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Ora con Teheran un vero negoziato

di Lucio Caracciolo - 11/11/2011


Meglio riconoscere agli ayatollah il loro ruolo nell´area

Israele è pronto alla guerra preventiva contro l´Iran per impedirgli di dotarsi dell´arma atomica. Non è più questione di voci o di rivelazioni informali, è dibattito pubblico nello Stato ebraico e nel mondo. Specie dopo che l´ultimo rapporto dell´Agenzia Internazionale per l´Energia Atomica ha sostanziato e circostanziato i sospetti sull´obiettivo recondito del programma nucleare di Teheran: costruire la Bomba.
Prima di trovarsi di fronte al fatto compiuto e irreversibile di uno scontro armato nel cuore del Medio Oriente, è utile porsi tre domande. Che grado di certezza abbiamo che i persiani stiano davvero producendo un arsenale atomico? Quanto minaccioso sarebbe il progetto iraniano per Israele e per il mondo? Quanto pericoloso sarebbe l´attacco israeliano per l´Iran e per il mondo?

Sul primo quesito, alziamo le mani. Non avremo mai una risposta certa, almeno finché l´Iran sarà uno Stato sovrano in grado di proteggere i propri segreti. Ma le intelligence arabe e occidentali convergono nell´accreditare lo stato piuttosto avanzato del progetto atomico iraniano, in termini di know how, tecnologie e materiali necessari a battezzare l´arma estrema. La differenza, non irrilevante, è sui tempi (molti mesi o pochi anni) necessari al regime di Teheran per disporre del primo ordigno, base di un più vasto e spendibile arsenale. In questo caso non contano dunque i fatti certificabili, ma la ragionevole sicurezza - categoria soggettiva - che i fatti stiano in un certo modo. In Israele e non solo, l´opinione dominante è che il rischio di un Iran atomico sia effettivo, probabilmente imminente. In Arabia Saudita, arcirivale geopolitico, energetico e religioso dell´Iran - e per conseguenza paradossale alleato dello Stato ebraico in questa partita - la psicosi da Bomba persiana è financo più acuta. Mentre negli Stati Uniti, potenza protettrice di Gerusalemme, l´approccio è più conservativo, anche se gli allarmisti guadagnano terreno.

Un fattore decisivo ma quasi imperscrutabile riguarda il fronte politico iraniano. Lo scontro fra la Guida Suprema Ali Khamenei e il presidente Mahmud Ahmadinejad - agli occhi del primo un eretico, accomodante con l´America, dunque traditore - è al calor bianco. Nei prossimi mesi assisteremo alla resa dei conti ai vertici della Repubblica Islamica, anche in vista dell´elezione del successore di Ahmadinejad.
Quanto alla seconda domanda, in apparenza la risposta è lampante: l´arsenale nucleare di Teheran sarebbe una minaccia esistenziale per Israele, un pericolo per tutta la regione e per il mondo. A uno sguardo meno superficiale, questo giudizio si rivela semplicistico. Nessun paese dotato di bombe atomiche - Israele incluso - le ha finora mai impiegate, salvo gli Stati Uniti nel 1945. Sarebbe stupido inferirne che non sarà mai così. Ma gli stessi leader israeliani, compresi coloro che favoriscono l´ipotesi di un attacco preventivo ai siti nucleari persiani, sono consapevoli che l´Iran non ha una vocazione suicida. Nel momento in cui, in un atto di suprema follia, Teheran lanciasse dei missili con testata atomica su Tel Aviv, avrebbe la certezza di venire vetrificata nel giro di minuti dalla replica dei missili nucleari israeliani lanciati dai sottomarini Dolphin e da una copiosa rappresaglia atomica americana, se non atlantica.

La questione non è quindi riducibile all´aspetto militare. Il sottotesto decisivo è geopolitico. Ammettendo che l´Iran produca nel tempo bombe e vettori in quantità sufficiente da dotarsi di una credibilità nucleare paragonabile a quella dei vicini pachistano, russo o israeliano, il suo rango nella regione e nel mondo ne verrebbe notevolmente innalzato. Teheran si affermerebbe come egemone nel Golfo e in Asia occidentale, con grande scorno non solo di Israele e degli occidentali, ma soprattutto dell´Arabia Saudita, degli altri Stati arabi e del Pakistan. Si scatenerebbe la corsa regionale all´atomica. In prima linea Turchia, Egitto e Arabia Saudita, forse altri attori minori. Una proliferazione che renderebbe assai labile il paradigma della deterrenza e più concreta l´alea della catastrofe atomica anche solo accidentale.
Alla terza domanda si può replicare con le parole dell´ex capo del Mossad, Meir Dagan, che ha bollato i piani di attacco israeliani agli impianti nucleari persiani come "follia". Nell´establishment politico-militare di Gerusalemme è in atto un confronto non meno virulento di quello che divide le élite iraniane. In compenso, è largamente pubblico. Il premier Netanyahu e il ministro della Difesa Barak - cui di recente si è aggiunto il ministro degli Esteri Lieberman - sarebbero pronti a sferrare l´attacco nei prossimi mesi. Buona parte dei generali e soprattutto del Mossad dubita alquanto della convenienza e dell´utilità di bombardare l´Iran. La più che probabile rappresaglia iraniana si materializzerebbe in una pioggia di missili forse anche con testate chimiche, di attentati terroristici e di contromisure (blocco dello Stretto di Hormuz, da cui transita gran parte degli idrocarburi diretti ai paesi sviluppati), con rischio di guerra regionale, intervento americano e di altre potenze esterne. Il prezzo dell´energia salirebbe alle stelle, almeno per qualche mese, con effetti economici devastanti. Chi è disposto ad accettare questi rischi, in cambio del ritardo di qualche anno nello sviluppo della Bomba iraniana?

Combinando le risposte alle tre domande, la conclusione ragionevole parrebbe di inasprire le sanzioni contro l´Iran e insieme di aprire con Teheran un vero negoziato. Obiettivo: impedire al regime dei pasdaran di sviluppare l´arsenale nucleare in cambio del riconoscimento del suo ruolo regionale e della sua reintegrazione in ciò che resta del "sistema internazionale". Ipotesi forse troppo razionale per diventare realtà.