Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / La colonna e il fondamento della Verità. Saggio di teodicea ortodossa in dodici lettere

La colonna e il fondamento della Verità. Saggio di teodicea ortodossa in dodici lettere

di Giuseppe Malafronte - 03/11/2011

Fonte: recensionifilosofiche



È possibile scrivere un testo di filosofia, di teologia, di spiritualità insieme? È possibile combinare insieme al rigore scientifico una vena lirica e poetica? È possibile, ancora, avvicinarsi alle questioni fondamentali dell’uomo quali la ricerca della verità con senso critico e profondità d’animo? Se per qualcuno la risposta a queste domande risultasse categoricamente negativa, allora gli proporrei la lettura delle splendide pagine de La colonna e il fondamento della Verità di Pavel Aleksandrovič Florenskij. Forse potrebbe nascere qualche dubbio.
La poderosa opera di questo poliedrico pensatore religioso russo – conta più di 150 pagine di sole note – viene pubblicata per la prima volta nel 1914 ed è la rielaborazione della sua tesi di laurea presso l’Accademia Teologica di Mosca dal titolo Sulla Verità spirituale discussa nel 1912. Ed è una tesi scritta sotto forma epistolare, come il sottotitolo lascia evincere: infatti tutti gli incipit di ogni singola lettera sono dedicati ad un amico anonimo, ma sicuramente noto al cuore di Florenskij, da cui, poi, prende spunto la riflessione teoretica più propriamente detta. È un testo da leggere e prezioso, tornato giustamente, dopo gli anni di oblio della dittatura sovietica, ad essere discusso e meditato (la prima edizione, dopo quella originale, si deve all’opera di E. Zolla che ne fece pubblicare, nel 1974, una traduzione a cura di P. Modesto cui questa nuova edizione si rifà).
Prima di entrare nei contenuti del testo è necessario fare una piccola precisazione sul metodo e sullo stile adottati da Florenskij nel redigere il suo libro. Infatti, non inganni nella lettura uno stile colloquiale e personale proprio di una lettera: i temi trattati sono di grande pregnanza filosofica e teologica. Basterebbe, per comprendere ciò, la citazione di S. Gregorio di Nissa, che Florenskij pone all’inizio del suo testo: la conoscenza diviene amore. Uno stile sentimentale non significa assenza di teoreticità, come, d’altro canto, la conoscenza non può essere solo asettica assimilazione di saperi: tutto si armonizza per diventare parte di una Weltanschauung integrale. Se poi ci si aspettasse, seppur in forma lirica, un trattato classico con uno svolgimento lineare, anche qui il lettore resterebbe disatteso; più che un trattato, Florenskij tenta di dimostrare le sue tesi facendo ricorso alla vita e all’esperienza «religiosa viva come unico metodo legittimo per conoscere i dogmi» (p. 9). Il suo metodo e il suo stile tendono a render visibile la profonda interazione tra vita e pensiero. E per questo il titolo, citazione tratta dalla Prima lettera di Paolo a Timoteo (3,15), è emblematico di questo percorso dialettico tra il principio esistenziale e quello intellettuale: appoggiarsi alla colonna della Verità che è costituita non da un concetto astratto ma da un’idea viva, anzi di più, da un Essere vivo: il Dio trinitario, Padre, Figlio e Spirito. Per Florenskij il dialogo epistolare si configura come l’intima adesione alla verità dell’amore trinitario entro il flusso e il ritmo della vita stessa nella sua incessante interrogazione, e al contempo come rifiuto del tono assertorio, dimostrativo e dogmatico. In questa posizione interrogante ci si deve porre per comprendere le analisi florenskijane e per questo l’autore può asserire di scrivere «lettere invece di compilare “articoli”, proprio perché temo di affermare e preferisco interrogare» (p. 141).

