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Sovranità monetaria e democrazia

di Sergio Cesaratto - 14/11/2011



Un grande primo ministro canadese, William Mackenzie King,[1] ebbe a dichiarare prima delle elezioni del 1935: “Una volta che a una nazione rinuncia al controllo della propria valuta e del credito, non importa chi fa le leggi della nazione. … Fino a quando il controllo dell’emissione della moneta e del credito non sia restituito al governo e riconosciuto come la responsabilità più rilevante e sacra, ogni discorso circa la sovranità del Parlamento e della democrazia sarebbe ozioso e futile”.

La rinunzia alla sovranità monetaria è precisamente quello che il nostro paese ha fatto con l’adesione alla  moneta unica. In verità, a ben guardare, l’aveva fatto già prima con il famoso “divorzio” fra il Tesoro e la Banca d’Italia nel 1981. Con quell’atto, compiuto attraverso un fait accompli – uno scambio di lettere fra Andreatta e Ciampi – in barba a qualsiasi decisione parlamentare, i governi della Repubblica rinunciavano alla prerogativa di determinare la politica monetaria, dunque moderare i tassi di interesse, con successive conseguenze disastrose per conti pubblici e distribuzione del reddito.[2] Con la moneta unica il nostro paese ha persino rinunciato alla possibilità di tornare indietro in quella decisione. Le ulteriori conseguenze sulla nostra economia dovute all’abbandono della flessibilità del cambio estero sono davanti agli occhi di tutti con un crescente disavanzo delle partite correnti,  dal pareggio del 1999 sino al -3,5% del 2010, con conseguente crescente indebitamento netto con l’estero.

Lo sconforto sarebbe attenuato se la sovranità monetaria fosse passata a una Europa politica che avrebbe potuto usarla al meglio. Non è stato invece così, avendo l’Europa inscritto persino nel proprio trattato costituzionale, com’è noto, che la banca centrale è indipendente dal potere politico avendo come solo obiettivo quello di stabilizzare il livello dei prezzi. Le conseguenze ultime di questa indipendenza si vendono nella indegna sceneggiata che si sta in questi giorni svolgendo fra le cancellerie europee e la BCE. A fronte del palese fallimento delle politiche di rientro dal debito imposte alla Grecia e della difficoltà a far digerire ulteriori aiuti ai propri contribuenti, alcuni paesi europei, la Germania in primis, si sono dichiarati favorevoli a qualche forma di ristrutturazione del debito di quel disgraziato paese. Di riflesso, gli esponenti della BCE hanno cominciato a rilasciare a destra e a manca dichiarazioni minacciose che se tale ristrutturazione avvenisse la banca centrale non avrebbe più stampato un quattrino a sostegno del debito e delle banche greche (una “opzione nucleare” è stata definita), mentre il governatore Trichet si è permesso di alzare la voce in summit di rappresentanti di governi democraticamente eletti e addirittura di abbandonarli sbattendo le porte.[3] Draghi, per coloro che coltivassero illusioni, ha ribadito nelle ultime Considerazioni finali che “né la presenza di rischi sovrani, né la dipendenza patologica di alcune banche dal finanziamento della BCE” possono farla “deflettere” dall’obiettivo della stabilità dei prezzi. Quello che appare intollerabile non è tanto il comportamento degli apprendisti stregoni di Francoforte, che in fondo rifiutano di fare quello che  i trattati europei vietano loro di fare e difendono la reputazione di “guardiani della moneta”, ma che le democrazie  europee si siano auto-inflitte queste umiliazioni. Si badi, da sempre la democrazia popolare ha avuto necessità di contro-altari istituzionali in un sistema di checks and balances. Ma a parte di una banda di fanatici economisti ultra-liberisti, mai a nessuno era venuto alla mente di elevare una banca centrale al rango di un quarto potere che espropria le istituzioni democratiche delle decisioni di politica economica!

