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Dimensione sociale, crisi finanziaria, sovranità nazionale: il nodo della BCE

di Claudio Moffa - 14/11/2011

Fonte: claudiomoffa

 

 

 

 (…) Articolo 105 A

1. La Banca Centrale Europea  ha il diritto esclusivo di autorizzare l'emissione di banconote all'interno della Comunità. La BCE e le Banche centrali nazionali possono emettere banconote. Le banconote emesse dalla BCE e dalle Banche centrali nazionali costituiscono le uniche banconote aventi corso legale nella Comunità

Articolo 107

Nell'esercizio dei poteri e nell'assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dal presente trattato e dallo Statuto del SEBC, né la BCE né una Banca centrale nazionale né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni o dagli organi comunitari, dai Governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni e gli organi comunitari nonché i Governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della BCE o delle Banche centrali nazionali nell'assolvimento dei loro compiti.

(Trattato di Maastricht, Titolo VI – Politica economica e monetaria)

 

 

Il significato di questo convegno è evidente dal titolo: non è possibile affrontare la dimensione sociale in Italia senza un raccordo-riflessione sui rapporti tra il nostro paese – e in generale gli stati membri dell’UE – e Bruxelles.  Ma c’è una seconda necessità di impostazione metodologica e di contenuto: non è possibile affrontare la dimensione sociale oggi, tanto più considerando lo specifico caso italiano, senza connetterla e inserirla nella dimensione finanziaria, nella crisi finanziaria e nei suoi aspetti interni alla dialettica tra stati nazionali teoricamente sovrani e potere sovranazionale di Bruxelles.  Il nodo è principale è quello della Banca Centrale Europea (BCE), che – in quanto ente privato, e in base al Trattato di Maastricht - sfugge ad ogni controllo da parte degli Stati Membri e in sé costituisce una violazione costante delle sovranità popolari e delle loro proiezioni istituzionali, le sovranità statali. Procederò in 7 punti:

 

1)                  Il primo riguarda quanto appena detto, e in particolare l’interrogativo: con quale strategia attenta alla dimensione sociale uscire dalla crisi? Quale l’alternativa alla classica ricetta liberista della riduzione ulteriore della spesa pubblica, delle liberalizzazioni e della svendita del patrimonio pubblico? La risposta altrettanto classica - keynesimo, aumento di stipendi, piani per l’occupazione, tenuta del welfare state e dunque della spesa pubblica per rilanciare l’economia - è impraticabile  se non la si raccorda a una strategia di attacco all’autonomismo della sfera finanziaria. Infatti, la massa monetaria per questa operazione – che nei fatti esisteva ai tempi del fascismo e dei primi decenni dell’età repubblicana -  non c’è, semplicemente perché non è oggi lo Sato a emettere moneta, ma la BCE in raccordo con la peraltro subalterna Banca d’Italia. Ed entrambi gli istituti bancari sono organismi privati.

 

2)                 Avviarsi lungo questo percorso cognitivo significa superare un doppio tabù metodologico: quello che pretende che la dimensione sociale appartenga al solo pensiero di sinistra (il che non è già vero, perché esiste una “destra sociale”, e lo stesso fascismo ha avuto una politica economica per molti aspetti non disattenta ai bisogni popolari[1]) e quello che obbligherebbe la sinistra, per presunta tradizione consolidata, a non occuparsi del terreno bancario-finanziario in quanto tematica ineludibilmente legata pensiero di destra. Non è vero, esistono numerosi esempi contrari: il Marx de Le lotte di classe del 1848 in Francia, che fotografa ed esalta l’alleanza tra “proletariato” e borghesia produttiva  contro l’ “aristocrazia finanziaria” dominante nella Francia di Luigi Filippo (1830-1848) e il Marx di alcuni passaggi de Il capitale; le tracce della criticità di sinistra contro le Banche e il capitale finanziario (dall’economista J.A. Hobson al poeta Bertold Brecht); e soprattutto il concreto operare dei Padri della Costituzione “nata dalla Resistenza” e dei governi italiani fino agli anni Ottanta circa. C’è infatti, al di là delle svolte di regime, una continuità da sottolineare:  sia nell’Italia postunitaria monarchica, sia durante Fascismo, sia nell’Italia Repubblicana postbellica l’emissione della moneta era diritto e dovere dello Stato. Riferimenti normativi: R.D.L. 375/1936 convertito in legge 441/1938; R.D. 1067/36, per i quali la Banca D’Italia (1893) “diventa istituto di diritto pubblico ed esercita in regime di monopolio la funzione di emissione della carta moneta (con esclusione delle monete metalliche la cui competenza esclusiva è riservata al Tesoro dello Stato)” (Solange Manfredi). Cost. Art. 1, comma 2: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” (le limitazioni alla sovranità di cui al successivo art. 11 non possono riguardare la BCE istituto privato).

