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Riflettiamo su di noi: spunti per una decrescita in Italia

di Daniela Salvini - 29/10/2011

 




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La situazione italiana, da tutti i punti di vista, va a rotoli, comunque la si rigiri. Non ha più molto senso affermare solamente che vogliamo andare oltre la destra e la sinistra, che ci asteniamo dal voto, che non siamo complici. Non sentiamo, realmente, neppure più il bisogno di affermare che la Costituzione è carta straccia, oppure che va cambiata perché obsoleta. I principi fondanti la nostra società non esistono più. Vuol dire che erano sbagliati?
Se la pensiamo così dovremmo essere quasi contenti. Il sistema dei diritti e dei doveri è in via di smantellamento. Sta già succedendo. Lo vediamo con i nostri occhi, lo viviamo sulla nostra pelle. Io non la penso così. Sono convinta che l'imperativo categorico sia quello che occorre denunciare e decostruire, ma poi progettare, individualmente e collettivamente. E' il momento di “decolonizzare l'immaginario”, mi dico.
La crisi economica è in corso e benché gli effetti si vedano ancora poco, immagino che ci sia sempre più gente che li vive drammaticamente. Alla Caritas le file si allungano, il sistema di Welfare, continua a tamponare i guasti più grossi, con gli ammortizzatori sociali e altro, ma perde i pezzi, e ciò che rimane fa acqua da tutte le parti. Basti pensare alle soluzioni trovate per la lotta dei pastori sardi. Da quel poco che ho potuto capire hanno ricevuto incentivi i trasformatori del latte, in cambio dell'accettazione di un prezzo concordato, un po' più alto di quello di mercato, per la materia prima. Con buona pace del contribuente. Il cattivo governo della cosa pubblica sta distruggendo l'idea che lo Stato sociale keynesiano, un po' corretto, possa sopravvivere, per far fronte alle storture dell'agire privato, che, si sa, è mosso esclusivamente dal tornaconto personale.
Fino a qualche anno fa la maggioranza dei cittadini pensava che privatizzare alcuni servizi potesse servire a snellire l'azione pubblica riducendo la spesa, la pressione fiscale, e ridare fiato ad un'azione privata, che, pur mossa dal fine del profitto, avrebbe accresciuto l'efficacia e l'efficienza che mancavano ad un governo accentratore, burocratizzato e corrotto, miope e incompetente. Ora vediamo che, nell'ambito assistenziale e medico, solo per fare un esempio, i privati operano e curano coloro che possono pagare, e non coloro che ne hanno più bisogno, anzi, spesso curano i sani, distorcendo persino le diagnosi per arrivare al loro scopo.
Chi si ritiene un po' “antisistema” e vuole “filare da sé la propria storia” ha un'occasione unica: può immaginare quello che vorrebbe e come lo vorrebbe, in ambito sociale, pur senza poter decidere di realizzare, qui ed ora, ciò che pensa. Mi piacerebbe che si svegliassero quei tanti giovani che sembrano aver mordicchiato la mela della favola, e se la dormono, ed evadono dalla realtà, oppure si esauriscono in un'azione dal fine banale, oppure si deprimono e si chiudono al mondo.
Da tempo immemorabile sono i giovani che in una società detengono le fette più grosse dell'immaginazione e nella nostra società molti ragazzi hanno un titolo di studio elevato, che ci porterebbe a pensare che abbiano gli strumenti per progettare, a ragion veduta, un futuro migliore, in cui il denaro ha sono una piccola importanza, quello che gli è stato storicamente più proprio, di essere mezzo di scambio e di pagamento. Nel nostro paese si sprecano i filosofi, i laureati in scienze politiche, in architettura, e così via, che saprebbero e potrebbero ragionare in grande, e che invece per necessità di sbarcare il lunario, dovendo lavorare nei call center, o simili, esauriscono lì le loro energie, seppure per pochi soldi, e per un tempo sempre più determinato, trastullandosi con il divertimentificio a buon mercato nel tempo libero.
Siamo tutti travolti e sopraffatti da un sistema che non dà benessere. L'economicismo è imperante, pure bisogna immaginare una diversa economia. E' ormai troppo generico parlare di autoproduzione ed autoconsumo rinviando alle calende greche, e agli altri, l'arduo compito.
Personalmente immagino una diversa Italia, in cui i ragazzi, estromessi dal mercato, cominciano a percorre un diverso tragitto per la loro sopravvivenza. Una strada di decrescita, in cui si abbia come scopo quello di creare dei beni individuali e comunitari, più che merci, in zone ed aree abbandonate dalla speculazione capitalistica.
Richiamando alla mente le immagini viste molto tempo fa, su quello che era L'Aquila del dopo-terremoto e quello che erano diventati molti suoi cittadini, zombies impotenti di fronte alle rovine come alle “case di Silvio”, mi sembra di riconoscere una metafora. Così è ora la nostra società italiana, ciò che è stato creato dal secondo dopoguerra ad oggi. Noi siamo lì, di fronte, e guardiamo depressi, senza neppure desiderare di capire di chi è la colpa. Gli aquilani si sono sentiti impotenti, infelici come non mai, eppure hanno accolto passivamente quel che si stava preparando per loro, hanno una responsabilità personale pesante, così gli italiani. Lentamente potremmo prendere coscienza che forse si è sbagliato tutto, che occorre ricominciare a pensare e ad agire. Forse questo nostro confrontarci è già un inizio.