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Tarantini? Mandiamoli a lavorare

di Massimo Fini - 22/09/2011

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Io ammiro la professionalità e la pazienza dei Pubblici ministeri, quelli che il presidente del Consiglio definisce «un cancro della democrazia». I Pm di Napoli chiedono conto a Nicla Tarantini, la moglie di Giampi, dei 20mila euro al mese in contanti che Berlusconi versava ai due coniugi. Lei piange: «Adesso senza quei soldi come faremo a campare? Non riusciremo ad andare avanti». Certo con due camerieri in villa, un cuoco e un autista deve essere dura. Alla glaucopide Nicla non passa nemmeno per la testa che si possa «campare» lavorando. Al Pm che le chiede come mai, avendo ricevuto un surplus di altri 20mila euro per una vacanza a Cortina, sia andata ugualmente a bussare a quattrini da Berlusconi chiedendogliene altri 5mila, risponde: «Siccome era la prima vacanza che facevamo dopo tre anni ed eravamo in quattro persone volevo far fare una bella vacanza alle mie bambine». L’istinto sarebbe quello di dare quattro ceffoni all’impunita o di ricordarle che 20mila euro al netto sono lo stipendio annuale, quando va bene, di un impiegato o che i suoi coetanei se la sfangano nei call-center con 1000 euro al mese oppure scoppiarle a ridere in faccia. Invece il Pubblico ministero deve rimanere impassibile.

Ammiro meno la pazienza dei miei connazionali, degli uomini e delle donne che sbarcano il lunario onestamente. Perché la tipologia di Nicla e Giampi Tarantini, gente che «campa» nel lusso senza aver mai battuto un chiodo, è vastissima. Vado a volte a cenare in un ristorante che è proprio accanto a casa mia, frequentato dai "demimonde" dello spettacolo, da prostitute di lusso, da una fauna maschile indecifrabile, uomini vestiti come usava negli anni Cinquanta con regolamentare fazzolettino bianco che spunta dal taschino sinitro della giacca o, se vogliono essere "easy", con la camicia aperta a mostrare un vistoso medaglione d’oro sul petto villoso. Dai tavoli senti discorsi di questo tipo: «Domani vado a New York, poi faccio un salto a Boston, e prima di rientrare a Roma o a Milano, passo una settimana in Thailandia». Se ti capita di parlare con uno di questi e gli chiedi che lavoro fa le risposte sono vaghissime. Non è un grande avvocato, non è un primario, non è un architetto di grido, si muove, vede gente. Insomma che mestiere faccia non si sa, anche se intuisci che non deve essere molto diverso da quello degli innumerevoli Lavitola che popolano questo Paese. Ma se qualcuno dei loro affarucci non va per il verso giusto cadono nel più cupo «bisogno». Come Nicla Tarantini.

Anche il concetto di «bisogno» del nostro presidente del Consiglio è piuttosto stravagante se, per giustificare la barca di soldi che dava ai Tarantini (ai 20mila euro al mese vanno aggiunti 500mila euro, una tantum, e altre regalie) ha detto: «Ho aiutato una famiglia con due figli che versava in gravissime difficoltà economiche». Certo, poveretto, vivendo fra villa S. Martino, Villa Certosa, villa a Portofino, Palazzo Grazioli e frequentando i Lavitola e i Bisignani, non può capire che cosa significa realmente «bisogno».

Però due cose il Cavaliere le ha capite benissimo. Che all’accusa di estorsione ai Tarantini si può accompagnare, per lui, quella di corruzione per aver cercato di tacitare due testimoni scomodi. E che se si presenta davanti al Tribunale di Napoli come testimone non può avvalersi della facoltà di non rispondere. Deve dire la verità. Se è testimone spergiuro o reticente può anche essere arrestato, perché in flagranza di reato non valgono le consuete guarentigie di cui godono i parlamentari.