 

3)                 Oggi non è più così: lo Stato non è più padrone dell’emissione monetaria perché: 1) La Banca d’Italia è in mano per il 95% a Banche private, nonostante alcuni tentativi di ripristinare il controllo maggioritario pubblico (legge 262/2005, art. 19, comma 10, rimasta inapplicata; riforma dell’art. 3 dello Statuto, con legge del dicembre 2006);  2) Il Trattato di Maastricht ci obbliga (obbligherebbe? E’ assolutamente ineludibile il rispetto del Trattato di Maastricht?) ad affidare alla privata BCE l’emissione di moneta senza alcuna possibilità di controllo da parte dei governi degli Stati membri (Trattato di Maastricht, artt. 105 A e 107)

 

4)                 Oggi dunque lo Stato ha perso la possibilità di utilizzare lo stesso signoraggio – che nei fatti corrisponde alla differenza tra il costo reale della moneta o carta-moneta (inchiostro, carta, stampa tipografica, distribuzione) e il valore stampato sulla stessa – a fini di salvaguardia dal debito e di difesa e potenziamento della spesa pubblica.        
Salvaguardia del debito, perché la BCE e la B. D’Italia “prestano” paradossalmente una moneta che dovrebbe essere a sovranità popolare e dunque appartenere allo Stato come proiezione istituzionale del popolo: debito che dunque aumenta in continuazione, oltretutto gravato dall’interesse usurario.  
(Mancata) difesa della spesa pubblica, perché lo Stato, deprivato dell’emissione monetaria, resta privo di massa monetaria e dunque incapace di qualsiasi politica keynesiana attenta alla  “dimensione sociale”. Si obietta che una tal soluzione porterebbe ad una deriva inflazionistica che finirebbe per ledere soprattutto gli strati sociali più deboli: ma almeno, in questo caso, il controllo anche del rischio inflazionistico resta nelle mani del potere pubblico, che ne deve rispondere al popolo, e non di privati per statuto esenti da questo obbligo.

 

5)                 Anche in questo specifico ma cruciale terreno bancario-finanziario, il Trattato di Maastricht e in genere tutto l’ordinamento giuridico-amministrativo europeo (almeno nei suoi tratti più importanti: si pensi alle direttive di tipo economico che impediscono la discrezionalità degli Stati  - unica sede reale di espressione delle sovranità popolari – nelle programmazioni nazionali; o alla questione del “mandato di cattura europeo” e della recentemente istituita “polizia europea”) costituiscono un pericolo per la democrazia. L’esempio più eclatante è quello del divieto del diritto di referendum alla Grecia; ma anche nelle recenti vicende italiane (sovrasposizione di Draghi negli affari di politica interna italiani, nomina di fatto – tranne reazione dura del Parlamento – di Monti come premier da parte del Capo dello Stato) questo fenomeno è emerso chiaramente.

