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Vesta, la dea nemica del familismo

di Andrea Carandini - 12/12/2011

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Vergine madre di Roma, custode del focolare domestico e della cosa pubblica Come sedare le faide interne Per essere accettati dai contendenti locali, i primi re furono stranieri: oggi li chiameremmo tecnici «super partes»

L' arcano dell' impero di Roma è nell' invenzione della «cosa pubblica», tanto forte da aver durato per 1.150 anni e aver improntato di sé la civiltà in Occidente. L' essenza di questa res publica fu una casta diva: Vesta, forgiata intorno al 750 a.C., su misura della città-Stato appena nata. Vesta era il fuoco pubblico di Roma, né ebbe immagine antropomorfa prima del I secolo a.C. Pensiamo che civitates e poleis si siano formate nel corso di secoli, mentre invece sono state «fondate» in un certo giorno. Sono state, in primo luogo, invenzioni teologiche e cerimoniali. Vi è somiglianza tra i fondatori di città e i fondatori di religioni: sovente eroi, figli di vergini fecondate da un dio, come Romolo e Cristo. Per capire Vesta bisogna conoscerne il passato latino, anteriore alla città. Ma risalire così in alto è difficile, perché i Romani hanno cancellato i miti della dea, perché apparisse vergine senza trascorsi. Ma Vesta un passato lo aveva avuto, e sorprendente. Lo rivela il mito di Rhea Silvia, principessa di Alba Longa devota di Vesta - sua immagine riflessa - fecondata da Marte e genitrice di Remo e Romolo. La dea era dunque una «vergine madre», come Silvia e Maria. Anche le sacerdotesse di Vesta, le vestali, conservavano tracce della natura ambigua della dea. Somigliavano a vergini figlie, eppure anche a spose, di cui indossavano la veste, salvo il bianco velo e il diadema che segnalavano lo stato sacerdotale. I Romani hanno voluto adattare la Vesta pre-civica al loro progetto di città e mentre la plasmavano hanno concepito un' idea del pubblico che a noi pare più essenziale e radicale delle invenzioni cittadine dei Greci. Infatti Vesta romana fu esclusivamente pubblica - sottratta ai fuochi privati - e le vestali erano costrette alla purezza per una generazione. Esclusivamente statale mai era stata la dea greca del focolare Hestia, né alcuna sacerdotessa greca ha conosciuto alla condizione simbolicamente vertiginosa delle vestali. In origine Vesta presiedeva ai fuochi di famiglie, gentes , regie casate e anche di villaggi e rioni. Le fiamme ardevano allora nelle capanne accanto alla fossa-dispensa ( penus ) delle granaglie, che su quelle braci venivano cotte. Ma a Roma Vesta fu distolta da quei fuochi particolari e locali, come rapita dalla città, monopolizzata dallo Stato e relegata nel sua capanna ( aedes ), dove nessuno abitava o cucinava, e nel cui penus era non farro ma un talismano: il fascinus , cioè un fallo, segno di altri tempi. Le vestali abitavano in una loro capanna, davanti all' aedes , dove cucinavano e tenevano nel penus le provviste. Erano figure stravaganti, immagini viventi della dea. Dovevano preservarsi immacolate, impenetrate come le mura sante della città, e dovevano tenere il fuoco acceso durante l' anno nell' aedes , riaccendendolo ritualmente a capodanno. Se il fuoco si spegneva era una calamità grave. Rivelava che una vestale era stata violata: mostruosità da annientare, seppellendola viva. Vesta era stata rapita ai fuochi particolari, come le vestali erano state bambine sottratte dal re alle famiglie, per divenire essenza divina esclusiva dello Stato, segno apicale della cosa pubblica. Essendo di nessuno, le vestali erano di tutti. Mai come a Roma lo Stato fu altro da un aggregato di famiglie: una entità centrale e gerarchizzata, sovraordinata rispetto rioni e parentele. Quando