La BCE ha dovuto durante questa crisi, nolente o volente, assumere ruoli – quello di prestatore di ultima istanza ai governi (che non era in effetti nei suoi statuti) e alle banche, pena l’implosione del sistema finanziario europeo e globale. A parte l’implausibile ipotesi che la Grecia riesca a stabilizzare se il proprio debito pubblico a colpi di deflazione e di svendita del patrimonio pubblico, ipotesi a cui sembra incredibilmente dar credito solo la BCE attraverso l’ultra-falco Bini Smaghi, qualunque sia la strada alternativa prescelta dall’Europa – una ristrutturazione del debito o quella più razionale e meno dolorosa di europeizzazione del debito (per esempio qui)  - la BCE sarebbe costretta a una politica monetaria accomodante. L’indipendenza della banca centrale è in generale, e in particolare nei frangenti attuali, sbagliata, e lo statuto della BCE va assimilato a quello della FED americana i cui esponenti mai e poi mai potrebbero permettersi di non collaborare alle decisioni dell’amministrazione.

Per quanto riguarda il nostro paese, esso sta pagando a quest’Europa dei prezzi elevatissimi in termini di disoccupazione crescente e di deindustrializzazione, e il futuro si presenta fosco. La consapevolezza di questo è ancora scarsa, spesso anche a sinistra dove, per cinismo o ignoranza, ci si appassiona ad altri temi che non siano quelli dell’occupazione e dei bisogni elementari della gente. Le proposte che l’Italia dovrebbe avanzare a Bruxelles le abbiamo esposte (quiqui qui), ma l’Europa prosegue in una cacofonia di voci e inadeguatezza di proposte che fa poco ben sperare.

La dichiarazione di Mackenzie del 1935, continua così: “Il Partito Liberale si dichiara in favore dell’immediata istituzione  di una banca nazionale debitamente costituita al fine del controllo dell’emissione di moneta rapportata ai bisogni pubblici. Il flusso di moneta deve essere in relazione ai bisogni nazionali, sociali e industriali del popolo canadese”. Le urne diedero al partito liberale una maggioranza senza precedenti. Dopo le belle vittorie di Milano e Napoli, i prossimi mesi potrebbero vedere la partecipazione della sinistra italiana al governo. Naturalmente il problema che si presentava a Mackenzie era quello, più semplice, di nazionalizzare l’emissione di moneta. Più complicato sarebbe se il Canada avesse stabilito una unione monetaria con gli Stati Uniti, come abbiamo fatto noi con la Germania. La consapevolezza di quanto dura è la battaglia a cui dovrebbe attrezzarsi una sinistra che volesse davvero sollevare le sorti del paese ci sembra, comunque, un primo, essenziale passo.

[1] William Lyon Mackenzie King (1874-1950), leader del partito liberale, un partito di centro ma con sensibilità ai problemi sociali, fu per tre volte primo ministro del Canada.

[2] Come ricordato da Aldo Barba in un interessante intervento al convegno per il 150mo su Sviluppo capitalistico e unità nazionale nei giorni scorsi.

[3] Bini Smaghi è arrivato a minacciare che la BCE possa imporre che i paesi membri dell’UME rimborsino la banca decine di miliardi di titoli greci che essa detiene. Contro i timori della BCE vedi Roubini.

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10 Commenti

  1. 5 Giugno 2011 alle 11:08 am
    D. Mario Nuti scrive:

Cesaratto scrive: “… con il famoso “divorzio” fra il Tesoro e la Banca d’Italia nel 1981 … i governi della Repubblica rinunciavano alla prerogativa di determinare la politica monetaria, dunque moderare i tassi di interesse, con successive conseguenze disastrose per conti pubblici e distribuzione del reddito. Con la moneta unica il nostro paese ha persino rinunciato alla possibilità di tornare indietro in quella decisione.”

L’indipendenza della Banca Centrale è figlia della teoria delle aspettative razionali, e della conseguente mancanza di trade-off fra inflazione e disoccupazione (curva di Phillips verticale). Solo senza questo trade-off, infatti, tanto vale delegare il controllo dell’inflazione a una Banca Centrale Indipendente dal governo. La teoria delle cosiddette aspettative razionali, che in realtà non implicano razionalità ma piuttosto un successo non dimostrato nel prevedere il futuro, è oggi screditata, ma purtroppo l’indipendenza della Banca Centrale, vincolata al solo obiettivo dell’inflazione, è e rimane una delle condizioni per I paesi che vogliono entrare nell’area dell’euro. Quindi il “divorzio” fra Tesoro e Banca d’Italia, se non fosse avvenuto nel 1981, sarebbe dovuto avvenire in ogni caso prima del 1999. A onor del vero va riconosciuto che il patto Andreatta-Ciampi, se ha condotto alla sfrenata crescita del debito pubblico italiano, almeno ha contenuto l’inflazione.

