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Usa, parte il circo elettorale

di Michele Paris - 10/11/2011

 





Martedì negli Stati Uniti si è tenuto l’ultimo election day prima del voto per le presidenziali del 2012. I (pochi) elettori americani presentatisi alle urne sono stati chiamati a scegliere sindaci, governatori, membri di assemblee locali e ad esprimersi su una serie di quesiti referendari. A meno di due mesi dall’inizio delle primarie per la Casa Bianca, il voto di martedì era visto da molti come un importante test sullo stato di salute dei due principali partiti e sugli umori dell’opinione pubblica in un periodo di grave crisi economica e sociale.

Tra gli appuntamenti più seguiti c’era un referendum indetto nello stato dell’Ohio, dove si decideva la sorte della legge n. 5 del Senato, firmata dal governatore repubblicano John Kasich lo scorso mese di marzo tra le proteste di migliaia di persone. Il discusso provvedimento prevedeva la drastica restrizione dei diritti sindacali dei lavoratori del settore pubblico. Oltre a limitare seriamente la possibilità di scioperare e di contrattare su alcune questioni contrattuali, la legge n. 5 chiedeva agli stessi dipendenti pubblici, assieme ad altri sacrifici, di pagare una quota maggiore rispetto a quella attuale per il finanziamento dei loro piani sanitari e pensionistici.

La legge - simile ad altre approvate in stati come Wisconsin e Indiana - è stata bocciata dagli elettori dell’Ohio con una maggioranza schiacciante (62 per cento). Il risultato ha inflitto una sonora sconfitta ai repubblicani e alla loro crociata per cancellare i diritti residui dei lavoratori come rimedio alle ristrettezze di bilancio causate dalla crisi del debito.

Questo referendum era stato promosso in particolare dai sindacati e dal Partito Democratico, nonostante a Washington e in altri stati dove questi ultimi governano siano state adottate senza troppi scrupoli iniziative simili che tendono a peggiorare gli standard di vita di lavoratori e pensionati.

L’Ohio rappresenta in ogni caso un barometro importante in vista delle presidenziali del prossimo anno, in quanto è uno stato perennemente in bilico tra i due partiti (“swing state”) e premia quasi sempre il candidato destinato ad entrare alla Casa Bianca. Secondo alcuni, la bocciatura della legge repubblicana sarebbe un segno positivo per i democratici, dal momento che la struttura organizzativa che lavora per la rielezione di Obama ha avuto un ruolo di spicco nella campagna elettorale per il referendum.

In realtà, l’avversione generalizzata nei confronti della legge anti-sindacale non dovrebbe tradursi necessariamente in un sostegno per il partito del presidente, come dimostra il fatto che sempre martedì, in un altro quesito referendario poco più che simbolico, gli elettori hanno approvato l’esenzione per gli abitanti dell’Ohio dall’obbligo di stipulare un’assicurazione sanitaria, come previsto dalla riforma di Obama approvata dal Congresso nel marzo 2010.

Un altro voto dalle vaste implicazioni era quello del Mississippi, dove era sottoposta a referendum una proposta per modificare la costituzione dello stato inserendo una clausola che di fatto avrebbe messo fuori legge l’interruzione di gravidanza. A sorpresa, gli elettori di uno degli stati più conservatori degli Stati Uniti si sono espressi contro un emendamento che intendeva dare lo status legale di “persona” all’embrione fin dal momento del concepimento, rendendo illegale l’aborto - anche in caso di stupro, incesto o pericolo di vita per la madre - così come la fertilizzazione in vitro, la pillola del giorno dopo e alcune forme di contraccezione.

I sostenitori della modifica alla costituzione del Mississippi in senso anti-abortista - già allo studio anche in altri stati - speravano che una vittoria martedì avrebbe rappresentato un trampolino di lancio per ottenere finalmente dalla Corte Suprema degli Stati Uniti la revisione della sentenza del 1973 (“Roe contro Wade”) che ha fissato il diritto all’aborto a livello federale.

