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La moda e' arte?

di Valerio Zecchini - 14/12/2011


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E' difficile capire le contorte strategie delle case editrici italiane. Spesso non vengono tradotti nella nostra lingua autori fondamentali (un nome su tutti: Camille Paglia) o saggi essenziali per capire la realta' contemporanea (come “The party” di Richard McGregor, eccezionale studio sul partito comunista cinese visto dall'interno). Risulta pero' totalmente incomprensibile il disinteresse per questa eccellente biografia della famiglia Versace ad opera di Deborah Ball, giornalista del Wall Street Journal. Certo, di biografie di Versace ne erano gia' uscite, sull'onda del clamore mediatico causato dall'omicidio, ma qui si tratta di qualcosa di piu': la tumultuosa saga familiare dei Versace (basata su una miriade di interviste a Santo,Donatella, Allegra, Naomi Campbell, Anna Wintour e tanti altri protagonisti della vicenda) e' un pretesto per raccontare la storia della moda italiana e della sua affermazione come fenomeno di valenza planetaria. Inoltre, il resoconto delle vicissitudini dei Versace arriva fino ad oggi o quasi (2009). Deborah Ball e' insomma riuscita nel difficile compito di coniugare l'accurato affresco sociologico, la divulgazione storica e una biografia familiare che e' piu' avvincente di un romanzo.
La moda e' arte? Si', specialmente se parliamo di uno stilista ultracreativo come Versace. Uno degli originari portati del Futurismo che lentamente, nel corso dei decenni, ha trovato piena accettazione sociale, e' proprio quello della pari dignita' di tutte le arti -  in particolare di quelle che all'epoca del Futurismo si chiamavano “arti applicate” (moda, design, cucina): qualche anno fa lo chef catalano Adria' Ferran, considerato il cuoco piu' creativo del mondo sia da un punto di vista gastronomico che estetico per la raffinatissima presentazione dei suoi piatti, e' stato premiato come artista a Documenta Kassel, la piu' importante fiera d'arte in Europa. Nell'ambito della moda, perfino il lavoro dei parrucchieri e dei truccatori viene ormai qualificato come “artistico” - e qui forse stiamo esagerando...e poi, nella proto-fashion futurista troviamo in nuce l'essenza delle tendenze a venire: basti pensare ai famosi panciotti multicolori di Depero (che si puo' definire come un antesignano di Versace), o all'ultraminimalismo di Thayhat, l'inventore della tuta. Ad ogni modo, il periodo storico che la Ball prende in esame nel dettaglio e' quello che va dalla fine della seconda guerra mondiale ai nostri giorni, ovviamente raccontando Versace e tutto cio' che gli girava attorno.
L'apice del suo successo lo raggiunse all'inizio degli anni novanta, quando si affermo' come il designer che riusciva a soddisfare la fame del pubblico per il denaro, il sesso e la fama che caratterizzava l'incipiente prosperita' globale di quella decade. Figlio inquieto di una sarta calabrese, Gianni fece breccia sposando la cruda energia della strada e della controcultura con l'elaborata eleganza della haute couture, saccheggiando per la sua ispirazione di tutto, dalla pop art all'iconografia dell'antica Grecia (era ossessionato in particolare dalla Medusa, che poi divento' simbolo della casa). Per lui,i vestiti dovevano essere divertenti, favolosi e veloci, e dovevano soprattutto stimolare l'interesse delle masse. Scelse come sua musa la prostituta; elevo' la volgarita' a una forma d'arte. A volte ando' troppo oltre, e i       
 suoi detrattori etichettarono il suo stile come “haute couture dell'adescatrice”. I suoi vestiti non evocavano mai l'indifferenza. La sua collezione sado/maso del '92, con i collari da cane di pelle nera, le maschere provocanti, i corpetti castigati e i vestiti in stile dominatrix, irrito' perfino i piu' sofisticati fashionistas – ma il tempo gli avrebbe dato ragione. Mentre questo look fino ad oggi aveva avuto il suo spazio di nicchia su riviste dark come “Ritual”, o addosso al genio incompreso della letteratura italiana Isabella Santacroce, la collezione autunno/inverno di quest'anno ne ha visto il trionfo: nomi mainstream come Calvin Klein, Givenchy e Louis Vuitton hanno rilanciato alla grande il sado/maso chic.