L’idea che una “europeizzazione del debito” sia “più razionale e meno dolorosa” della ristrutturazione del debito o del taglio drastico dei conti pubblici si basa su un pio ma malinteso desiderio. E cioè che un’istituzione dell’Unione Europea, che ha un bilancio di poco più dell’1% del PIL europeo e un surplus primario costituzionalmente uguale a zero (sempre bilanciato ex-post con un prelievo sugli stati membri proporzionale al loro PIL), possa assumersi gran parte del debito degli stati membri emettendo titoli in concorrenza con gli Stati Uniti, che hanno un bilancio dell’ordine del 35% del PIL e la indiscussa possibilità che, prima o poi, sia realizzato un surplus primario sufficiente a stabilizzare e ridurre il rapporto fra il loro debito e PIL. Il mondo di Varoufakis & Holland potrà essere migliore, ma non è certo quello in cui viviamo nel nostro continente.

  1. 6 Giugno 2011 alle 8:14 am
    paolo leon scrive:

Ormai sono passati tanti anni, ma sul patto Andreatta-Ciampi mi arrabbiai moltissimo; avevo intuito che il divorzio avrebbe fatto esplodere il debito pubblico. Cesaratto dovrebbe ricordare che la sovranità monetaria consiste anche nello scambiare l’emissione di nuova moneta con il finanziamento gratuito del deficit pubblico. Credo che si possa sempre fare qualcosa in sede europea; è tardi, certo e non si è sfruttata la crisi, ma l’Italia potrebbe ben far pesare la propria importanza. La minaccia di lasciare l’Euro non è ridicola, finché siamo il terzo paese manifatturiero d’Europa e il sesto nel mondo.

  1. 6 Giugno 2011 alle 9:07 pm
    Chiara Zoccarato scrive:

Articolo ineccepibile, da diffondere il più possibile. Quello che non capisco, Prof. Cesaratto, è perchè Lei insista nel voler cercare nella sinistra un interlocutore per il cambiamento. Questa sinistra è stata il cavallo di Troia che le destre economiche e il potere finanziario hanno usato per deregolamentare il mercato del lavoro, liberalizzare la speculazione finanziaria, divulgare il verbo dell’austerità nel bilancio dello Stato…il welfare non è un cosa che interessi questa sinistra, meglio comprarsi una banca (ricorda Fassino?)…cosa ci si poteva aspettare da un dirigente di Goldman Sachs di nome Romano Prodi? Cosa possiamo aspettarci da un Bersani che va a passare il tempo libero all’Aspen Institute in compagnia di Tremonti? La prego, rivolga il suo lavoro e la sua intelligenza agli italiani di buona volontà (se ancora ce ne sono…)Sia a sinistra che a destra abbiamo politici criminali, ignoranti, ladri, nel migliore dei casi semplicemente stupidi. Quei pochi che comprendono le cose di cui Lei scrive, fanno parte di coloro che volevano arrivare proprio a questo.
Per approfondire, consiglio vivamente a tutti la lettura del saggio di Paolo Barnard, documentatissimo e autorevole, tra le cui fonti c’è il Prof.Parguez, che Lei conosce.

http://www.paolobarnard.info/docs/Il_Piu_Grande_Crimine.pdf

  1. 7 Giugno 2011 alle 10:12 am
    Maurizio Donato scrive:

Questo è il senso della “governance” europea: la fine della democrazia rappresentativa e la sua sostituzione con organismi e authorities non elettivi che prendono le decisioni strategiche senza rendere conto ad alcuno.

  1. 9 Giugno 2011 alle 3:16 pm
    Alberto Chilosi scrive:

Quella di Cesaratto sembra proprio una bella pensata. Chissà come sarebbe contento il Berlusca se potessere battere moneta come ai vecchi tempi
del pentapartito invece di vedersi ricordare dal Tremonti le strettoie dei vincoli di bilancio e della sostenibilità del debito. E poi, volendo estendere la logica della sovranità dei politici alla Giustizia, come sarebbe ancora più contento il Berlusca se i giudici venissero nominati dai
politici e seguissero nei giudizi le loro direttive, come nella Russia del suo grande amico Putin!

