senza bisogno di alcun ulteriore approfondimento, il maltrattamento e l’uccisione di un grandissimo numero di incolpevoli animali.
Che noi lo crediamo oppure no, il mondo non è stato fatto solamente per noi: esso ospita una varietà stupefacente di specie viventi e noi stessi, anche se tendiamo continuamente a dimenticarcelo, non siamo affatto altra cosa dal mondo naturale, almeno per quel che riguarda la nostra dimensione corporea: pertanto qualsiasi guerra contro la natura si traduce, automaticamente, in una stupidissima e autodistruttiva guerra contro noi stessi.
E tuttavia, obietterà certamente qualcuno, e non solo di formazione cattolica: l’uomo soltanto possiede un’anima immortale.
Questo, però, chi lo dice? L’uomo, ancora e sempre.
Quale certezza abbiamo noi che anche gli animali, che anche le stesse piante, non possiedano un’anima?
Quale certezza abbiamo che ne siano sprovvisti i fiumi e le montagne, i boschi e le sorgenti, il Sole, la Luna e le stelle; che vi sia una qualunque cosa, nell’universo, totalmente priva di vita e totalmente priva di anima?
E tuttavia, aggiungerà qualche altro, non solo di estrazione illuminista: l’uomo soltanto possiede il bene impareggiabile della ragione.
E con questo?
A parte il fatto che poco ancora sappiamo dell’intelligenza del cane, del delfino, del cavallo, della scimmia e meno ancora sappiamo dell’intelligenza delle piante; anche ammesso che l’uomo soltanto possieda la ragione concettuale, capace di pensare per via di operazioni mentali astratte (ma è poi vero che essa pensa in tal modo? anche il pensiero più astratto non è, in fondo, rielaborazione di pensieri concreti, moventi dall’esperienza, proprio come lo è il pensiero degli animali?), perché mai da ciò dovrebbe derivare che l’uomo è il solo ed esclusivo soggetto di diritti a questo mondo, mentre tutto il resto del creato non è che oggetto della sua volontà?
I nostri libri di filosofia tacciono completamente su questo punto: danno per scontato che ciò che è bene per l’uomo, sia bene in assoluto e che ciò che per lui è male, lo sia altrettanto in assoluto; egli solo ha diritti, nessun dovere e nessuna responsabilità verso il resto del creato. E i nostri studenti, i nostri giovani, crescono senza mai porsi simili interrogativi.
Eppure, che altro è la filosofia, se non il tentativo di guardare le cose in generale e non in particolare; in termini assoluti e non solo in termini relativi?
Il vero filosofo è colui che sa cogliere la totalità delle cose, andando oltre gli aspetti parziali; per questo la filosofia era ritenuta, fin dall’antichità, la regina delle scienze: perché essa sola aveva l’ardire di innalzarsi al di sopra della mischia, per vedere e valutare le cose da numerosi punti di vista e non da uno solo - il più ovvio, il più scontato: quello del vincitore di turno.
La filosofia non può ridursi a suonare il piffero per il vincitore di turno: essa deve innalzarsi al di sopra dei termini contingenti e puntare verso la sintesi; o si sforza di essere questo, oppure non è che servile adulazione dell’esistente, quale che esso sia.
E l’etica, che altro è se non il tentativo di dare uno sguardo d’insieme al grande problema del Bene e del Male; dove, se “bene” e “male” vengono indicati con la lettera maiuscola, va da sé che non possono coincidere con questa o quella forma di bene o di male, ad esempio con ciò che è giudicato bene o male per gli esseri umani, ma necessariamente devono corrispondere ad un supremo criterio di giustizia, per quanto arduo sia formularne i parametri?
E adesso, torniamo agli squali.
Torniamo non agli squali in generale, ma a quello squalo delle Seychelles che ha gettato nell’incubo alcune migliaia di turisti europei; infatti, quale incubo peggiore può esservi che quello di immaginarsi nelle fauci spalancate di uno squalo?
Oppure torniamo allo squalo del Mar Rosso che, sulla spiaggia di Sharm el Sheik, ha attaccato e ucciso una turista tedesca, proprio davanti al suo albergo.
Certo, sono morti tragiche, per le quali non si può che provare un sincero moto di pietà. Il caso del turista inglese, poi, è ancora più drammatico: egli era in viaggio di nozze; è morto sotto gli occhi della sposa novella.
D’altra parte, se si vuole essere razionali, dovremmo chiederci: quante decine di turisti non muoiono ogni anno, in mare, per annegamento, o perché investiti da motoscafi e straziati dalle eliche del motore?
E, soprattutto: quante centinaia, quante migliaia di vittime non fanno, sulle strade, camion e automobili, in tutti e dodici i mesi dell’anno, di giorno e di notte, senza guardare in faccia a nessuno: giovani e vecchi, lavoratori e vacanzieri, prudenti e imprudenti?
Eppure, in quei casi, si dice: che volete farci, è il progresso.
Sì, qualche giornalista parla di “strade assassine” e di “Tir assassini”, ma raramente, rispetto alla frequenza dei casi, e solo per metafora; non si dice mai: “conducenti assassini”, non si parla apertamente di omicidi sulle strade.
Se invece uno squalo, un orso o una tigre, nel loro habitat, attaccano e uccidono un essere umano, evento statisticamente rarissimo, allora subito si parla di belve assassine; e si invoca vendetta.
Si parla perfino di “montagna assassina” quando un turista muore durante un’arrampicata: anche se, nove volte su dieci, ciò avviene solo per la sua imprudenza e per la sua imperizia.
Per noi umani, presuntuosi e arroganti, anche i vulcani sono “assassini”; anche il mare in burrasca è “assassino” (e non già incosciente chi lo sfida); anche gli asteroidi vaganti nello spazio siderale sono dei potenziali assassini: perché diamo per scontato, appunto, che noi soli abbiamo il diritto di sopravvivere, a dispetto di tutto e di tutti.
Tutti gli altri possono anche tranquillamente morire; anzi, se ci danno fastidio o se lo giudichiamo utile per noi, siamo noi stessi a togliere di mezzo qualsiasi altra forma di vita: noi soli dobbiamo vivere, vivere, vivere.
La filosofia del progresso ci ha garantito che vivremo almeno fino a ottant’anni, e - se ci va bene - anche fino a novanta, o forse a cento: dunque, quando la morte arriva prima, magari sotto forma di una malattia incurabile, anch’essa è, per noi, una volgare assassina; e ci sentiamo defraudati di un nostro diritto acquisto.
Se potessimo, andremmo difilato all’ufficio reclami del Creato e ci presenteremmo nella stanza di Domineddio per elevare una vibrata protesta: dopotutto, almeno fino a ottant’anni, la nostra vita non era forse in garanzia?
Già; peccato che quella garanzia ce l’eravamo rilasciata da noi stessi, facendo tutto da soli; il resto dell’universo non ne sapeva nulla.
Non ne sapevano nulla le montagne, i fiumi, i mari, i leoni e le pantere, gli orsi e gli squali; perfino gli tsunami non erano stati informati dei nostri “diritti”.
Neppure ne sapevano nulla gli asteroidi, i quali - di tanto in tanto -, hanno il riprovevole vizio di entrare in collisione con i pianeti, alla cui orbita si avvicinano troppo; e il nostro pianeta, la Terra, si dà il caso che sia un pianeta simile a tanti altri, in mezzo a tanti, tantissimi altri…