In molte città importanti si è votato poi per la scelta del sindaco. Smentendo la tendenza degli ultimi tempi a punire i politici in carica, numerosi primi cittadini uscenti sono stati riconfermati, come i democratici Michael Nutter e Stephanie Rawlings-Blake - rispettivamente a Philadelphia e a Baltimora - o il repubblicano Greg Ballard a Indianapolis. Successi democratici sono stati registrati anche a Phoenix, in Arizona, e a San Francisco, dove Edwin Lee - già sindaco ad interim, subentrato l’anno scorso a Gavin Newsom, a sua volta eletto vice-governatore della California - è diventato il primo sindaco di origine cinese scelto dagli elettori per guidare una metropoli americana.

Due erano invece le competizioni per scegliere altrettanti governatori, carica particolarmente importante in vista del 2012 poiché in grado di influire sull’efficacia delle campagne elettorali per le presidenziali. In Kentucky, malgrado le difficoltà che sta attraversando lo stato, è stato rieletto il democratico Steve Beshear, mentre in Mississippi il repubblicano Phil Bryant succede al governatore uscente Haley Barbour, anch’egli repubblicano e giunto alla fine del secondo e ultimo mandato consentito dalla legge.

Delicata era anche la tornata elettorale per il parlamento locale della Virginia, stato a tendenza repubblicana dove Obama aveva trionfato nel 2008. Qui l’anno scorso i repubblicani avevano conquistato la poltrona di governatore e speravano quest’anno di estendere al Senato statale la maggioranza che già detengono alla camera bassa. Lo sfondamento repubblicano non è però avvenuto. I risultati parziali indicano una situazione di stallo al Senato (20 seggi per ciascun partito), dove l’esito finale sarà deciso da una manciata di voti in un singolo distretto elettorale tuttora in bilico.

Tra i molti altri appuntamenti elettorali dell’election day 2011 vanno ricordati almeno quelli di Arizona, Iowa e New Jersey. Un’elezione speciale in Arizona ha rimosso dall’incarico il senatore statale repubblicano ed ex vice-sceriffo vicino ai Tea Party, Russell Pearce, principale artefice della durissima legge anti-immigrazione approvata l’anno scorso da questo stato degli Stati Uniti occidentali.

In Iowa, i repubblicani non sono riusciti a conquistare la maggioranza nel Senato locale per il quale era in palio un seggio. Il voto era fondamentale per far avanzare una proposta repubblicana sul bando dei matrimoni gay, resi legali in Iowa da una sentenza della Corte Suprema dello stato nell’aprile 2009. Nel New Jersey, infine, i due rami del parlamento statale sono rimasti in mano democratica, rendendo così vani gli sforzi del governatore Chris Christie, astro nascente del Partito Repubblicano, per ottenere un mandato ancora più forte per implementare tagli alla spesa e misure anti-sindacali.

La diversità geografiche e delle questioni su cui gli elettori si sono espressi rendono pressoché impossibile trarre una valutazione univoca dell’esito del voto di martedì negli USA. Analizzando alcune delle elezioni più importanti è forse possibile ipotizzare che gli americani recatisi alle urne, pur non esprimendo un chiaro sostegno alle ricette democratiche, hanno respinto alcune delle soluzioni più reazionarie alla crisi, come quelle propagandate dai repubblicani e dalle frange estreme rappresentate da organizzazioni come i Tea Party. A un anno dal voto per la Casa Bianca e con la situazione economica in peggioramento, è comunque difficile intravedere una qualche anticipazione di quello che sarà il comportamento degli elettori nel 2012.

Come al solito negli Stati Uniti, a dominare è stata più che altro la scarsissima affluenza, in molti casi ben lontana anche dal 30 per cento degli elettori registrati. Questo dato, accentuato dalla mancanza di un voto di rilevanza nazionale, testimonia così ancora una volta la sfiducia complessiva in un sistema politico che non rappresenta in nessun modo la grande maggioranza dei cittadini americani.