Cesaratto evidentemente è in favore della democrazia populistica alla Berlusconi-Putin, in cui gli eletti dal popolo godonbo dei pieni poteri, piuttosto che a quella liberale dei checks and balances.

Per quanto riguarda l’ intervento di Nuti vorrei dire che l’ indipendenza della banca centrale centrale poco ha a che fare con le aspettative razionali: dopotutto se valesse la curva di Phillips verticale la politica monetaria e l’ inflazione sarebbero irrilevanti, dato che qualunque cosa si faccia e qualunque sia il tasso di inflazione reddito e occupazione non cambiano. C’ entra piuttosto con le aspettative non-stazionarie (dove le stazionarietà delle aspettative sui prezzi del semplice modello keynesiano che Cesaratto ha studiato da giovane e a cui pare sia rimasto paiono alquanto irrealistiche). Se le aspettative non sono stazionarie e la gente cerca di capire, male o bene che sia, sulla base dell’ esperienza e della propria comprensione di quello che succede quale sarà la possibile evoluzione dei prezzi, dalla curva di Philips si passa alla curva di Philips aumentata e dalla riduzione della disoccupazione a prezzo di inflazione alla stagflazione quando le aspettative inflazionistiche battono la crescita inflazionistica della spesa aggregata. E c’ entra con le tendenze dei politici di fare scelte irresponsabili nel breve-medio periodo, tanto poi chi si troverà a fare i conti con le conseguenze e a porvi rimedio sono i politici futuri (tipico il caso greco recente) e con la teoria del ciclo politico. Per quanto riguards il divorzio famoso, ha evitato a suo tempo, come ricorda Mario Nuti, l’ esplosione dell’ inflazione. Se il debito pubblico invece è esploso è dipeso dal mancato senso di responsabilità dei governi dell’ epoca e alle spese in deficit in risposta alle pressioni demogogiche e populiste con cui venivano a confrontarsi. Vorrei infine ricordare che l’ indipendenza della banca centrale e la politica di stabilità monetaria non hanno certamente nuociuto allo sviluppo economico della Germania, mentre le politiche stagflazionistiche italiane degli anni settanta e le pressioni inflazionistiche degli anni successivi (ricordo l’ epoca delle scale mobile anomale e del salario come variabile indipendente) non ci hanno certamente giovato.

  1. 9 Giugno 2011 alle 6:04 pm
    Anonimo scrive:

L’inflazione dei prezzi delle attività finanziarie è direttamente proporzionale alla capacità di spesa da parte della domanda aggregata. In altre parole l’incremento dei saggi di rendimento finanziari in termini di valutazione dello stock di ricchezza monetaria risulta essere derivata dalle utilità totali delle propensioni di consumo da parte dei singoli individiui e degli aggregati statisticamente rilevanti.

  1. 12 Giugno 2011 alle 9:02 pm
    tiziano scrive:

Sono sorpreso dell’intervento di Chilosi. Se la prende con Cesaratto e dovrebbe prendersela con William MacKenzie King. Sul merito non capisco le ragioni per cui non si dovrebbe battere moneta. Si dice il divorzio impedendo di battere moneta avrebbe evitato l’inflazione. Penso che i motivi della bassa inflazione siano altri. Se il divorzio fa salire i tassi di interesse del debito pubblico e se il saggio di interesse dei titoli pubblici a medio termine rappresenta un costo via banche per chi investe nel settore privato e determina il saggio di profitto atteso sui nuovi investimenti ci si dovrebbe attendere una crescita dei prezzi a meno che il salario monetario per unità di prodotto non diminuisca. Forse è accaduto questo grazie alla politica salariale dei sindacati. Battere moneta è ciò che ha fatto la federal reserve senza effetti sui prezzi dei beni e sull’occupazione ma con effetti sul valore delle azioni. Krugman e Stiglitz ritengono che quella moneta avrebbe dovuto essere spesa in nuova spesa pubblica piuttosto che nel sostegno dei valori azionari. Krugman definisce la politica di Obama come una politica tesa a sostenere i rantier ossia il valore delle attività finanziarie. Ebbene la banca europea ha questo obbiettivo messo nel suo atto costitutivo e se c’è da salvare gli azionisti apre anche la borsa. Cavalieri Tiziano