Ad ogni modo, i suoi vestiti vendevano e venivano indossati. Aveva gia' cambiato il vocabolario della moda ben prima del suo assassinio. Gianni colmo' anche la distanza tra moda e celebrita', mescolando queste due correnti della cultura pop e stimolando il crescente potere dei media (le sue creazioni piu' stravaganti erano dirette piu' ai media che alle vendite). Maestro delle relazioni pubbliche, trasformo' le sue modelle preferite in vere e proprie superstars. I suoi vestiti e i suoi amici famosi (Madonna, Elton John, princess Diana) riflettevano la sua etica libertaria, la sua determinazione a divorare tutto cio' che la vita aveva da offrire. Attraverso un'irreprensibile serieta' professionale, Versace puntava all'abolizione del senso di colpa, alla carnevalizzazione del mondo di marinettiana memoria. Fu il profeta della societa' postreligiosa e dell'era del piacere – al centro di tutto il sesso come unica mistica possibile, concreta, praticabile. E soprattutto fu il propulsore del passaggio dall'ormai stantio stile di vita radical-chic a quello radical-de luxe – o, perlomeno, lavoro' a prepararne l'avvento.
Il suo stile si puo' definire come un barocco selvaggio, perennemente teso all'armonizzazione dei contrasti (sia nella scelta dei materiali che nel design, ma soprattutto nel mix di maschile e femminile). Il suo approccio alla moda come intrattenimento di alto standing era perfetto per i tempi: i media e la societa' dello spettacolo erano diventati indispensabili per la moda, e gianni era un virtuoso in questo campo. La sua appropriazione di qualsiasi cosa, dalla storia dell'arte alla danza, dal culto della personalita' alla musica rock, il tutto condito con forti dosi di celebrita' e glamour – era un banchetto offerto ai media e al loro vorace appetito per le immagini spettacolari.
I grandi rivali di Gianni furono prima Giorgio Armani con la spontanea sobrieta' del suo stile, il suo tipico look tra l'androgino e il militaresco, e poi Prada con il suo minimalismo cerebrale – e nel libro si parla molto anche di loro. Gustosissimo questo aneddoto su Armani: suo padre,  burocrate di basso rango del partito fascista di Piacenza, fu incarcerato subito dopo la guerra. Dopo che il piccolo Giorgio si era ustionato in un incidente con della polvere da sparo, altri bambini gli rubarono le stampelle su cui doveva sostenersi per camminare, come punizione per il passato fascista del padre. Dovette trascinarsi verso casa appoggiandosi ai muri e gridando per il dolore. Quando il padre fu scarcerato, la famiglia si trasferi' a Milano dove Giorgio intraprese la sua luminosa carriera. E' pero' quasi ovvio che la scelta del logo Armani che oggi campeggia nelle vetrine di tutto il mondo (un'aquila stilizzata che assomiglia tanto all'aquila simbolo della Repubblica Sociale Italiana) sa tanto di astuta vendetta contro i comunisti di Piacenza.
Dopo la narrazione della vita di Gianni e dell'ambiente che lo circondava, Deborah Ball passa a una dettagliatissima ricognizione delle dinamiche dell'omicidio, per poi passare alle vicissitudini piu' recenti della famiglia: Santo, il businessman della dinastia (oggi deputato PdL), che guidava il suo team col motto “Versace e' una religione”; Donatella, dissipatrice ed eccessiva fino al delirio, grande maestra di cerimonie della ditta, dopo i disastri dei primi anni alla guida della maison e' riuscita a riportarla in auge grazie a una dura cura disintossicante; sua figlia Allegra, enigmatica ereditiera che presto avra' nelle sue mani il futuro dell'impero Versace oggi ridimensionato.
In attesa che qualche editore nostrano si degni di tradurlo e pubblicarlo, chi conosce l'inglese ha quindi molteplici motivi per leggere quest'ottimo libro su una famiglia che, piaccia o non piaccia, ha contribuito enormemente all'espansione dell'industria e dell'arte italiana nel mondo.
 
DEBORAH BALL
HOUSE OF VERSACE
THREE RIVERS PRESS – NEW YORK
15 DOLLARS.