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Diecimila foglie

di Giuseppe Gorlani - 11/11/2011


   Diecimila foglie d’amore non sono semplici parole, comprensibili suoni, concetti armoniosi, ghirlande, ornamenti... sono altro. Se non capisci non importa. Non si può capire; si può solo essere. E lo si può perché si È, ora e sempre.

   Peccato che persino l’amica, la sorella, l’amata creda talvolta di non voler cantare svayambhu, l’innato. Molti uomini del resto non lo vogliono in quest’Era Oscura. Tradiscono il Logos, restando aggrappati a quella che pomposamente chiamano “ragione”: infame, mendace, inutile ghigliottina. Ma in realtà sragionano: sostengono l’insostenibile, s’illudono di svuotare l’oceano con un ditale, rincorrono – mai sazi – pani dipinti. Inarrestabili arrancano, urlano, turbinano, precipitano, svaniscono.

   Invano diecimila foglie stormiscono dentro e fuori le più svariate dimore. Invano Vaivasvata, il Figlio del Sole, ammaestra la Luna nell’arte compassionevole per eccellenza di versare Soma sulla terra. Ormai si presume che anche la luna sia stata misurata, calpestata. Invano la musica plana sulle autostrade, portando il profumo dei prati e la beata vertigine dell’azzurro. La cacofania acceca, rende schiavi e conduce allo sterminio.

   Eppure ancora si può rinunciare all’inerzia ed uscire, sciogliere le catene, stracciare il disastro. Balzare come astri dorati sulle carraie invase dalle ortiche. Ancora si può stare seduti su una pietra a guardare, semplicemente guardare le nubi, i falchi, le montagne. Nessuna retorica può rimpicciolirci nel fantasma angosciato che non siamo. Tutto si fa da sé. Non resta allora che distogliere il cuore dal frastuono e guardare, ascoltare, assaporare.