i Greci fondavano una colonia, un «piroforo» recava in un vaso le braci della madrepatria con cui veniva acceso il fuoco nella città figlia, che da quel seme bruciante traeva vita. A Roma le cerimonie di fondazione furono due. Prima Romolo fondò l' epicentro dell' abitato sul Palatino, seguendo riti latini ed etruschi: era un 21 aprile, primitivo capodanno pastorale. Poi, durante il regno con Tito Tazio, egli fondò il centro sacrale e politico nel Foro-Arce: era un primo marzo, capodanno dei primi Romani. Il Foro era stato progettato tra due culti del fuoco. Accanto al fuoco domestico di Vesta risiedevano re e sacerdoti, in un fulcro di sovranità sacrale: al lucus Vestae . Accanto al fuoco bellico di Vulcano il re agiva con consiglieri e cittadini in assemblea, nel fulcro della politica, al Volcanal-Comitium . Fu allora che Vesta assunse il carattere pubblico della greca Hestia. Questa idea straordinaria era giunta forse da Cuma, per cui la fondazione della città era consistita in riti latini, etruschi e greci. Roma interiorizzò il cosmo, fin da principio. Vesta nel Foro era sola, separata ormai da Vulcano e Marte e lontana dalle ragazze in ritiro prematrimoniale a lei devote, che con quegli dei si erano unite - pronuba la dea - per generare fondatori di città, come Ceculo, Romolo, Servio Tullio. Ora la casta diva era servita da sacerdotesse che, se violate, venivano sacrificate per preservare la salute della città. Quale differenza con la multiforme versatilità della dea originaria, con le sacre unioni che generavano eroi. Eppure qualcosa permaneva di quell' ardore originario, fatto di sovranità, purezza, fecondità, capacità difensiva ed energia nutritiva tesaurizzata. Vigeva allora in Roma un' austerità puritana, che dell' imbarazzante passato pre-civico conservò traccia incongrua nel fascinus . La trasformazione servì a generare, nel coacervo di fazioni in lotta, il dispositivo della cosa pubblica. Mai era stato inventato un più perfetto correttivo pacificatore. Stava nella sublimazione del particolare nel generale, in un' essenza di virtù civica che rimane immortale: lezione anche per gli italiani che ristagnano ancora nel familismo amorale. Vesta e le vestali non erano di famiglia alcuna, tutt' uno col popolo romano. Vesta è dunque un' invenzione teologica artificiale, razionale. Il suo santuario e il Foro erano in un distretto esterno all' abitato e neutrale, per poter essere riconosciuto da tutti, come il Columbia District, in cui è Washington. I re di Roma furono stranieri per essere accettati dai contendenti locali - oggi diremmo tecnici super partes - e Vesta fu resa straniera a se stessa, per essere la vergine delle vergini, la sposa delle spose e perfino lo sposo degli sposi... Infatti le vestali furono le uniche donne di Roma ad avere i diritti civici dei maschi, compreso quello di sacrificare. Insomma, Vesta era onnipotente, come la Giunone di Lanuvio. Sembra contraddittoria, perché era ad un tempo polifunzionale e olistica. Nella sua sacrale eccezione si conciliava quant' era inconciliabile tra gli uomini. Vesta è il sistema antifamilistico e morale di Roma, simbolico capolavoro nella sua essenza estrema. Gli antichi erano incerti se attribuire il culto pubblico di Vesta al tempo di Romolo, intorno al 750 a.C., o a quello di Numa Pompilio, intorno al 700. Scavando nel Santuario abbiamo scoperto che i primi edifici risalgono al 750 a.C.: la casa delle vestali davanti all' aedes Vestae e la domus dei re, che avevano lasciato il Palatino per abitare nel Foro. La discontinuità con il precedente abitato proto-urbano è assoluta. Per trasformare una palude nel Foro servirono numerosi interri accumulati dal 750 a.C. circa. Il primo pavimento in ciottoli si data intorno al 700 a.C.