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Tutto dipende da come si rimargina la prima ferita d’amore

di Francesco Lamendola - 11/10/2011


Hemingway Adventure - Agens von Kurowsky


Nel 1996 il regista inglese David Attenborough ha girato il film «In Love and War» (titolo della versione italiana: «Amore per sempre»), che rievoca un episodio giovanile della vita di Ernest Hemingway: il suo amore per una crocerossina americana di origine tedesca, Agnes von Kurowsky, conosciuta all’Ospedale militare di Milano quando egli vi fu ricoverato per le numerose ferite riportate sul fronte italiano, nell’estate del 1918.
Il personaggio un po’ enigmatico della ragazza era stato trasfigurato da Hemingway in quello di Catherine Barkley in «Addio alle armi», scritto una decina d’anni più tardi, oltre che in altre figure femminili presenti nella sua narrativa, ad esempio nella protagonista del racconto «Le nevi del Kilimangiaro».
Il film, comunque, è ispirato al libro biografico di Henry S. Villard «Hemingway in Love and War», pubblicato nel 1989 e poi tradotto in italiano dall’Editore Mursia con il titolo: «In amore e in guerra. Il diario perduto di Agnes von Kurowsky, le sue lettere e le lettere di Ernest Hemingway» (1992); e si pone più dal puto di vista di lei - interpretata dall’attrice Sandra Bullock - che da quello del futuro scrittore americano, che ha il volto dell’attore Chris O’Donnell.
Anche se per alcuni aspetti non secondari le due versioni differiscono, la storia d’amore dei due giovani può essere ricostruita nelle sue linee essenziali. Hemingway trascorse tre mesi nell’ospedale della Croce Rossa americana, a Milano, dopo essere stato seriamente ferito a Fossalta di Piave, prima da una scheggia di granata austriaca e poi da una raffica di mitragliatrice, mentre cercava di portare in salvo, a spalla, un soldato italiano rimasto a sua volta ferito.
A quell’epoca egli aveva appena computo diciannove anni (era nato il 21 luglio 1899) e la bella infermiera di origini tedesco-polacche ne aveva già ventisei, essendo nata il 5 gennaio 1892; era molto corteggiata da tutti e specialmente dal chirurgo del suo reparto, il quale, pur essendo molto più grande di lei, non era rimasto indifferente davanti al fascino della sua giovanile esuberanza e della sua intelligenza.
Anche Hemingway se ne innamorò; lei, in una certa misura, ricambiò i sentimenti di quel ragazzone pieno di vita, intelligente, passionale e, in un certo senso, stranamente ingenuo; forse, anzi, quasi certamente, vi furono delle promesse; lui, inoltre, era circonfuso dalla gloria dell’azione coraggiosa computa, tanto che ricevette sia la Croce al merito di guerra americana, sia la Medaglia d’argento al valor militare italiana.
Terminata la guerra, Hemingway venne smobilitato dall’esercito e rientrò negli Stati Uniti, restando in attesa che lei mantenesse la promessa di sposarlo; invece, nel 1919, gli giunse soltanto una lettera, nella quale la ragazza gli scriveva di considerare chiusa la loro storia. Non è possibile dire quanto rimase deluso il futuro scrittore: molto, senza dubbio; egli, inoltre, sostenne sempre che fra loro vi era stata una relazione amorosa pienamente consumata, mentre lei, da parte sua, lo negò con altrettanta fermezza, definendola una storia giovanile, che sarebbe rimasta su un piano meramente platonico.
Questi sono i fatti, nella loro scarna eloquenza: un romanzo d’amore finito male, il primo per l’uomo, ma non per la donna; un grosso investimento affettivo, risoltosi in nulla; una ferita da rimarginare. Per la cronaca, Hemingway si sposerà quattro volte ed avrà numerose amanti; Agnes von Kurowsky contrasse due matrimoni e morì alla bella età di 92 anni, nel 1984, molto dopo il tragico suicidio dello scrittore, avvenuto nel 1961.
Abbiamo scelto di partire da questa vicenda, abbastanza nota agli studiosi della letteratura angloamericana moderna, per il suo carattere esemplare, ma avremmo potuto sceglierne cento altre; la riflessione che intendiamo svolgere verte intorno alla prima ferita d’amore nella vita di un individuo e dal peso che essa esercita negli anni a venire: infatti, dal modo in cui essa si rimargina, ammesso che si rimargini, dipendono moltissime cose della sua vita futura, e non solo di quella affettiva e sentimentale.