  1. 13 Giugno 2011 alle 1:25 pm
    Tommaso Sinibaldi scrive:

Mi pare che l’idea che la moneta unica sia stata un grande errore si faccia strada ; un errore con gravissime conseguenze non solo sul piano delle istituzioni democratiche ma anche sul piano economico. Se questa è l’idea il problema è oggi quindi quello di “smontare” o ridimensionare l’euro nel modo meno doloroso possibile. La Grecia offre un primo esempio : il suo debito non deve essere “ristrutturato” a condizioni pesantissime per il paese. La solouzione giusta è che la Grecia esca dall’euro tornando a una moneta propria e che il suo debito venga unilateralmente ridenominato in questa nuova moneta.

  1. 30 Giugno 2011 alle 10:26 am
    Mino Tauro scrive:

All’origine di questa crisi del debito più che lo status ed il ruolo della BCE c’è la decisione quanto mai sciagurata di essere entrati nell’Euro senza essere prima passati per l’unione politica degli stati membri in una federazione. Come si è visto ciò comporta che alla fine ognuno fa come vuole e ascolta gli indirizzi dell’UE a sua discrezione, finché alla fine non si trova con l’acqua alla gola.
La seconda scelta infausta è stata quella di aprire le porte dell’Euro ad economie molto disomogenee e a stati come la Grecia che non avevano nemmeno i conti in regola per entrarci.
Ora si pagano le conseguenze di queste scelte che definire miopi è poco, e dall’esito della vicenda Greca (con rischi di contagio in caso di default) è probabile che dipenderanno anche le sorti dell’euro, che potrebbe anche ridursi ad un sodalizio franco-tedesco.

  1. 17 Luglio 2011 alle 9:09 am
    lino rossi scrive:

D. Mario Nuti: “Quindi il “divorzio” fra Tesoro e Banca d’Italia, se non fosse avvenuto nel 1981, sarebbe dovuto avvenire in ogni caso prima del 1999. A onor del vero va riconosciuto che il patto Andreatta-Ciampi, se ha condotto alla sfrenata crescita del debito pubblico italiano, almeno ha contenuto l’inflazione.”

E’ vero ciò che sostiene il Professore D. Mario Nuti: nel ‘99 avremmo comunque dovuto fare il passo che è stato fatto quasi 20 anni prima da Andreatta-Ciampi; quest’ultimo, appena insediato nel settembre ‘79, ha subito preso quella strada, prima ancora che Andreatta lo autorizzasse.

Ma un conto è cedere la sovranità monetaria alla BCE che, nei primi anni della sua esistenza, garantiva tassi assai contenuti (oggi non è più così). Tutt’altra cosa è cederla alla bankitalia di Ciampi che ha delegato la politica monetaria alle società di rating, facendoci letteralmente dissanguare con tassi sui titoli pubblici di 5, 6, 7 ed anche 8 punti sopra l’inflazione, per oltre 15 anni ininterrottamente (anche Fazio ci ha amorevolmente mantenuti sulla graticola, anche se con meno entusiasmo).

Se Ciampi fosse stato un vero “servitore dello Stato”, osservando il gioco sporchissimo delle società di rating, avrebbe corretto il tiro ed avrebbe ripreso in mano la politica monetaria, come hanno fatto i francesi ed i tedeschi, e come ancora oggi fanno gli svizzeri e gli israeliani.

Pertanto il Professore D. Mario Nuti ci ha raccontato solo una parte della storia (verissima), non mettendo in evidenza quella parte (altrettanto vera) che ha fatto fare a Sergio Cesaratto quel grido di dolore.

Condivido l’appello alla sinistra, ma prendendo atto che Ciampi, Prodi, Amato, Draghi, D’Alema, Fassino, Padoa Schioppa, Bersani, i Letta, gli andreatta boys, ecc., sono la peggiore destra che abbia mai calpestato il pianeta. Hanno sicuramente fatto meno danni all’umanità le bande di Attila. Non mi pare però che Vendola possa fare il San Leone Magno della situazione. Col zapaterismo non si va da nessuna parte.

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