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Hillman, il profeta dell’Anima

di Franca D’Agostini - 29/10/2011

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La morte di James Hillman spinge a riflettere sulla grande vague anti-teoretica, anti-logica, anti-concettuale che ha attraversato la cultura europea e nordamericana a partire dagli anni Ottanta dello scorso secolo, e di cui Hillman è stato un illustre e raffinato esponente. La formidabile carenza di logica e di sensatezza di cui è afflitto il linguaggio pubblico recente, specie italiano (ma anche il dibattito di lingua inglese non scherza, a giudicare da quanto scrive Julian Baggini nel suo repertorio di assurdità Do They Think You’re Stupid?, Granta), ci dice che l’operazione culturale di svilimento del logos a vantaggio del pathos perseguita da Hillman e da molti altri ha avuto gran successo. Ma ci dice anche che forse èilcasodichiuderequelcapitolo e che concetti come anima, cuore, emozione interiorità e amore possono tornare tranquilli a fare il loro dovere, senza bisogno di essere lanciati come cubetti di porfido contro il contrafforte del logos che – secondo il paradigma emozionalista – ospiterebbe la potente e venefica città della Scienza, della Tecnica, e (per gli americani) della Filosofia.
PER COMPRENDERE l’operazione di Hillman credo sia necessario collocarla in due contesti ben definiti: il tramonto della psicoanalisi, e la latitanza culturale della filosofia. La psicanalisi nelle diverse forme inizia un suo chiaro e vistoso declino in Europa già negli anni Settanta dello scorso secolo, le psichiatrie alternative e antiedipiche segnalano con chiarezza che il paradigma freudiano, anche nella versione lacaniana, regge male le nuove condizioni dell’immaginario e del linguaggio condiviso, mentre la versione junghiana sempre più chiaramente trascolora in terapeutica culturale astratta. La situazione non è chiara per il grosso pubblico che ancora pensa a Freud, Jung e Lacan come un’avanguardia culturale, ma non sfugge alla sensibilità di Hillman cheprocedesenz’altroarivoltare la psicologia analitica come un guanto e a riciclarla come filosofia. La psiche, insegna Jung è abitata e sovrastata dal collettivo, e dai contenuti mitici immaginativi archetipici che l’umanità intera condivide. Perché allora curare i singoli?
La psicanalisi di Hillman esce dallo studio e dalla clinica individuale e diventa terapeutica delle idee, dell’umanità intera, e non delle singole persone. Programma tipicamente filosofico: ecco Hillman incamminato a svolgere il ruolo husserliano di “funzionario dell’umanità”. Il programma destinato a fare di Hillman il maestro e profeta degli animisti mitomani e antilogici di tutto il mondo si annuncia nel Mito dell’analisi del 1972. L’Occidente, così si spiega nel libro, avrebbe umiliato e assoggettato l’immaginazione e l’anima, e in generale il femminile (anima junghianamente è per l’appunto il femminile). Di qui il rilancio dell’idea di Keats, secondo cui il mondo è la “valle del fare anima”. Cosa si deve fare in questa vita? Semplice: making soul, contro una cultura che ha dimenticato gli dei e l’anima e il potere fantastico dell’invenzione creati-va umana. La critica naturalmente era rivolta al tendenziale positivismo della psicanalisi, specie freudiana, ma il making soul divenne una cifra importante della psicologia archetipica hillmaniana, facendone il paradiso del femminismo differenzialista. Americano di nascita, ma europeo di formazione (studia alla Sorbona e a Dublino) Hillman torna in America nel 1984, e qui ha una visione chiara del gioco che contrappone i cosiddetti techies e i fuzzies, i tecnocrati e i vaghi, si direbbe. È una guerra politico-culturale che infuria nei tardi anni ottanta, ed è tipica di contesti e culture dove la filosofia (che appunto dovrebbe chiarire le idee sull’irrilevanza della dicotomia: essendo la tecnica stessa estremamente vaga, e le vaghezze necessariamente determinate , dovendo dirsi in parole) è povera o assente.
IN QUESTA GUERRA l’anti-positivismo di Hillman ha buon gioco. Il suo progetto a mano a mano (e con lieve contraddizione rispetto all’assunto) diventa un vero e proprio sistema filosofico, dotato di una metafisica, un’antropologia, un’etica, e ancheinprospettivaunapolitica.In breve quella hillmaniana è una metafisica panteistica, e panpsichistica. Il mondo “è pieno di dèi”, Hermes, Afrodite, Ares sono le immagini archetipiche che ci guidano nel vivere amare e soffrire. La psiche inoltre non è solo dentro di noi, è tutto intorno a noi. All’uomo psicologico (che vive “facendo anima”) Hillman oppone l’uomo spirituale (mirante a una perfezione trascendente) e l’uomo normale (che si identifica con l’adattamento pratico e sociale). Il codice dell’anima del 1997, rivede la terapia: si tratta non di crescere ma di decrescere, tornare alle nostre radici, vedere da vicino quale sia il mito o il dio che ci guida, e così conoscere la nostra “vocazione”. Naturalmente, non è filosofia vera, e pertanto originale e intellettualmente esigente, ma una popularphilosophie gentile, che rielabora materiali largamente presenti nella tradizione della filosofia pratica, ed è piena di colore, di narrazioni, miti e figure. Un fenomeno editoriale insomma (il suo Codice dell’anima fu un best seller in tutto il mondo). Hillman è stato in definitiva un grande divulgatore e grande narratore dell’inconscio. Ma i contenuti per così dire politici della sua dottrina – al di là delle sue intenzioni – hanno fatto non poco danno in un’epoca che certo aveva bisogno di filosofia, ma non di quella filosofia, e che voleva una scossa da torpedine marina, ma non quella scossa emozionalistica e psichistica. Coloro che hanno fatto del socratismo visionario di Hillman una ideologia a volte sono andati troppo in là. In un libro di un intellettuale hillmaniano, di cui non farò il nome, si legge che le donne sarebbero superiori in quanto avrebbero l’intelligenza dei sentimenti, “e come dice l’etimo della parola stessa, ‘sentimento’ vuol dire: avere il senso, il sentire, nella mente” (?!). Il povero Hillman, conoscitore di molte lingue ed esperto di etimi ingegnosi e sottili, come avrebbe valutato una simile idiozia?