Oggi la società edonista e permissiva tende a sminuire e quasi a dissolvere l’esperienza del primo innamoramento: i rapporti di frequentazione fra i due sessi e le occasioni di conoscenza reciproca, molto più facili di un tempo; il costante abbassamento dell’età in cui si verifica la prima esperienza sessuale e l’occhio indulgente con cui gli adulti guardano a tali relazioni (sempre che non le guardino affatto e, più che di indulgenza, si tratti di pura e semplice distrazione); tutti i ritmi ed i riti della vita contemporanea hanno contribuito a togliere al primo innamoramento il suo carattere di rivelazione e di primo, serio banco di prova per la conoscenza di se stessi.
E tuttavia, nonostante l’opera complessiva di banalizzazione condotta a questo riguardo, direttamente o indirettamente, dall’intera società, dubitiamo che la prima esperienza di innamoramento scivoli via in maniera così lieve, per non dire inconsapevole, sull’anima di un adolescente o su quella di un giovane uomo o di una giovane donna che l’abbiano vissuta come tale, ossia con profondo coinvolgimento emotivo e con senso di autentico trasporto, nonché con lo stupore e quasi con lo sgomento di chi sperimenta un movimento dell’anima completamente nuovo e diverso da tutto ciò che conosceva o credeva di conoscere.
Qualcuno ha detto, con una certa dose di verità,  che, nella vita, tutto dipende da quanto si è rimasti delusi; e, per la maggior parte delle persone, l’esperienza del primo amore è quasi sempre deludente, sia per la scarsa consapevolezza con cui la si affronta, sia per quella mancanza di filtri, di cautele, di “saggezza”, che sono tipici dell’irruenza giovanile e che, il più delle volte, vanno a scontrarsi duramente con una realtà non troppo poetica e nella quale non si fanno sconti a nessuno, anzi sovente vengono premiati i più furbi e i meno sinceri.
Perché di una guerra si tratta e proprio questo sfugge a chi per la prima volta s’imbatte nell’amore: una guerra in cui tutto è permesso e quel che conta sembra essere solo il risultato; come dice quel noto e assai citato adagio: in amore, come in guerra, ogni cosa è permessa, vuoi per conquistare l’amato bene, vuoi per sbaragliare eventuali rivali; e questo spiega come, tanto spesso, a vincere non siano i migliori, ma semplicemente i più scaltri.
D’altra parte, in amore così come in qualsiasi altra manifestazione della vita, esiste una superiore giustizia, per cui, a ben guardare, ciascuno riceve secondo i propri meriti ed il proprio valore; e ciò è solo apparentemente in contrasto con l’affermazione precedente: perché, ad esempio, è vero che in amore vince chi sa adoperare qualunque genere di sotterfugio, ma è altrettanto vero che questi vince solo con le persone che si trovano al suo stesso livello di consapevolezza: un livello, evidentemente, molto grossolano e rudimentale.
In altre parole, se si riesce a far breccia nel cuore altrui con la simulazione e con la dissimulazione, cioè fingendo di essere quello che non si è e nascondendo di essere quel che si è, ciò può avvenire esclusivamente con soggetti capaci di giudicare soltanto secondo le apparenze e non secondo la sostanza, vale a dire esattamente con quelli che ci si merita.
Si dirà che l’inesperienza nel giudicare è un fattore importante, se non addirittura decisivo, quando si parla del primo amore: e chi è più inesperto in amore, di colui o colei che s’innamora per la prima volta? E certamente è così; ma l’inesperienza, a sua volta, non avrebbe il potere di suggerirci una scelta sbagliata, se, a monte di tale scelta, non vi fossero una precipitazione, una sottovalutazione di sé e una sopravvalutazione dell’altro, che non nascono, semplicemente, dalle circostanze esterne (una delle quali è, appunto, l’ovvia mancanza di esperienza, dovuta, per esempio all’età), ma da una insufficiente consapevolezza, ossia da una carenza intrinseca dell’individuo.
Quel che vogliamo dire è che un giovane può avere poca esperienza di molte cose, e dell’amore fra queste; tuttavia, se egli è capace di lavorare su se stesso, di guardarsi dentro con onestà e se, pertanto, è in grado di riconoscere quel che gli manca, saprà anche affrontare una situazione nuova senza buttarsi allo sbaraglio e conservando una sufficiente padronanza di sé.