Per entrare nel vivo delle miriadi di problematiche affrontate da Florenkij in questo testo – dal peccato al male, dall’antropologia alla logica, dalla morale all’estetica, dalla teologia alla spiritualità – è importante cogliere il nucleo centrale del suo percorso che si delinea già dalle prime pagine: la ricerca della Verità. «Sì, nella vita tutto si agita, tutto vacilla in immagini di miraggio, ma dal profondo dell’anima si innalza la necessità ineluttabile di appoggiarsi alla “Colonna e Fondamento della Verità”, della Verità, thes aletheìas, e non semplicemente aletheìas, di una delle verità, non di una verità particolare, bonaria, umana, che si contorce e vola lontano, come polvere spinta verso i monti dal soffio del vento; della Verità (Istina) integra ed eterna nei secoli» (p. 19). Questa specifica verità, forzando i contesti classici della logica e dei suoi principi, attraverso il concetto fondamentale di antinomia, viene ad incarnarsi nel dogma trinitario per cui il «soggetto della Verità è la Relazione di Tre… possiamo affermare che l’essenza della Verità è l’atto Infinito di Tre nell’Unità» (p. 56). È tanto forte questa uguaglianza, dimostrata da Florenskij da un punto di vista primariamente filosofico, che «tra il Dio Uno e Trino cristiano e la morte per pazzia tertium non datur» (p. 73).
A partire da questo nucleo centrale si svolgono tutte le riflessioni florenskijane della Colonna sullo Spirito Santo, sul peccato, sulla creatura, sulla Sofia, sull’amicizia. È come se il cuore pulsante della sua opera trovi poi, lentamente, vari e svariati campi di prova e di azione. Al lettore il piacere di lasciarsi prendere tra le pagine de la Colonna come da una spirale che tende a portare la riflessione sempre più in profondità ma che può essere letta anche su più livelli: da quello spirituale, a quello estetico, da quello letterario a quello specialistico e analitico, a seconda dei gusti e delle aspettative.
Di particolare bellezza e spessore è l’undicesima lettera posta sotto il titolo de L’amicizia. Non si tratta di un trattato usa e getta su come comportarsi in società o come fare per ottenere amicizia. L’amicizia di cui parla Florenskij, «non è solo etica e psicologica, ma prima di tutto ontologica e mistica, e così l’hanno veduta in tutti i tempi tutti coloro che hanno contemplato le profondità dell’esistenza» (p. 448). E proprio questa amicizia diviene lo specchio più aderente per quell’idea di Verità incarnata nella Trinità; ed è tale perché «l’amicizia è la visione di sé con gli occhi dell’altro, ma al cospetto di un terzo, e precisamente del Terzo. L’Io, rispecchiandosi nell’amico, riconosce nel suo Io il proprio alter ego» (p. 448). L’amicizia è, almeno così come intesa da Florenskij, l’applicazione etica della vita trinitaria, il più alto stadio che l’uomo può raggiungere nel suo cammino di ricerca e identificazione nella Verità.
Giunto alla fine delle sue analisi Florenskij traccia un quadro generale ed emblematico della sua opera nell’Epilogo. Per chiarire la volontà florenskijana e le sue finalità, a volte impigliate tra le mille pieghe del suo discorso e dei suoi dotti rimandi, suggerisco, dato che non si tratta di un romanzo, di partire proprio dalla lettura di questo breve finale che racchiude, sintetizzati ed esposti in maniera mirabile, tutti i temi trattati. Così il percorso ideale della Colonna si può sintetizzare nella domanda «Come è possibile la ragione?» (p. 494). La risposta si trova nella Verità così come viene espressa nel dogma trinitario poiché «il raziocinio è possibile perché esiste il Lume triradioso e in quanto vive della Luce di Lui» (p. 495). La ragione umana non può giungere alla vera colonna della Verità se non in quanto è essa stessa a richiamare sempre l’uomo verso di sé. «La stessa Verità Triuna compie per noi ciò che a noi è impossibile, la stessa Verità triipostatica ci trascina a Sé» (p. 496).
Certamente il cammino di Florenskij verso la Verità è tortuoso e potrebbe non essere condiviso, soprattutto perché richiede sempre quell’eroismo della fede, quella «nota di speranza» (p. 49) per entrare, completamente, nel suo orizzonte di pensiero; eppure resta affascinante anche nella sua problematicità perché apre, con intelligenza e senza risposte predeterminate, un’ampia gamma di domande e di riflessioni. Ma, questo testo va letto anche per approfondire la geniale figura di Florenskij con tutta le sue potenzialità ancora da esplorare e i sentieri mai battuti: è un pensatore che va dapprima accolto, sopportato oserei dire, per porsi in dialogo con lui, per carpirne la sua saggezza e poi discuterlo, anche senza pietà se si vuole. Entrare in contatto con la sua proposta filosofica e teologice, tutta intrisa di mistica, rappresenta, comunque, un enorme lascito e una grande sfida al pensiero, nonché un arricchimento dell’intelletto e dell’animo.
Bastino, per concludere, queste tre affermazioni, la prima del teologo ortodosso P. Evdokimov che diceva: «Per giudicare uno della grandezza di Florenskij, occorrerebbe il medesimo genio. Così com’è Florenskij è entrato nella storia con l’aureola del martire; genio indiscutibile, egli feconda le riflessioni di ogni teologo con l’aiuto delle sue sfolgoranti intuizioni, anche nel loro aspetto incompiuto e conturbante» (Cristo nel pensiero russo, Roma 1972, p. 177). La seconda del poeta V. V. Rozanov: « Pavel Florenskij è un uomo speciale, e può darsi che questo gli sia proprio. Io non sempre lo comprendo. Lo capisco per ½, forse per ¾, in ogni caso per ¼ non lo capisco» (Uediennoe [Foglie cadute], Moskva 1990, p. 650). Infine la dichiarazione, carica di affetto e di stima, dell’amico e collega S. N. Bulgakov: «Padre Pavel era per me non solo un fenomeno di genialità, ma anche un’opera d’arte: a tal punto era armoniosa e bella la sua figura. Sarebbero necessari la parola, il pennello o l’arnese di un grande maestro per descriverlo in pubblico. Lui era nato così, ma questo era anche il prodotto personale della sua creatività spirituale, della quale gli era propria tutta la raffinatezza di un gusto spirituale e artistico» (Lo spirituale della cultura, Roma 2006, p. 145). E la Colonna è, sicuramente, l’opera più rappresentativa di Pavel Aleksandrovič Florenskij.