I suoi testi fondamentali
Il suicidio e l’anima Adelphi 2010
In questo libro Hillman ha restituito l’idea di anima a un secolo, il Novecento, dominato dalla psiche. «Prima di allora l’anima la si trovava o al cimitero o in chiesa, non era un concetto psicologico. Reintroducendo l’anima recuperavo anche tutta la sua tradizione».

Il codice dell’anima: Carattere vocazione, destino Adelphi 1997
Qui, accanto alla nozione di anima, ha introdotto quella, altrettanto antica, di demone individuale. «E’ un’idea che deriva da un mito esistente in tutto il mondo: entriamo in questo mondo con una vocazione particolare e un particolare carattere. Socrate chiama questo nostro compagno demone - daimon».

Il mito dell’analisi Adelphi 1991
Introduce per la prima volta il concetto di «fare anima», partendo da una citazione di Keats: «Chiamate, vi prego, il mondo “la valle del fare anima”. Allora scoprirete a cosa serve il mondo». Un’idea che non ipotizza una salvezza, ma implica l’essere coinvolti nella sostanza del mondo.

Saggio su Pan Adelphi 1982
Perora il ritorno a quella «Grecia psichica», che «ci offre una possibilità per correggere le nostre anime», e ha esaltato il politeismo greco, «la più riccamente elaborata di tutte le culture», sostenendo la necessità di un ritorno dell’uomo contemporaneo a un’«anima politeista».

Fuochi blu Adelphi 1996
La metafora dell’alchimia è una delle più adatte a descrivere il processo interno di trasmutazione attraverso l’immaginazione che Hillman propone quale terapia dell’anima. Nel deserto americano, l’infelicità è blu alchemico. L’umore blue trasfigura le apparenze in realtà immaginali, il cielo azzurro richiama l’immaginazione mitica ai suoi ambiti più lontani.