È pur vero che nessuno intraprende il proprio percorso di consapevolezza per scienza infusa; tutti partono da zero; e tutti, all’inizio di esso, sono inesperti, quindi soggetti a errare più di quanti si siano già inoltrati, almeno un poco, lungo tale cammino; arriviamo così alla conclusione che quasi sempre, anche nei soggetti sensibili e aperti all’idea di lavorare su se stessi per conquistare maggiori spazi di consapevolezza, il primo amore si risolve in un’esperienza più o meno deludente, più o meno traumatica, più o meno frustrante.
Questo è un fatto che in nessun modo deve essere sottovalutato. Per molte persone si può affermare che tutta la loro successiva vita sentimentale, fino agli estremi giorni della loro vecchiaia, altro non è che una reazione, non di rado nevrotica e abnorme, a quella prima esperienza fallimentare, a quella prima sofferenza e a quella prima delusione; persone, cioè, che non sono mai riuscite né a rimarginare la propria ferita, né a rielaborare quanto è successo loro e a trarne degli utili insegnamenti per il futuro.
Può sembrare paradossale, ma è così. Per molte persone tutta la sfera della vita affettiva non è che il riflesso condizionato ad una falsa partenza, ad uno scacco iniziale che ha modificato radicalmente il loro atteggiamento verso se stesse e verso l’altro, al punto da condizionarne ogni comportamento e da indurle a precludersi la possibilità di andare avanti in maniera serena; perché viverre ossessionati dai propri fantasmi interiori non è certo un modo sereno di vivere la propria vita e di relazionarsi con se stessi e  con gli altri.
Ad ogni modo, che la quantità delle esperienze fatte non sia il fattore decisivo, ma che lo sia, invece, l’attitudine fondamentale che si possiede nei confronti della vita, è testimoniato da quelle relazioni amorose in cui vi sia una forte differenza di età fra i due soggetti e nelle quali non sempre la maggiore età, e quindi la maggiore esperienza e saggezza di vita, sono usate per strumentalizzare il partner più giovane, ma possono essere usate anche nel senso opposto.
Avviene, ad esempio, che una persona più grande, proprio perché più esperta della vita e resa più saggia dalle proprie stesse delusioni, adoperi con l’amante più giovane una tale delicatezza e una tale sollecitudine, da rendere quel suo primo passo nel giardino incanto dell’amore una esperienza felice, gratificante e incoraggiante, capace di rafforzare la fiducia in sé e da avviarlo con passo leggero e fiducioso sui sentieri perigliosi della vita sentimentale.
In genere, gli adulti tendono a disapprovare le relazioni amorose nelle quali vi sia una forte disparità cronologica fra i due amanti; se, poi, si tratta di una donna matura e di un giovane uomo, la disapprovazione è ancora maggiore. Tuttavia la verità è che quando si tratta di una persona consapevole e spiritualmente evoluta, essa saprà adoperare la sua maggiore esperienza a vantaggio dell’altro; se, invece, si tratta di una persona scarsamente evoluta, la sfrutterà a proprio esclusivo vantaggio e nella maniera più egoistica e irresponsabile.
Non si tratta, quindi, di un fatto di età, ma di consapevolezza; e non sempre alla maggiore età cronologica corrisponde una maggiore consapevolezza spirituale.
Bisogna anche dire che le conseguenze della prima ferita d’amore non riguardano solo la vita affettiva, ma che sono di portata molto più vasta, perché investono tutta la sfera della percezione di sé e del mondo e sono decisive per la costruzione dell’autostima, nonché della capacità di perdonarsi e di perdonare l’altro.
Inoltre, non bisogna confondere innamoramento e amore: quello che, di solito, anche nella nostra memoria, siamo soliti chiamare il primo amore, in realtà è stato il primo innamoramento, vale a dire un innamorarsi non dell’altro, ma dell’amore: e non è affatto strano che una esperienza del genere si risolva in un fallimento, dato che è come voler afferrare un fantasma.
In conclusione, e ammesso che, in tali cose, possa darsi una conclusione, per quanto provvisoria, ci sembra di poter dire che è importante, per ciascun individuo, intraprendere quanto prima il proprio percorso di consapevolezza; diversamente, si rischia di trovarsi totalmente impreparati davanti all’esperienza fondamentale dell’incontro affettivo con l’altro e di doverne poi subire le pesanti conseguenze, magari per tutto il seguito della propria vita.