 

6)                 Cosa fare? E’ quantomeno necessario aprire una finestra di riflessione sulle possibili alternative alla tendenza attuale, che accetta – su pressione del mainstreaming mediatico, e delle esternazioni terroristiche delle agenzie di rating – solo la via del “rigore”, vale a dire quelle ricette liberiste che costituiscono la negazione della “dimensione sociale” di cui stiamo trattando e che graveranno sulle spalle dei lavoratori e del popolo. E dunque:  A) Azzerare unilateralmente il debito pubblico. L’Islanda lo ha fatto, rifiutandosi di pagare la crisi delle banche: del resto esistono punti di riferimento teorico-politico importanti, vedi le proposte di annullamento del debito dei paesi in via di sviluppo colpiti dalle misure loro imposte dal FMI, di Fidel Castro (1985) e di papa Giovanni Paolo II (2000, in occasione del Giubileo): proposte che ovviamente chiamano in causa il debito estero e non il debito pubblico, ma che sottendono la stessa problematica “etico-comportamentale” (si può non onorare.annullare unilateralmente un debito?), lo stesso meccanismo usurario, e gli stessi protagonisti e organi di controllo-vigilanza: FMI e poteri finanziari internazionali (Bruno Amoroso);  B) Ritorno alla emissione statale della moneta anche anche come atto unilaterale, sfidando cioè Maastricht: solo in tal modo si blocca la macchina infernale dell’indebitamento infinito, che è il prodotto della combinazione di 1) emissione della moneta da parte di enti privati; 2) “prestito” della moneta agli Stati “sovrani” in cambio di Titoli di Stato; 3) conseguente indebitamento continuo degli Stati, deprivati-derubati del diritto di emettere carta moneta, con impedimento oggettivo a affrontare compiutamente la dimensione sociale della crisi in atto.

 

7)                 Quanto sopra richiede, per quel che ci riguarda, un recupero dell’autonomia e della criticità del sapere, come premessa per poter anche solo esaminare obbiettivamente e fondatamente i punti appena citati, senza chiusure aprioristiche. La nostra Università peraltro ha avuto tra i suoi docenti il prof. Giacinto Auriti, che ha riflettuto su quello che appare l’ “impensato radicale” della storia dell’economia, e cioè il problema della proprietà della moneta, e dell’emissione della carta moneta a partire dalla fondazione della Banca di Inghilterra nel 1694. E’ un problema che non è affatto relegato nella marginalità della storia dell’economia e delle relazioni internazionali, come dimostrano le prese di posizione di capi di stato, banchieri, imprenditori e studiosi di economia, sulla questione del signoraggio e della moneta. A partire dal Premio Nobel 1988 (di economia appunto) Maurice Allais: L'attuale creazione di denaro dal nulla operata dal sistema bancario è identica alla creazione di moneta da parte di falsari. La sola differenza è che sono diversi coloro che ne traggono profitto”            

 

 

*Intervento alla prima conferenza della Facoltà di Scienze Politiche, Università di Teramo, 11 novembre 2011. Claudio Moffa è docente di Storia delle Relazioni Internazionali.

 

 

 

 


SCHEDA

 

EMISSIONE DI MONETA E SIGNORAGGIO             

“Il banco trae beneficio dall'interesse su tutta la moneta che crea dal nulla”

William Paterson, fondatore del Bank of England, 1694


“Io credo che le istituzioni bancarie siano più pericolose per le nostre libertà di quanto non lo siano gli eserciti permanenti... Se il popolo americano permetterà mai alle banche private di controllare l'emissione del denaro, dapprima attraverso l'inflazione e poi con la deflazione, le banche e le compagnie che nasceranno intorno... [alle banche] ...priveranno il popolo dei suoi beni finché i loro figli si ritroveranno senza neanche una casa sul continente che i loro padri hanno conquistato”           
Thomas Jefferson, terzo presidente degli Stati Uniti d'America


Pochi comprenderanno questo sistema, coloro che lo comprenderanno saranno occupati nello sfruttarlo, il pubblico forse non capirà mai che il sistema è contrario ai suoi interessi

Sherman Rothschild, banchiere, 26 giugno 1863

 

“Dopo la rivoluzione di luglio (1830) il banchiere liberale Laffitte, accompagnando il suo compare, il duca di Orléans, in trionfo all'Hôtel de Ville ,lasciava cadere queste parole: "D'ora innanzi regneranno i banchieri". Laffitte aveva tradito il segreto della rivoluzione. Sotto Luigi Filippo non regnava la borghesia francese, ma una frazione di essa, i banchieri, i re della Borsa …: la cosiddetta aristocrazia finanziaria. Essa sedeva sul trono, essa dettava leggi nelle Camere … La borghesia industriale propriamente detta formava una parte dell'opposizione ufficiale, era cioè rappresentata nelle Camere solo come minoranza. La sua opposizione si presentava in modo tanto più deciso, quanto più nettamente si sviluppava il dominio esclusivo dell'aristocrazia finanziaria e quanto più essa stessa … Il disagio finanziario rese fin dall'inizio la monarchia di luglio dipendente dalla grande borghesia, e la sua dipendenza dalla grande borghesia fu la sorgente inesauribile di un crescente disagio finanziario…”

Karl Marx, Le lotte di classe in Francia dal 1848 al 1850

 

È assurdo dire che il nostro paese può emettere $30,000,000 in titoli ma non $30,000,000 in moneta. Entrambe sono promesse di pagamento; ma una promessa ingrassa l'usuraio, l'altra invece aiuta la collettività

Thomas Edison, New York Times, 1921

 

Dare alle banche la possibilità di creare la moneta è come darsi in schiavitù e pagarsela pure

Sir Josiah Stamp, governatore della banca d'inghilterra

 

 

I RICORSI DELLA STORIA: crisi della rappresentatività popolare e del sapere universitario, in John Atkinson Hobson, Imperialism: a Study, 1902.

 

FINANZA E MASS MEDIA: «La diretta influenza delle grandi imprese finanziarie sull' “alta politica” si regge sul controllo esercitato sull'opinione pubblica a mezzo della stampa che, in ogni paese “civile”, sta diventando sempre più un loro docile strumento. Allorché i giornali finanziari impongono “fatti” e “opinioni” alla classe imprenditoriale, l'intero corpo della stampa passa progressivamente sotto il controllo, consapevole o meno, dei finanzieri … A Berlino, a Vienna, a Parigi molti giornali influenti sono passati in proprietà di imprese finanziarie che li hanno usati non già con lo scopo principale di ricavarne profitti diretti, ma per istillare nell'opinione pubblica convinzioni e sentimenti destinati ad influire sulla linea politica e quindi in relazione al mercato finanziario ... » (pp. 132-133 dell’ediz. italiana Newton Compton)

 

LA CRISI DELLA RAPPRESENTATIVITA’ POPOLARE: «Gli effetti sul governo parlamentare sono stati grandi, rapidi e tangibili, provocando un indebolimento delle istituzioni rappresentative. Alle elezioni, l'elettorato non è più chiamato a compiere una libera, consapevole e razionale scelta tra i rappresentanti di diverse e chiare linee politiche; esso è chiamato a ratificare o meno una difficile, intricata e avventurosa politica estera imperialistica, racchiusa di solito in poche generiche formule altisonanti e in un appello alla necessaria solidarietà e continuità della politica nazionale: in pratica, si tratta di un cieco voto di fiducia ... In tanto generale declino del governo parlamentare, anche il ‘sistema dei partiti’ appare visibilmente in crisi..  » (p. 154)

 

L’AUTONOMIA DEL SAPERE ACCADEMICO (E NON SOLO) SOTTO LA MINACCIA DELLA PRIVATIZZAZIONE: «Le nostre università …  stanno diventando le ossequienti tutrici dell'ortodossia … soffocando la scienza, distorcendo la storia ... I veri fattori decisivi dell'insegnamento sono contenuti in queste tre domande: chi deve insegnare, cosa insegnare, come insegnare? Quando le nostre università dipendono da donazioni e rendite dovute al favore dei ricchi, necessariamente le risposte sono queste: insegnanti prudenti, studi prudenti, metodi sani (che è come dire: ortodossi). Il rozzo proverbio che dice “chi paga il piffero, suona la musica” è certo applicabile in questo caso e in altri, e nessun ingannevole aspetto della dignità accademica o dell'onestà intellettuale deve chiuderci gli occhi di fronte ai fatti» (pp. 162-163)

 

 

 



[1] AGIP e IRI ad es. vennero creati dal fascismo. Tra le figure più interessanti del “fascismo di sinistra” vedi C. Moffa Tullio Cianetti, alla corrispondente voce del Dizionario Biografico degli Italiani, Treccani.